9 Aprile 2024
Filosofia

La realizzazione dello spirito nella tradizione indoeuropea

“…Dal VII secolo sino a Gesù è un continuo,
progressivo svuotamento della religione olimpica
indoeuropea, che a grado a grado sempre più si
cristallizza nell’estetismo degli artisti e nel
>ritualismo dei sacerdoti, e un parallelo sviluppo
della religione misterica che sempre più si estende…
Tutta la storia della religione, e anzi del pensiero greco,
sta in questo  duplice processo…”
Vittorio Macchioro, Zagreus.
Studi intorno all’orfismo, Firenze 1930

 

di Giandomenico Casalino

 

L’uomo indoeuropeo, se è guardato dal punto di vista del soggetto moderno, è un uomo cosmico aperto al mondo[1], è “attraversato” dal Mondo e dalle sue Potenze, egli non sa nulla di “interno” e di “esterno”, la sua “coscienza” è cosmica, universalizzata, anzi è universale nel senso che coincide con gli Dei. L’uomo dopo la Caduta, la crisi, nella Modernità come categoria dello Spirito, nella convinzione prometeica di aver acquistato o conquistato la “libertà”, ha perduto la Universalità della coscienza e la stessa si è ridotta al piccolo Io che crede di decidere, guarda con sufficienza ed alterigia l’uomo omerico che considera “schiavo” degli Dei; il suo piccolo Io, convinto di “decidere” e di essere “autonomo”, è sempre nelle “mani” di qualcosa di “altro” da esso ed è sempre “qualcosa” di non conosciuto e quindi di oscuro, che gli proviene sia dal “suo” interno (che suo non è) che dall’ “esterno”, mondo altrettanto alieno…

Come è evidente nell’uomo omerico, (l’uomo della doxa che è la gloria, dove l’apparire equivale all’essere, attesa la sua trasparente luminosità)[2] egli è nella “sua” essenza vitale e spirituale, nel thymòs, nelle frènes, nella psychè, nel vivente unitario che è, le medesime Potenze Cosmiche, cioè le stesse realtà Divine. Il movimento è, pertanto, il procedere del Mondo come universo delle Idee che si riflette nel Sé di tale uomo che è “invaso” dal Mondo, talché è lo stesso Mondo, riflesso, quale Idea, nel Sè, ad essere riconosciuto come la sua stessa natura più intima: quelli che per noi stupidi ed arroganti moderni, figli e nipoti dell’an­tropocentrismo cristiano, sono i “nostri” sentimenti, le “nostre” passioni, le “nostre” idee, e le “nostre” paure, per l’uomo indoeuropeo sono Dei, Potenze Cosmiche, certamente non “sue”, dalle quali è at­traversato e pervaso; egli è, pertanto, nella sua essenza, Divino ed egli ciò lo sa, essendone serenamente consapevole; sono quindi gli Dei medesimi e tutte le altre Potenze Divine e semidivine la “sua” natura più profonda e ciò, lungi dal farlo sentire privo di volontà e di autonomia decisionale e quindi “schiavo” delle stesse (come l’idiozia degli inter­preti moderni ha osato pensare, elucubrando sulla presunta e pretesa assenza di autocoscienza e di libertà in tale uomo…) lo dignifica ancor più, concedendogli la convinzione ferma, fondata sul Sapere, di essere tutt’uno con l’Universo, aperto integralmente nei confronti dello stes­so e dallo stesso liberamente accolto, quasi come abbracciato, in quan­to fratello e figlio[3] del Cosmo medesimo; tale natura Spirituale lo pone in solidale amicizia con il Divino (Pax Deorum Romana…) avendo la sua natura ed essen­do esso Sé medesimo; egli è quindi Uomo cosmico, Uomo di Luce! In questa sapienza risiede la ragione arcaica della natura divina e quindi cosmica che, nello stesso mondo romano, fu riconosciuta a potenze spirituali quali: Spes, Concordia, Fides, Felicitas e altre; mentre noi moderni le riteniamo solo “sentimenti” umani…!

Pertanto, l’uomo vedico, omerico o arcaico-romano non necessitano, di “iniziazioni”, né di percorsi misterici, poiché, appartenendo spiritualmente alla natura eroica, non conoscono fratture né separazioni, né dualismi (“anima” e “corpo”; “interno” ed “esterno”). È la Modernità vedantina post vedica nell’India aria, post omerica e sofistica nella grecità, post arcaica ed ellenizzante nella romanità, che impedisce di vedere l’Idea del Mondo nella Realtà, nei Reali, poiché ormai l’uomo di tale età è preda della convinzione che l’Idea gli provenga da “fuori”, dall’esterno e che, pertanto, sia qualcosa di estraneo alla sua intima natura; qualcosa che di conseguenza lo “condiziona” e ne limita o coarta la “libera” volontà, determinazione o capacità di conoscenza. Davanti a tale catastrofe, due sono le Vie per riconquistare l’Unità e la trasparenza perdute, una è quella dell’inabissarsi nel Tutto che è la Divinità (esempi possono essere la corrente orfico­-dionisiaca, quella tragica e la gnostica nell’antichità e Spinoza ed Eckhardt nella modernità…) dove si ritiene di aver trovato o ritrovato ciò che “fuori” non c’è e non ci può essere, essendo il “fuori” Casalino 3cioè il Mondo, per tale atteggiamento dello Spirito, Maya in quanto inganno, niente e fallacità; l’altra Via è quella della ricerca e della fabbricazione eroica in quanto spiritualizzazione della Coscienza, poiché è illuminazione dell’opacità delle Idee che, ritrovate in sé e nel profondo di sé, nel  fondo dell’anima, convertono il “soggettivismo” della Modernità, l’antropocentrismo che poi prenderà il volto definitivo del cristianesimo, in una nuova ed antica forma di Oggettivismo. Platone, infatti, inizia il percorso di risalita dal soggetto, dall’uomo ed anche se può apparire inizialmente un percorso orfico (Fedone), nella sua natura intima non lo è assolutamente, per la semplice ragione che Platone sa perfettamente che la corrente orfico-dionisiaca, i suoi Misteri, il suo mondo (il teatro e la tragedia…), la sua spiritualità lacerata e quindi dualistica, non possono mai essere né rivelarsi un phàrmakon, un rimedio, poiché sono la fenomenologia stessa di un’anima disperata, della “frattura”, sintomi della malattia medesima della Modernità e pertanto non possono essere vie di uscita, rimedi e “strumenti” per la riconquista della Unità perduta. Platone inizia la Grande Opera di risalita dal profondo della coscienza umana, definito miticamente con l’immagine dell’Ade (Menone); in tale profondità oscura – che non “appartiene” al soggetto individuo ma è luogo cosmico della specie umana – ­vi sono gli opaci “ricordi”, o meglio, le Idee, le conoscenze, seppellite nel “passato” del sapere umano, cioè, cosmicamente, nei precedenti cicli di civiltà; Platone, come iniziò a realizzare già Socrate, fa “partorire”, fa uscire alla “luce” della spiritualità ciò che già da sempre la coscienza universale in senso oggettivo possiede ma non lo sa! Nel senso che non ne ha coscienza né consapevolezza, il Sapere non è giunto dall’anima e dalle sue profondità alla superficie, alla Luce dello Spirito, non c’è “ancora” l’autocoscienza dell’identità eterna tra fondo dell’Anima e Spirito: solo in quell’Istante l’anima come “sonno dello spirito” (Hegel) si desta! Ed ecco il senso dell’esperienza del Buddha cioè dello Svegliato! Non è (più) Anima ma tutto Spirito che ha rischiarato le Acque come un solvente calato entro di esse o come il Sole che le illumina e le rende trasparenti. Così quell’uomo non sarà più l’atomo soggettivistico, stupidamente gonfio di presunzioni inautentiche, ma riconoscerà nei Reali, nel Mondo, vedrà in esso l’oggetto medesimo che egli teneva “nascosto” nel fondo dell’anima… e non lo sapeva! Nell’Istante in cui l’uomo acquisisce il Sapere dell’identità tra Pensiero ed Essere, la dualità non solo non esiste (più), ma l’uomo conquista la Conoscenza che essa non è mai esistita: era solo illusione, inganno, sonno.

Ecco la Via indoeuropea che indica Platone, Ascesi filosofica, Via che riconduce l’uomo alla phýsisriconiuga l’uomo al Mondo (altro che orfismo dionisiaco…!) poiché non è fuga dal Mondo!

Platone, come anche penserà Hegel, non risponde in guisa reazionaria e nostalgica alla sfida della Modernità dissociante, sofistica e soggettivistica, rimpiangendo il bel tempo omerico ed i suoi eroi, ma si “serve” dell’uomo della modernità, che è “diabolico” (diabàllein = separare, tagliare, spezzare…) per indicargli, mediante la reminiscenza, il ricordo, che è l’anamnesi, la ricerca verso la consapevolezza e l’autocoscienza dello Spirito come forma tanto nel microcosmo (il fondo dell’anima dell’uomo) quanto nel macrocosmo (il fondo dell’anima del mondo) così che possa di nuovo dirsi: «lo stesso è il Pensiero e l’Essere»! (Parmenide) Questo è il Risveglio che muove esclusivamente dal soggetto, dai suoi limiti, dalla sua tragedia, dal Mondo stesso non negandolo a priori, ma convertendo il Piombo in Oro, la feccia in farmaco, come insegna la stessa Tradizione Ermetica, convertendo il relativismo in oggettivismo, nelle Idee che provengono dagli Dei, che sono gli Dei! Ed è l’Ascesi platonica. A differenza dei Misteri, tale Via è Ascesi filosofica, è la Via del Sapere che è Essere, è la natura profonda della stessa Filosofia che nasce dal culto religioso[4], dal culto oracolare (Delfi) come sua dimensione esoterica, nasce come rituale ascetico da perseguire per tutta la vita. Il Filosofo è il “nuovo” Sacerdote per il “nuovo” ciclo dell’umanità che è anche l’ultimo, prima dell’avvento dell’altro ciclo (come ci insegna Aristotele: Metafisica, XII, 8, 1074a, 38-b 14) e la sua è Ascesi della Contemplazione, egli però è oltre la sacerdotalità ed il piano religioso, che, come ha ben compreso Hegel, è sempre ancora dualistico, rappresentativo dell’ “oggetto”, del Dio come “altro” dall’Anima. Nell’Ascesi filosofica, che è la più alta e primordiale delle realizzazioni dello Spirito, vi è la identificazione assoluta: IO sono TE! Plotino parla di mònos pròs mònon, solo a solo, alla fine delle Enneadi, dopo aver attraversato e lasciato i simulacri dietro di se, le rappresentazioni “oggettuali” del Divino. L’Ascesi della Contemplazione parte dall’ “interno” per poi negarlo, ed è il momento spirituale della morte dell’anima come piccolo io, come soggetto, ed è l’alba della nascita della grande anima (magnanimitas, mahatma) come Spirito che non conoscerà più né “interno” né “esterno” e ritornerà ad essere ciò che è sempre stato: Uomo Cosmico, Vivente aperto al Mondo, dove lo Spirito è Uno ed è cosmico ed universale. Questo “interno” è il Medesimo dell’ “esterno” e lo è da sempre, anche se l’uomo scisso della caduta lo aveva dimenticato. Dalla Caduta, dalla sua coscienza nasce, nella crisi della conoscenza come oscurità della mente, tutta la Grande Opera che, ora, appare veramente come Opera Eroica. In essa vi è la religio come religatio, come riunione diCasalino 1 ciò che era spezzato (rectius: appariva Spezzato: Io e Mondo, “interno” ed “esterno”) vi è l’Arte, come linguaggio per parlare, operando, degli Dei perduti; vi sono tutti i Sacri percorsi che hanno tutti come meta il Ritorno, la Riconquista del Paradiso Perduto, lo stato dell’Unione (Realtà in verità mai perdute o mai eclissate ma solo momentaneamente-ciclicamente-tramontate…), della visione gioiosa, della contemplazione spontanea delle Idee che sono le Forme del Divino, sempre intelligibili, e sono gli Enti medesimi nella realtà della loro essenza che è la loro stessa esistenza, cioè il Mondo. Questo è il “percorso” stesso della Tradizione Ermetica che, a differenza dei Misteri e della loro spiritualità dualistica, è Ascesi eroica e sapienziale, dove il Sapere coincide con l’Essere, proprio perché tale esperienza dell’Assoluto è conoscenza che l’Assoluto non può che conoscere se stesso. In guisa straordinariamente indoeuropea in tale esperienza si corporifica lo spirito e si spiritualizza il corpo: che è come dire la realtà della Trascendenza Immanente, concetto che Hegel esprime in guisa simile quando afferma, alla fine del percorso iniziatico-sapienziale, che l’Assoluto è il Circolo dei circoli, l’Idea delle Idee; Hegel, anzi, alla fine della Scienza della Logica, non dà, enigmaticamente, alcuna “definizione” dell’Assoluto, lasciando intendere che esso è il Risultato dell’intero percorso ed è l’Intero… percorso! Ed è Assoluto sin dall’Inizio del processo: è la Verità del processo medesimo! Qui il processo non è cronologico poiché, trattando dell’Eterno, il Tempo non può che essere il Tempo del Logico ed è l’Istante fuori  dal tempo e dallo spazio di cui tratta Platone (Parmenide, 156 b-c;).

Infatti il riconoscere hegeliano della identità di  Soggetto con Oggetto, di Essere con Pensiero, è un “ricordo”, come un riapparire, dopo J. Boehme, nella moderna coscienza europea, ed ai massimi livelli del Pensiero, della primordiale unità dell’uomo cosmico aperto al mondo, che è l’uomo indoeuropeo.

In Hegel c’è la consapevolezza, che è coscienza filosofica, che solo la Filosofia, come percorso speculativo-sapienziale di natura iniziatica, è la riconciliazione di questa Unità perduta, di questa Identità Io-Mondo, Pensiero-Essere, Soggetto-Oggetto, che è la stessa conoscenza che nell’India vedica dice Braman è Atman. In Hegel riappare e si rimanifesta la grande “Lotta per lo Spirito” che già iniziò con Parmenide. L’identità Io-Mondo viene riconosciuta e si realizza (in Hegel) solo nella conoscenza filosofica, poiché la stessa consiste proprio nell’esperienza spirituale che l’Assoluto fa di Se stesso vedendo Se stesso  nell’uomo come l’uomo vede l’Assoluto dentro Se stesso, accendendosi così la scintilla nell’Istante che è la Realizzazione Anamnetica di cui parla il Divino Platone nella Lettera VII…! Ecco la natura e la finalità teosofico-iniziatica della Filosofia secondo Hegel, che in questo è l’erede della grande stagione Greca del Sapere e della teosofia iniziatica di Jacob Boehme. Nell’esperienza religiosa (come nei Misteri…), e lo abbiamo più volte evidenziato, vi è ancora la Dualità, la Dissociazione, vi è la posizione spirituale del Soggetto che non può che collocarsi “di fronte” all’Oggetto (la Divinità) e nella sua coscienza vi è la consapevolezza definitiva che Esso è Altro, anzi è l’Altro, al quale egli si può accostare solo mediante la fede, che è la convinzione della esistenza di Esso come Altro e della sua irraggiungibile ed inconoscibile “assolutezza”, talché il rapporto non potrà che essere e restare (ecco l’aspetto tragico della crisi…!) di subalternità.

NOTE

[1] J. EVOLA, La dottrina del risveglio, Milano 1965, p. 34 e 55; K. KERENYI, La religione antica nelle sue linee fondamentali, Roma 1952.

[2] G. CASALINO, l’Origine. Contributi per la filosofia della spiritualità indoeuropea, Genova 2009.

[3] In tale comunione, al contempo filiale e fraterna, vi è la profonda ed esoterica Verità della identità primordiale tra la natura dell’uomo e quella del Cosmo…!

[4]     K. ALBERT, Vom kult zum Logos. Studien zur Philosophie der Religion, Hamburg 1982.

3 Comments

  • argo 25 Giugno 2015

    Anzitutto un <> a Casalino per questo e per gli scritti precedenti e poi una domanda: quale è il corrispondente in termini plotiniani del succitato “Spirito” ^

  • argo 25 Giugno 2015

    precisazione: al posto del doveva esserci un “grazie”

  • Giandomenico Casalino 26 Giugno 2015

    Sono io che La ringrazio per l’attenzione indagatrice con la quale, gentile Lettore, segue l’esposizione delle Idee da me difese. Venendo al Suo quesito, Le dico che sotto il profilo semantico il corrispondente del termine tedesco Geist (Spirito) in Plotino è l’Uno, poiché è l’Assoluto in quanto è il Ritorno a Se stesso dopo aver esperito il viaggio iniziatico che è il Circolo della “uscita”, della “discesa” e della “salita”, essendo, per l’appunto, il Ritorno come realizzazione del “da solo a solo” cioè Uno.
    In ciò consiste la ragione filologica (che, come dimostra la vita e l’iter spirituale di Nietzsche, è anche e soprattutto filosofica cioè concettuale…) in forza della quale i più attenti traduttori delle Enneadi volgono in italiano il termine greco Nous non con il termine Spirito ma con quello di Intelletto.
    Che poi la parola “spirito” derivi direttamente dal greco pnèuma che appartiene al lessico gnostico-paolino, è altra questione altrettanto dirimente.
    Nei miei libri sostengo da tempo la tesi che tre sono le scienze propedeutiche al Sapere: filologia, semantica ed etimologia.
    Giandomenico Casalino
    Lecce, 26.06.2015 e.v.

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