29 Agosto 2024
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I limiti della scienza moderna: le tesi di Jean Josipovici – Giovanni Sessa

Il metodo scientifico moderno, quint’essenza delle procedure gnoseologiche del razionalismo e dell’empirismo, è ritenuto dal senso comune contemporaneo, oltre che estremamente efficace sotto il profilo delle realizzazioni pratiche, insuperabile nell’approccio conoscitivo al reale. Epistemologi di vaglia e scienziati di grande rilievo non sono latori della stessa lapalissiana certezza: il tratto dogmatico della scienza cartesiana è, da questi ultimi, messo in discussione. Al riguardo, si pensi, tra le altre, alla posizione di Popper, filosofo certamente non incline alle fisime dell’irrazionalismo, ma che disse il metodo moderno di ricerca essere infido in quanto poggiante, come le palafitte della preistoria, su un terreno in trasformazione e metamorfosi continua. Di natura decisamente più radicale la critica rivolta allo scientismo trionfante da Jean Josipovici, eclettico ed originale studioso francese.

Le sue tesi in tema sono raccolte in un volume recentemente pubblicato da IDUNA, La scienza oscurantista, per la cura di Luca Siniscalco, cui si deve l’interessante prefazione (per ordini: associazione.iduna@gmail.com, pp. 210, euro 20,00). Oggi il nome dell’autore è poco conosciuto nel nostro paese. Eppure, nei decenni scorsi, suoi scritti uscirono per Laterza, Rusconi e le Edizioni Mediterranee. Josipovici nacque nel 1914 e presto si trasferì al Cairo. Adolescente, visse un’esperienza di trance estremamente intensa. Si avvicinò ad una confraternita sufi, finché non ricevette una trasmissione iniziatica copta. Rientrato in Francia, fu affascinato dal magistero di Bergson e si laureò in filosofia all’Università di Aix-en-Provence. Fu, oltre che raffinato saggista, autore di novelle, romanzi e commedie. Intelligenza vivace, fu anche uomo di cinema, settore nel quale lavorò come regista e sceneggiatore. Sul piano spirituale, nella fase della maturità incontrò il Raja Yoga e il Buddhismo Zen. Trasferitosi in Italia negli anni Settanta, si dedicò con interesse allo studio di tematiche biologiche e mediche, in una prospettiva olista. Morì a Rossano nel 1952.

   Nelle pagine de La scienza oscurantista, Josipovici muove dall’assunto che la scienza moderna incontra il proprio punto apicale d’inveramento nelle discipline che hanno per proprio oggetto d’indagine l’uomo: biologia, medicina e pscicoanalisi. In tali ambiti, come rileva Siniscalco: «diventa manifesto come la meccanicizzazione determinista e materialista del sapere […] riduca […] il vivente a oggetto» (p. II). Per il nostro autore, come, più in generale, per il pensiero di Tradizione, il «vivente» ha uno spettro molto più ampio di quello riduzionista dello scientismo. Nello sviluppare tale assunto di base, Josipovici mostra grande competenza: a volte le sue pagine assumono il tratto proprio alla storia della scienza, essendo ricche di riferimenti a teorie, leggi e procedure di diverse discipline scientifiche. L’abilità dell’autore va colta nel sapere circoscrivere l’analisi minuta all’interno della prospettiva di storia delle idee. Ricorda il prefatore che, in qualche modo, sulla scorta delle indicazioni dei filosofi francofortesi, lo studioso francese chiarisce i momenti della dialettica dell’illuminismo scientista ma, a differenza dei suoi predecessori, presenta anche un’alternativa al modello razionalista.

Vediamo gli aspetti essenziali della critica alla scienza di Josipovici. Muoviamo dalla psicoanalisi, esito ultimo del moderno: essa relega l’umano alla sola dimensione psichica. Tale aspetto nella Tradizione aveva semplicemente il ruolo di medium tra la dimensione essenziale, quella spirituale, e la realtà corporea. Pertanto il freudismo è momento interno del riduzionismo scientista, non una sua possibile alternativa. Biologia e neuroscienze riportano l’uomo alla esclusiva funzionalità fisiologica. In realtà noi non siamo, sic et simpliciter, animali: non siamo un dato, ma un da farsi, in vista della libertà che costituisce la paradossale sostanza, il fondamento infondato della nostra natura. In una parola la necessità biologica, non può ostacolare il compito che ci spetta: diventare uomini a tutti gli effetti, liberarci della cosalità che pur vige nella nostra naturalità. La medicina, inoltre, nel mondo contemporaneo, sta assurgendo al ruolo di nuova Chiesa. Una volta ci si rivolgeva, per la cura dell’anima, al sacerdote, ora che la realtà è stata ridotta ad una sola dimensione, quella corporea, gli uomini si rivolgono, con la dovuta deferenza, al medico-brahmano, le cui sentenze sono avvertite dai più come capitali. Tutti si attengono ai precetti del falso salutismo e giovanilismo imperanti nella società dell’ homo farmaceuticus. Non potrebbe essere diversamente, la terapia medica mira a fornire efficienza fisica perché si possa svolgere al meglio «il ruolo», la funzione sociale, che ci è stata assegnata, oggetto esclusivo d’indagine della   sociologia. Il ruolo generico più diffuso, naturalmente, è quello del produttore-consumatore.

Tutto è silenziato, anche il corpo che, come intuì, con il titolo emblematico di un suo libro, Guido Ceronetti, è ridotto al silenzio. L’approccio scientifico, lo rilevò Schelling, con la sua vocazione analitica, parcellizza il reale. Sappiamo tutto della cellula, ma nessuno riesce a definire il senso totale della natura e della vita. L’errore dello scientismo va rintracciato nell’atteggiamento gnoseologico-operativo dualista che lo connota, il cui procedere muove dalla distinzione soggetto-oggetto. Insomma, su questo specifico tema, l’autore può essere accostato alle posizioni di Husserl, Heidegger, Guénon. Quest’ultimo ravvisava il limite della moderna scienza nella: «riconduzione […] di ogni elemento al dominio incontrastato della quantità, della materia e della misurazione» (pp. IX-X), a scapito del Principio. Individuata la ragione del decadere del sapere moderno, Josipovici propone, come opportunamente rilevato da Siniscalco, una terapia mitico-simbolica atta a restaurare la sintonia uomo-cosmo.

   Di essa dovrebbe essere latore un uomo liberato dalla riduzione della sua natura al mero ingranaggio sociale. Solo un soggetto animato da intuizioni totalizzati, atte a cogliere l’Uno nei molti, sarà in grado di portarsi di là del rapporto polemologico degli opposti, proprio della visione meramente intellettuale della physis. Allora il suo occhio, diverrà assoluto e comprenderà che in tale condizione: «non si vive la vita: si è la vita, con quello che essa possiede di possibilità estreme» (p. XV). Josipovici ci dice che oltre la deriva della modernità illuminista è possibile, recuperando l’approccio olistico al reale, fondare un’altra modernità, una modernità qualitativa che, al nulla, contrapponga il ritorno all’origine.

Giovanni Sessa

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