11 Aprile 2024
Punte di Freccia

La lunga incomprensione – Mario Michele Merlino

‘Gli indecenti e servili’ non sono in grado di osare tanto. Parlare di Pasolini, mai. E’ come elogiare l’ansia antifascista della Boldrini o il grugno ottuso di Fiano… A distinguere tra camerati, va bene, i buoni e i cattivi, in camicia nera i primi mentre i secondi in quella bruna. Tutto facile, Renzo De Felice docet, si va tranquilli. ‘Facciamo storia’, dicono. ‘Non ci sporchiamo le mani’, aggiungono. Dal ‘male assoluto’ a una assoluzione per il saluto romano. Se picchiano in modo vile (e come potrebbe essere altrimenti?), sei contro uno, ci si scandalizza e ci si interroga e ci si lagna e si richiede pari sdegno come a Macerata o a Piacenza. Bambini viziati a cui hanno rotto il giocattolo. O tutto o niente. La parola barricata, ideale se si vuole, è affogata nel buonismo del corteo con le guardie a fare cordone protettivo e il salone dell’albergo per la conferenza stampa e giacca e cravatta e il conto delle percentuali possibili di crocette a consenso. E così va il mondo, oggi. Forse. Per altri fuoco e fiamme, un crepuscolo degli dei sulla tastiera. Anch’essi ‘indecenti e servili’. Irrecuperabile, io mi racconto. Per vanità, si dirà e non hanno torto…

E per raccontare che si può essere libertari nei diritti e fascisti nei valori, essere d’altro incanto. Con il titolo La lunga incomprensione, diversi anni fa, è uscito un buon libro che ripercorre il disagio e l’aperto conflitto vissuto nei confronti dello scrittore e regista Pier Paolo Pasolini da parte del PCI e della Destra (sia quella bacchettona della DC sia del radicalismo piccolo-borghese del MSI e dintorni). E a pesare, più che il contenuto dei suoi primi romanzi, fu l’omosessualità in clima di moralismo in cui si viveva immersi negli anni ’50 e metà di quelli ’60. Poi l’irrompere della contestazione del ’68 e le posizioni da lui assunte, fortemente critiche (ci tornerò sopra), non ne rasserenarono i rapporti il giudizio. Gli autori sono Gianni Borgna, dirigente comunista e assessore alla cultura del Comune di Roma nella giunta Veltroni, e Adalberto Baldoni, giornalista e già dirigente del Movimento Sociale. (Quando il 15 ottobre del 1960 mi iscrissi alla Giovane Italia, Adalberto fungeva da responsabile provinciale. E, nonostante le nostre strade divergessero, si mantenne reciproca stima e amicizia. Qui ricordo l’affettuoso biglietto che mi inviò alla morte di mio padre. Così, scrivendo egli numerosi libri, in più occasioni ci siamo sentiti e mi ha sempre correttamente citato. Come in questo su Pasolini. E fui fra gli invitati alla presentazione, in una prestigiosa sala del Campidoglio, in cui intervennero Valter Veltroni, che mi gratificò di idiote occhiatacce, e il sindaco Gianni Alemanno, inutile e dannoso). Ragazzi di vita è del 1955; del 1959 Una vita violenta. Il sottoproletariato le borgate i protagonisti lo scenario (quel Lumpenproletariat tanto dispregiato da Marx e osteggiato dai comunisti nostrani). Illuso come fosse l’alternativa ai modelli borghesi onnivori e omologanti. E la classe operaia, in fondo, ormai desiderosa della seicento e della settimana da trascorrere sulla costa romagnola… L’eroe pasoliniano, al contrario, è un violento, prigioniero del quotidiano ‘arrangiarsi’, ai margini della legge e della convivenza sociale. Un primitivo che trasforma la modernità in jungla e il benessere a lui estraneo in preda. Un bambino troppo cresciuto e mai divenuto adulto, impaziente e incapace di dominare passioni e desideri. Libero ma soprattutto ‘fascista’, secondo la vulgata di parte di quella pseudo-cultura progressista, che l’ha fatta da padrona per decenni. (Anarco-fascismo? Beh, non esageriamo. Ci sentivamo e ci sentiamo altro ed alto; fummo e siamo altra cosa, certo, ma con dei confini a volte troppo esigui e fragili). 1 marzo ’68, Valle Giulia. Bastoni e barricate in una mattina in cui pensammo come lo slogan ‘Siate realisti. Chiedete l’impossibile!’ fosse già nelle nostre mani, in menti ardite e cuori avventurosi. E Pasolini ci venne contro con la celebre poesia in cui ci descriveva borghesi dalla faccia cattiva ed egli a difesa del (povero) poliziotto, figlio (degenere) del contadino urbanizzatosi. Incauta affermazione perchè, pur vera sul piano sociologico, dimentica che tanta storia fu patrimonio di giovani che preferirono la pistola ai libri di scuola… Non migliorò certo il disagio, il distacco. Ormai egli andava arando in spazi altri e, in qualche modo, solitari come avviene sovente ai poeti che si rendono, come interpretava Nietzsche, degli ‘inattuali’. In tal senso possono definirsi gli Scritti corsari sul Corriere della Sera che si inaugurano con un articolo, in data 7 gennaio 1973, dal titolo Contro i capelli lunghi. Nelle ultime righe si legge: ‘Provo un immenso e sincero dispiacere nel dirlo (anzi, una vera e propria disperazione): ma ormai migliaia e centinaia di facce di giovani italiani, assomigliano sempre più alla faccia di Merlino’.

Senza cinismo la sua vicenda si conclude ambigua e sofferta sul lido di Ostia mentre la mia, simile a candela, sempre con i capelli lunghi, pur se ormai bianchi e sfibrati. Oppure l’intervista, che volle realizzare per la televisione, ad Ezra Pound, attento e rispettoso discepolo, quasi come un figlio di fronte a un padre tanto amato e infine ritrovato. ‘Abbiamo una linfa e una radice in comune – stabiliamo un patto fra noi’, citando i versi che il poeta americano aveva dedicato a Walt Whitman. E quel due volte ‘Curiosità! Curiosità!’ rivolto ai giovani a sua esplicita richiesta. E come non ricordare l’ultima sua poesia, scritta in lingua friulana ed edita nella raccolta La nuova gioventù (1974), intitolata Saluto e augurio e rivolta ad ‘un fascista giovane, – avrà ventuno, ventidue anni: – è nato in un paese – e è andato a scuola in una città’. A lui egli affida difendere il mondo contadino, ‘i paletti di gelso o di ontano, – in nome degli Dei, greci o cinesi. – muori di amore per le vigne. – Per i fichi negli orti. I ceppi, gli stecchi. – Per il capo tosato dei tuoi compagni. – Difendi i campi tra il paese – e la campagna, con le loro pannocchie – abbandonate. Difendi il prato – tra l’ultima casa del paese e la roggia. – I casali assomigliano a Chiese: – godi di questa idea, tienla nel cuore. – La confidenza col sole e con la pioggia, – lo sai, è sapienza santa. – Difendi, conserva, prega’. E tutto ciò gli viene affidato, non può essere altrimenti, in quanto ‘Destra divina – che è dentro di noi’. (Destra, come si vede, è scritta in maiuscolo. Vorrà pur dire qualcosa di altro ed alto verso la sciatteria del politichese. Contro anche, per evitare confusioni ignobili ed infide, quella aggrappata a scranni e prebende). Leggendola mi sono rammemorato di una notte, metà anni ’60, quando fu deciso – come eravamo improvvidi e smarriti! – di tirargli contro un barattolo di escrementi nei pressi della Casa dello Studente. Di tutta la vicenda ed esito si trovano nel libro di cui sopra, fedelmente riportati da Baldoni. Ricordi ormai lontani…

Deve tenervi una conferenza. Io mi inserisco nel branco. Di primo pelo come attivista e quale iscritto all’università. Per dirla con Drieu la Rochelle voglioso di misurare le mie (modeste) forze. Alcuni di noi si appostano all’inizio di via Cesare de Lollis, all’angolo del piazzale del Verano; all’altra estremità un secondo gruppo. Si è in pochi, anche per non farsi notare. Si attende, silenziosi, simili a cospiratori in compagnia della brace delle sigarette. Si pesta l’asfalto si scruta nel gioco di luce dei lampioni e penombre della sera. Ci si accostano in quattro o cinque, ci chiedono dove sia la casa dello studente. Spiazzati. Solo quando si allontanano, ci rendiamo che si tratta di Pasolini. Lo rincorriamo. Il secchio vola con molta approssimazione. Forse gli sfiora la spalla. Urla gente che accorre noi in fuga. Qualcuno salta in corsa nella macchina di un provvido soccorritore. Sfigato resto a piedi con un paio di camerati. E, qui, inizia un percorso di sequenze simili a film in bianco e nero, da torte in faccia… Il tram n.10 è fermo al capolinea. Vi saliamo sopra. ‘Chiudi le porte!’, ‘Parti!’, si urla. Serafico, l’autista: ‘Io non mi muovo. Non è ancora l’orario’. Scendiamo, sempre di corsa, mentre Pasolini e compagni vi salgono a loro volta. Inseguiti, noi, e inseguitori ci imbottigliamo verso San Lorenzo. (Necessaria la precisazione. San Lorenzo fu duro espugnarlo già nel ’22. Impraticabile per il MSI. Solo con azione squadrista, di notte, credo 1962, demmo di botte davanti alla redazione de L’Unità). Con il rischio d’essere linciati, studentelli in giacca e cravatta… Fu, allora, che alle nostre spalle sentimmo forte la voce di Pasolini urlarci ‘Al ladro! Al ladro!’, pur ben sapendo che la nostra era stata una ‘bravata’ fascista. In un quartiere ove rubare poteva essere titolo distintivo e di merito… E così fu. Trovammo rifugio e ce ne tornammo indenni a casa. Non ho risposta alcuna. Mi piace pensare, però, che già in lui cresceva la coscienza che solo quella ‘Destra divina’ avrebbe salvato ‘il mondo di ieri’, l’unico per cui allora ed oggi vale spendersi.

Mario Michele Merlino

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