11 Aprile 2024
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Federico Prizzi e l’antropologia della Carelia – Luca Valentini

Il primo antenato della famiglia viene venerato in modo particolare e la sua anima è necessaria come spirito protettore della casa” (1).

I racconti legati alle varie guerre spesso sono accompagnati slanci dell’uomo di rado rivolti verso la pura spiritualità, verso il bello, verso lo Spirito, ma, per lo più, sono tendenze telluriche che in certe situazioni emergono e si esplicitano. Vi sono, però, delle luminose eccezioni, in cui, nonostante le plubee catastrofi che ogni conflitto armato conduce con sé, nell’era moderna della macchina e della tecnica, si aprono degli spiragli inaspettati tramite cui, nonostante tutto, le manifestazioni del Sapere e del Divino possono anche ed ancora essere riscoperte e nuovamente studiate ed approfondite. Uno di questi bagliori inaspettati è stato colto recentemente dall’antropologo e storico militare Federico Prizzi, che per NovAntico Editrice ha pubblicato un suo nuovo testo, Ahnenerbe in Filandia. Le ricerche antropologiche sul fronte della Carelia, dedicato agli studi dell’antropologo finlandese Yriò von Grònhangen sin dagli anni precedenti rispetto allo scoppio del secondo conflitto mondiale. L’Ahnenerbe era la “Società di ricerca dell’eredità ancestrale”, inserita in alcune compagini paramilitari tedesche degli anni ’30, spesso associata erroneamente a pratiche di natura sataniche, si dedicava, come anche il testo in recensione dimostra, allo studio delle radici spirituali e folkloriche del mondo indoeuropeo, confermando le arcaiche origini siberiane della nostra civiltà, ormai divenute dato accettato e certo dall’attuale filologia, non certo di ispirazione nazionalsocialista.

Dopo le spedizioni in Tibet e Amazzonia, le ricerche di tale società furono arricchite dagli studi del von Grònhangen, che ci presenta una Carelia non molto dissimile dalla nostra Italia preromana e magnogreca, ricolma di sciamani, di sapienti, di magia trasmutatoria e popolare. Chi ben conosce l’atmosfera sacrale in cui si mossero i nostri Parmenide ed Empedocle, potrà cogliere in questa magistrale riscoperta della cultura finlandese delle assonanze inaspettate, quasi la musica sottile della Natura e delle magiche Rune possano e sappiano ricondurre gli animi ad una comune koinè spirituale. Non casuale, infatti, è l’accostamento operato in un saggio di Gabriella Chioma (2) tra la magia naturale della donna Miron – Aku in Finlandia e quanto la Tradizione ci ha riportato circa le profondità trasfiguratrici delle pratiche stregoniche (avulse da un’accezione negativa, di comune uso cristiano) presente tra i Monti Sibillini, tra le Marche e l’Abruzzo, ma anche nelle zone ligure delle Cinque Terre:

Ci troviamo così di fronte ad una “circolarità” del sacro che nella essenza profonda supera e trascende qualsiasi jato spazio – temporale, creando il fil rouge sapienziale che unisce ogni luogo, ogni comunità, in ogni tempo dove esistano persone di “buona volontà” “ (3).

Infatti, come in tutte le civiltà arcaiche, anche la tradizione in Carelia possiede il suo poema di eroi e divinità, il Kalevala, come lo sono per noi l’Iliade e l’Odissea di Omero e l’Eneide di Virgilio, in cui il mito e l’allegoria conservano arcaiche pratiche di risveglio degli stati di coscienza, legate ai misteri del cosmo, della Natura ed all’uso magico delle Rune:

Raccontavano della lotta degli eroi del grande Kalevala con l’oscuro potere dei lapponi. Conoscevano la saggezza e la forza, che operavano attraverso la musica e la parola. Cantavano della pace, che regnava tra gli uomini e gli animali, della ricchezza e della povertà del popolo, della gioia e del lavoro, della morte e dell’immortalità” (4).

Lo spaccato che Federico Prizzi ci offre con il suo bel libro è netto, sincero, assolutamente realistico di come una civiltà, la propria arte figurativa, il proprio folklore, la comunanza sacrale di un popolo si siano perpetuati nel corso dei secoli e nonostante le vicissitudini e le guerre, ridonando parola ai protagonisti, con musiche, poesie, proverbi, che testimoniano tutta la vitalità che dai primordi, in quelle lontane latitudini ancora dimora. Da Y. von Grònhangen, a J. W. Goethe, a J. Grimm, fino a H. Baumann, il curatore dell’opera offre ai propri lettori non un libro di guerra o di orrori, come potrebbero pensare chi erroneamente o volutamente fraintende ciò che fu l’ Ahnenerbe, ma una voluminosa ed impegnativo volume di ricca antropologia sacrale e delle origini, che, ce lo auguriamo, possa essere da stimola, anche per noi, nel non demordere nello studio, nell’approfondimento, nella ricerca dell’Origine, al di là delle contingenze politiche o delle strumentalizzazioni ad esse correlate.

In conclusione, un fattore che a nostro avviso chiude perfettamente il cerchio delle nostre sintetiche considerazioni. Un capitolo particolare il lettore potrà trovare nel mezzo del testo di Federico Prizzi, “Sul Culto dei Morti presso i Finlandesi”(5), sempre a cura dell’antropologo finlandese Yriò von Grònhangen, in cui la concezione finnica dell’oltrevita appare praticamente identica rispetto a quella del mondo arcaico mediterraneo, seppur nelle sue specifiche differenze. La morte viene assunta come un mutamento di stato e non come una cessazione dell’esistenza e gli Avi trapassati vengono percepiti come entità sempre presenti nell’esistenza e nella continuità della comunità e della famiglia, tanto da essere invocate per le guarigioni e le commemorazioni, rappresentando l’antenato il fuoco stesso, di natura sottile, del focolare domestico:

Davanti al letto del morto si trova acqua da bere e una candela arde per la notte nella stanza accanto o davanti all’immagine di Dio. Un fuoco arde per tutta la notte in una ciotola di olio. Questo dimostra ancora che la luce viene usata per il ritorno dell’anima” (6).

Note:

1. Federico Prizzi, Ahnenerbe in Filandia. Le ricerche antropologiche sul fronte della Carelia, NovAntico Editrice, Pinerolo 2019, p. 135;
2. Ibidem, p. 37;
3. Ibidem, p. 49;
4. Ibidem, p. 117;
5. Ibidem, p. 133;
6. Ibidem, p. 145.

Luca Valentini

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