13 Aprile 2024
Mussolini Predappio Punte di Freccia

Il frutto della memoria invincibile

di Mario M. Merlino

“a volte i fiori di ciliegio si librano nel vento della sera anche fra i casermoni delle città: Franco, Francesco, Stefano…”

Avevo sedici anni, una camicia nera ricavata da una bianca portata in tintoria, magro come un chiodo, gli occhiali dalla montatura pesante e un ciuffo di capelli incapace di lasciarsi dominare dal pettine. Estate del ’60, costa romagnola, le tedesche in cerca di sole pizza e frasi romantiche da sentirsi sussurrare all’orecchio mentre si sfilano i blues-jeans sulla spiaggia e le tue mani che cercano fra le cosce, per dirla con Céline, il senso del mondo… E prendo il treno per Forlì e la corriera, in piazza Aurelio Saffi, per Predappio. La prima volta, da solo, a trovare il Duce nella cripta del cimitero, fra cimeli targhe uno degli stivali che indossava al momento dell’assassinio le decorazioni del capitano di vascello Enzo Grossi lasciate lì a testimonianza. Irrigidito sull’attenti il braccio teso nel saluto romano. Nella penombra un dialogo a due, emozioni, atto di fedeltà…

Poi il rituale del viaggio a Predappio di noi giovani missini. Un pullman barcollante alzataccia di primo mattino appuntamento rigorosamente sotto il fatidico balcone la conta si parte tutto il repertorio di canzoni – ‘Battaglioni del Duce, battaglioni…’ e via in un crescendo di voci stonate e di autentica passione – arrivo ci s’incolonna saluti romani ‘presente!’ i negozi con una paccottiglia modello nostalgia chi se lo può permettere ristorante tagliatelle e Sangiovese per gli altri piadina o i panini portati da casa si riparte sosta per il caffè e pisciare il più delle volte rissa con i comunisti sassaiola bastoni catene i carabinieri che ti scortano sull’autostrada rientro da eroi ‘stanchi sporchi e  felici’…
Poi, mi pare fosse il ’78, una bomba idiota a devastare la tomba con ristrutturazione alquanto kitsch testone in porcellana drappo di velluto rosso scuro e ancora a Predappio. Questa volta in modo sobrio, un paio di amici, fuori dai giorni canonici – 28 ottobre, 25 aprile -, a volte d’inverno, con il cielo grigio una leggera pioggerellina il silenzio. Scopri che, in ogni stagione mese giorno, c’è qualcuno che va lì, come te, una volta una coppia in camper dal Belgio mi offre un passaggio, un’altra una famiglia venuta dall’Australia. Vi andai nella ricorrenza del centenario della nascita, mi ripromisi che sarebbe stata l’ultima volta, sinceri sentimenti fede adamantina al servizio dell’Idea, va bene, ma troppo forte il rischio di trasformare una storia alta nobile e tragica in spettacolo di decadente folklore con lo scivolare in rappresentazione clownesca… e, credetemi, lo dico senza saccenteria, polemica, disprezzo. Questione d’estetica, magari.
Estate del ’68. Da Monaco trovo una corriera che percorre strade provinciali immergendosi in paesaggi di straordinario fascino per natura e storia secolare. Direzione il Berchtesgaden Land, enclave in territorio austriaco, divenuto parco naturale in quasi tutta la sua estensione. Ci vogliono quasi tre ore di viaggio; gli occhi però non si stancano di vedere e la mente e il cuore si riempiono d’una aspettativa troppo a lungo coltivata. Scendo con sacco a pelo e zaino in spalla. Da qui con la funivia si può salire all’altopiano dell’Obersalzberg, ove Hitler volle il proprio rifugio e, ancora più in alto, il Nido dell’Aquila distrutto alla fine della guerra. In questi luoghi furono sparse parte delle ceneri di Leon Degrelle, per sua espressa volontà. Avanti a me una lunga fila eterogenea di turisti in attesa del proprio turno. Ci sono volti segnati, distanti e scolpiti dall’eredità di lotta e di sangue, di quella generazione che ha attraversato l’Europa da Narvik all’Ucraina, dal Baltico al Mediterraneo. Troppi i turisti, macchine fotografiche coni gelato e chewing-gum. Non fa per me. Poi, negli anni successivi, mi sono pentito. Mi do per vinto, m’incammino verso il Koenigsee.
In Germania non c’è alcun luogo che rimandi a qualcosa di analogo a Predappio, con un emporio alla Ferrini magliette portachiavi statuette calendari. Il corpo del Duce macellato e appeso a piazzale Loreto rinnova lo scempio d’italiche virtù. La Vita di Cola di Rienzo di Gabriele D’Annunzio ad esempio ha i caratteri della plebe mediterranea becera e furente. Sigfrido, al contrario, viene adagiato su una catasta di legno affinchè il corpo purificato ascenda alla luminosità del Walhalla. Nella Vosserstrasse solo un anonimo tombino nasconde il tubo di areazione del bunker ove, sotto il ritratto di Federico II di Prussia, il Fuehrer si tolse la vita e con lui la sua donna. Per lungo tempo abbiamo portato in noi quelle immagini oscene ed ignobili quasi come eredità d’una colpa collettiva. Eppure – e non appaia contraddizione con quanto scritto sopra – mi chiedo se non sia più ‘umano’ possedere un luogo ove ritrovarsi, pur con tutti gli orpelli l’esibizionismo la sgradevole arroganza di una comunità malandata e superficiale.
Un giovane avvocato tedesco, di cui condivido amicizia e stima, mi raccontava in buon italiano di aver voluto tenere lo stendardo del battaglione il giorno del giuramento degli ufficiali. ‘Per toccare qualcosa di concreto’, aveva risposto a chi gli chiedeva spiegazione. In contrasto con termini quali libertà democrazia e quant’altro a riempire un contenitore vuoto. Alla vigilia di Natale dell’anno scorso
o di due, hanno ritirato dai grandi magazzini della Germania un babbo natale di gesso perché, con il braccio levato, poteva ricordare il saluto nazista. ‘…sul bordo metallico della tettoia di un distributore di benzina, scorsi dei corpi umani appesi a testa in giù, come bestie macellate. (…) C’erano molte facce impietrite in mezzo a quella gente sulla piazza, ma la gran massa vociava e tumultuava imbestialita verso quel macabro palco… Quasi schiacciato nella calca e dominando a stento il raccapriccio, riuscii ad alzare il braccio destro come per districarmi, e così a tenderlo un attimo in un estremo saluto’.
Forse per quei volti impietriti, quel breve gesto di saluto, vale la pena avere Predappio, anche se il vento spazzando le nubi sull’Obersalzberg annuncia, a noi inguaribili ‘ottimisti’, l’annuncio di una aurora radiosa e radicata nel nostro cuore e domani, chissà, con strepitio di fanfare, rullo di tamburi.

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