10 Aprile 2024
Controstoria

FIUME, 3 MARZO 1922: cannonate squisitamente fasciste (2^ parte) – Giacinto Reale

  1. Quindici mesi di passione, e poi finalmente: Italia

A Fiume, nei primi mesi del 1921, è tutto un fiorire di iniziative autonomiste, promosse dagli uomini di Riccardo Zanella, prudentemente riparati a Buccari, in territorio croato, sotto la tutela del Governo jugoslavo.

Lo spirito di tali iniziative era già stato reso evidente dal volantino che essi avevano diffuso in città mentre erano ancora in corso gli scontri tra i difensori dannunziani e l’Esercito italiano:

Fiumani! I Carabinieri e i soldati fedeli al Re e devoti all’Italia combattono con enormi sacrifici, per liberare la città nostra da Gabriele d’Annunzio, il più grande delinquente dell’epoca, e dai briganti suoi seguaci che assassinano Fiume i nostri fratelli. (1)

Non vi sarà più alcuna possibilità di conciliazione, dopo queste parole, anche se ad esse non seguono i fatti. Le armi fornite da Giolitti sono entrate in città, i “rinnegati” della causa ci sono (dalla loro parte si schiera anche il secondo Battaglione fiumano), ma ad essi manca la determinazione e, soprattutto, un Capo degno di questo nome, perché Zanella, bravo nei comizi e sulla pagina scritta, non è certo uomo d’azione. Non si fa vedere in città nelle giornate del “Natale di sangue”, ed eguale prova di incapacità darà negli avvenimenti successivi.

Della stessa pasta sono fatti i suoi seguaci:

 

La verità è che agli zanelliani non mancheranno mai pistole e bombe da usare all’occorrenza. Zanella ne aveva acquistate parecchie per conto suo e se ne era fatte dare altre dal Governo italiano alla vigilia del “Natale di sangue”, ma pistole e bombe servono a poco se non si hanno gli uomini con il coraggio di usarle. Questo coraggio, la parte zanelliana non l’ebbe mai e non l’avrà nemmeno quando l’aggressione violenta alla legittimità del proprio Stato e all’integrità del proprio Presidente avrebbero forse richiesto di versare qualche goccia di sangue in più. (2)

A tenere a bada gli autonomisti più spinti, da gennaio in poi, con un appoggio più formale che sostanziale al Consiglio Nazionale, bastano il centinaio di aderenti al Fascio cittadino, i Legionari rimasti e che hanno ancora voglia di battersi, e, soprattutto, l’incombente, avvertita presenza dei camerati triestini e di Francesco Giunta.

L’aiuto triestino è indispensabile per un Fascio che, prima relegato in un ruolo secondario dalla sovrastante iniziativa del Poeta, si trova impreparato, anche per mancanza dei minimi mezzi finanziari, ad assumere ora la guida del fronte annessionista.

Né la situazione accenna a migliorare col passare del tempo. Ancora a maggio, da Fiume partirà una estrema e disperata richiesta di aiuto ai vertici del movimento:

Il Fascio fiumano di combattimento, che, nella città stremata finanziariamente ha finora lottato da solo, con le proprie forze, si trova oggi nelle condizioni di non poter più continuare nella sua azione per deficienza di mezzi….

Oggi, se soccorsi finanziari non giungono dall’esterno, il Fascio fiumano, che in città non trova alimento per le disastrose condizioni economiche e valutarie, dovrà cessare la sua attività. (3)

 

Se per le necessità finanziarie il ricorso agli Organi centrali è obbligato, è a Trieste che si guarda per tutto ciò che concerne gli aiuti volti ad assicurare la sopravvivenza “fisica” dei mussoliniani e l’azione antizanelliana in una città ancora annichilita dalla brusca fine del sogno dannunziano.

D’altra parte, è stato proprio Giunta, incontrastata guida del Fascio triestino, ma che con azioni come l’incendio del Balkan e con un proselitismo premiato dal pieno successo, si è guadagnato ormai un ruolo nazionale nell’arrembante fascismo del primo semestre del 1921, a prendere impegni in prima persona:

Abbiamo quasi perduto l’Adriatico, abbandonata la Dalmazia, compromesso forse l’esistenza stessa di Fiume. Ebbene, noi giovani, noi amanti del nostro Paese, dobbiamo riparare agli errori dei Governi, o ai colpi del fato: occhio a Fiume, occhio alla Dalmazia, occhio all’Adriatico.

Penetrazione ed espansione con i nostri commerci, col nostro danaro, coi nostri prodotti, con la nostra intelligenza, con la nostra civiltà. È un programma vasto quanto l’amore di chi è stato tradito….

L’amore e lo spirito ribelle di Fiume staranno chiusi nei nostri cuori ad alimentare la lotta. Può darsi che il Comandante, dopo aver disperso i lembi palpitanti del suo grande cuore, resti con noi, convinto che ancora non tutto è perduto per creare la grande Patria. (4)

Per il momento, comunque, in attesa che maturino eventi più risolutivi, c’è l’appuntamento delle elezioni per la nomina della nuova assemblea Costituente, fissate per il 24 aprile.

I fascisti vi partecipano, a sostegno del Blocco Nazionale, che tutto lascia prevedere risulterà trionfatore, tanto che lo stesso Mussolini arriva in città per un comizio, il 21 aprile.

Le cose non vanno, però, nel senso sperato. Le divisioni, all’interno del Blocco tra annessionisti “storici” (guidati da Riccardo Gigante), dannunziani (che fanno riferimento a Giovanni Host Venturi) e fascisti (in una situazione organizzativa confusa, dopo la partenza di Nanni Leone Castelli), la minore capacità politica in confronto ad un navigato esperto di traffici di voti e maneggi elettorali come Zanella, provocano un risultato disastroso.

Risultato temuto, ma solo come remota possibilità, al punto che, in tale malaugurata ipotesi, erano stati presi accordi con i Fasci dell’Istria e di Trieste per un loro intervento, se necessario.

La situazione prende però la mano ai “nazionali”. La vittoria certa degli autonomisti, valutata in 3.000 voti di distacco su 13.000 elettori iscritti nella lista (anche se, per quel che diremo, i dati certi non si avranno mai) provoca una reazione tanto furiosa quanto improvvisata.

Al comando di Gigante, uomini penetrano, sventolando un Tricolore, all’interno del Tribunale e incendiano le schede, con un gesto plateale ma inutile, perché gli scrutini sono già stati fatti e i verbali di ogni singola Sezione elettorale sono stati messi al sicuro dal Presidente Cirillo Nachtigall, anche se, però, la sua pur tempestiva azione autorizzerà astiose polemiche sulla attendibilità-incontrollabilità di tali verbali, in assenza delle schede.

Si verifica, per di più, a conferma di quanto detto sul clima non proprio idilliaco tra i componenti del Blocco, uno spiacevole episodio.

Horst Venturi, nella concitazione dell’azione, “perde il contatto” con gli altri, e basta questo perché in città riprenda forza la malevola voce che lo aveva definito, alla conclusione dell’avventura dannunziana, “il più grande tagliatore di corda dell’universo”.

Si tratta solo di una maldicenza, perché lui, protagonista dell’irredentismo cittadino, volontario in guerra (da qui l’aggiunta di “Venturi” al suo cognome, per evitare la fucilazione immediata come disertore, in caso di cattura da parte degli Austro-ungarici), si era guadagnato tre medaglie d’argento, da Alpino e poi Comandante di Reparto d’Assalto, dando cioè abbondanti prove di coraggio.

Eppure, il passato poco può contro la calunnia che aggiunge legna al fuoco zanelliano e contribuisce ad alimentare il clima “da baraonda” che domina in città.

I fascisti “espellono” i poliziotti (compreso il Questore) filozanelliani, assaltano la casa del loro nemico, occupano, sotto la guida di Giunta arrivato da Trieste, il Palazzo Municipale. I loro avversari, impauriti, si rifugiano a Buccari, dove, sotto la solita protezione jugoslava, formano una specie di Governo in esilio.

Antonio Grossich, dal canto suo, si dimette dall’incarico di Governatore provvisorio, e i poteri passano a due commissari straordinari, Salvatore Bellasich e Host Venturi, che però, deve scontare il discredito per i fatti del 24 aprile ed è costretto ad abbandonare.

È in queste settimane che esplode, con la pubblica ammissione del Ministro Sforza alla Camera, il 25 giugno, una questione sempre rimasta un po’ ambigua, e cioè la cessione alla Jugoslavia di Porto Baross (per gli Italiani, Porto Sauro), in base a quanto previsto dagli accordi di Rapallo.

Tali accordi, infatti, prevedono, per ciò che riguarda Fiume, la creazione di uno Stato indipendente, senza alcun controllo di organismi internazionali, formato dal Corpus separatum con l’aggiunta di una striscia di territorio che garantisca la contiguità all’Italia, ed escludono, pertanto la zona del Porto.

 La reazione in città non si fa attendere. Le manifestazioni si susseguono, e tre giorni dopo, da uno sbarramento di Alpini posto a presidiare la zona contesa, viene aperto il fuoco contro un corteo di protesta. Sul terreno restano 7 morti e 27 feriti.

L’eco dell’episodio è forte in tutto il Paese, particolarmente negli ambienti vicini al fascismo. Da più parti arrivano in città volontari desiderosi di impedire la cessione. Tra quelli provenienti da Bologna c’è, tra gli altri componenti un gruppo di Arditi, Giancarlo Nannini, “ragazzo del ‘99”, Tenente al fronte, ferito in combattimento e medaglia di bronzo. Egli è anche, al fianco di Arpinati, componente del Direttivo del Fascio petroniano, nel quale riprenderà il suo posto al rientro da Fiume, per poi finire tragicamente, nelle giornate della Marcia, ucciso dai Carabinieri.

Proprio ad un suo camerata rimasto nel capoluogo emiliano, così descrive la situazione a Fiume:

 

Caro Baccolini,

ti scrivo solo ora, che, nei giorni passati, un po’ ho lavorato, un pò sono stato a godere il fresco nelle cantine delle carceri fiumane.

In Italia, io credo, non si ha nemmeno la più lontana idea della posizione di Porto Sauro ed ella necessità che ne hanno i Fiumani. Ti basti dire che dal porto alla piazza Dante, che è la piazza principale, corre una distanza di appena quattrocento metri. Ti basti sapere che le case che prospettano il porto sono tra le migliori e le più centrali, abitate da una popolazione italianissima.

In città ci vedono assai di buon occhio e non risparmiano occasione e non lasciano passar giorno senza tributarci dimostrazioni di affetto. Ogni mattina gruppi di donne e di cittadini s’adunano alla banchina per consegnare alle nostre barche i viveri, ogni sera, sull’imbrunire, eludendo la vigilanza, forzatamente rigorosa, dei Carabinieri, gruppi di Fiumani ci vengono a visitare e gruppetti di Arditi arrivano in città.

Noi lavoriamo. Io comando il posto più avanzato (Presidio Delta) proprio dove cominciano le prime case di Sussak, tana di Croati. (5)

In realtà, comunque, le vittime del 28 più che riaccendere la mai sopita tensione in città, danno una spinta alle iniziative di pacificazione, che sanino anche la ferita delle elezioni di aprile.

Persino i fascisti, che pure avevano costretto il “perfido cittadino” ad abbandonare in fretta Fiume e rifugiarsi nuovamente oltre confine, danno ora il loro consenso alle trattative. Il 5 ottobre si arriva, finalmente alla prima adunanza della Costituente mai insediatasi prima, che nasce sotto in peggiori auspici, sempre per i maneggi di Zanella e la sua smania di vendetta.

D’Annunzio lo aveva previsto, quando il 27 aprile, conosciuto l’esito elettorale, aveva indirizzato un messaggio ai Fiumani, praticamente riconoscendo in Gigante, “l’uomo dal fegato secco” l’unico in grado di tenere alta la bandiera della “sua” Fiume.

Il Governo autonomista, intanto, va dritto per la sua strada. Per ciò che riguarda il controllo della situazione dell’ordine pubblico, viene pubblicato un bando per l’arruolamento di 600 nuovi poliziotti, che porta all’esagerato numero di 790 il totale degli uomini a disposizione del Governo.

Il fatto che, più che prevedibilmente, i nuovi arruolati saranno selezionati secondo il criterio della fedeltà al gruppo dirigente autonomista, dà corpo al timore che si vogliano così porre le premesse per l’instaurazione di un regime di terrore e antitaliano. Su altro versante, per assicurare poi i necessari mezzi finanziari, è firmata una convenzione che garantisce, da parte dell’Italia, un prestito di 250 milioni di lire alle casse del neo-costituito Governo, che appare indicare l’intenzione di “durare”, a qualunque costo.

Questa ansia di fare di Fiume una città “commerciale”, spogliandola cioè di quel precedente significato di riferimento politico per popoli e Nazioni che aspirino alla libertà, contro i tiranni di ogni genere, politici e finanziari, è alla base anche della convenzione che assegna alla Standard Oil , per una somma complessiva di 250.000 lire una tantum, più un modesto contributo annuo, la locazione di un vasto terreno portuale-ferroviario, per realizzare un polo del commercio con la Jugoslavia e l’Oriente in genere, della Compagnia petrolifera.

Per attuare il suo programma, Zanella ha però bisogno, innanzitutto, di tenere sotto controllo la situazione dell’ordine pubblico. È per questo che, il 6 dicembre, dispone il parziale allontanamento dalla città dei Carabinieri che, a suo dire, non hanno contrastato nei modi dovuti l’esposizione di una bandiera tricolore al balcone del palazzo del Governo, fatta da un fascista introdottosi all’interno con uno stratagemma. La cosa non sembra di buon auspicio e non appare finalizzata alla pacificazione degli animi.

Infatti, ad aggravare le preoccupazioni, si diffonde la notizia che egli, nel contempo, si sta industriando per procurare sempre più armi ai suoi gendarmi. Anche questo viene interpretato come sicuro segnale di una sorte ormai segnata per i cittadini di sentimenti italiani.

Ancor prima che sia realizzato l’arruolamento dei 600 pretoriani del nuovo padrone della città, si respira per ogni dove, e soprattutto vicino ai palazzi del potere, un’aria nuova:

Il Palazzo riprese la sua faccia antica da mastino e fu protetto da sacchetti di sabbia alle finestre, da canne di mitraglia in tutti i vani, da un cannoncino sul balcone, e, in alto, sventolò la bandiera del Comune.

I masnadieri dell’Istria si accamparono nelle sue stanze, e ivi avvennero orge che i cittadini definivano, sottovoce, spaventose.

Nella città era rimasto qualche gruppo magro di Legionari che si era aggregato alle squadre del Fascio, ma erano pochi e male armati, e ogni giorno ne moriva qualcuno in imboscate. Il popolo nelle chiese bruciava candele e colmava gli altari di fiori, perché ritornasse il sereno.

Il cavallo dell’Apocalisse riapparvero nel cielo della città.

…Intanto il Palazzo si era circondato di una fitta rete di impalcature, e sul frontone era stato scalpellato lo stemma austro-ungarico, ricoperto sino allora da una mano di vernice, per sostituirvi quello del nuovo Staterello. (6)

 

Foto 3: Giovanni Host Venturi

Foto 4: Giancarlo Nannini

 

NOTE

  1. in: Amleto Ballarini, L’antidannunziano a Fiume, Riccardo Zanella, Trieste 1995, pag. 215
  2. Ibidem, pag. 226
  3. in: Antonella Ercolani, La fondazione del Fascio di combattimento a Fiume tra d’Annunzio e Mussolini, Roma 1996, pag. 191
  4. articolo intitolato “Sulla via maestra”, apparso su “Il Popolo di Trieste” del 7 gennaio 1921, ora in: Francesco Giunta, Essenza del fascismo, Roma 1923, pag. 30
  5. in: (a cura di) Eugenio Capelli, Gli scritti del Tenente Giancarlo Nannini, Bologna 1923, pag. 22
  6. Garibaldo Marussi, Assalto al Palazzo, Ancona 1940, pag. 151

 

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