12 Aprile 2024
Bardeche Libreria Recensione

Fascisti si nasce a cura di Alessandro Cavallini

 

C’è un bellissimo libro di Maurice Bardeche, pubblicato dalle edizioni di Ar, il cui titolo è “Fascisti si nasce”. Mai titolo fu più azzeccato di questo. Come notava infatti Armin Mohler, il Fascismo più che ideologia è stato uno stile, inteso come visione della vita. E lo stile, in effetti, è innato: o ce l’hai o non ce l’hai, nessuno può insegnartelo.

La nascita però è solo il primo passo di quella magnifica esperienza che è la vita umana. Passo necessario e fondamentale ma non unico. Teniamo ben a mente il motto pindarico ripreso da Nietzsche: “divieni ciò che sei”. E’ necessario conformare la nostra immagine all’idea che ci siamo fatti di noi stessi; il rischio è altrimenti quello di ricadere in una sorta di fatalismo impotente, cioè quanto di più lontano dalla Weltanschauung fascista. Pensiamo a Hiroo Onoda, il militare giapponese che trent’anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale teneva ancora la propria posizione sull’isola filippina di Lubang, in base agli ordini ricevuti. Questa la sua giustificazione del comportamento tenuto: “In qualità di ufficiale dell’esercito imperiale avevo ricevuto una consegna. Sarebbe stato vergognoso per me non essere all’altezza di rispettarla”. Come non provare un profondo senso di rispetto di fronte ad un uomo di tale schiatta?

Ma per essere realmente fascisti dobbiamo prima chiederci cosa sia stato il Fascismo. Se si è trattato semplicemente di un fatto storico, nulla quaestio. Quel fenomeno si è storicamente esaurito nel 1945 e non avrebbe più alcun senso cercarne una qualche riproposizione politica. Ecco perché riteniamo quanto meno ingenue le polemiche, ancora esistenti, tra socializzatori e corporativisti oppure tra “sinistra” e “destra” fascista. Il mondo è profondamente cambiato negli ultimi settant’anni. Pensare di trovare soluzioni politiche a quanto si è cercato di fare negli anni Trenta in Europa è chiaramente anacronistico.

Vi è però un’altra interpretazione del Fascismo, fatta propria anche da Bardeche, che ritiene lo stesso un fenomeno metastorico e, in quanto tale, ancor oggi riproponibile, seppur con sembianze differenti. Lo scrittore francese fa gli esempi di Sparta e dei Sudisti come fenomeni “essenzialmente” fascisti. Noi riteniamo, si parva licet, che vi sia qualcosa di ancor più origin-ario nell’esperienza fascista: il riaffermarsi, nel Vecchio Continente, dell’antico retaggio indoeuropeo e precristiano.

E’ vero che i fascismi europei hanno assunto tutti una posizione protettiva nei confronti della religione cristiana. Ma si è trattato, soprattutto, di una protezione formale. Basta leggere quanto scritto ne La dottrina del Fascismo, redatta da Mussolini in prima persona: “Lo Stato fascista non rimane indifferente di fronte al fatto religioso in genere e a quella particolare religione positiva che è il cattolicismo italiano. Lo Stato non ha una teologia, ma ha una morale. Nello Stato fascista la religione viene considerata come una delle manifestazioni più profonde dello spirito; non viene, quindi, soltanto rispettata, ma difesa e protetta. Lo Stato fascista non crea un suo «Dio» così come volle fare a un certo momento, nei delirii estremi della Convenzione, Robespierre; né cerca vanamente di cancellarlo dagli animi come fa il bolscevismo; il fascismo rispetta il Dio degli asceti, dei santi, degli eroi e anche il Dio cosi come visto e pregato dal cuore ingenuo e primitivo del popolo”.

Più chiaro di così! Il Fascismo, movimento nazionalpopolare,  proteggeva la religione cristiana in quanto elemento fondativo dell’identità del popolo italiano ma nulla più. Per chi avesse ancora dei dubbi, sarebbe sufficiente rileggersi quanto pronunciato dal Duce alla Camera dei Deputati il 13 maggio del 1929, dopo l’accordo firmato con la Santa Sede: “Lo Stato fascista rivendica in pieno il suo carattere di eticità: è cattolico, ma è fascista, anzi soprattutto esclusivamente fascista. Il Cattolicesimo lo integra, e noi lo dichiariamo apertamente, ma nessuno pensi, sotto la specie filosofica o metafisica, di cambiarci le carte in tavola”. Questo perché vi era piena consapevolezza dell’alterità tra la visione giudeocristiana della vita e quella propriamente fascista che, consapevolmente o meno (probabilmente con maggior comprensione in Germania), si richiamava all’antica indentità (indo)europea precristiana.

Oggi perciò chi, anche solo sentimentalmente, si dichiara erede dell’esperienza (meta)storica del Fascismo, deve impegnarsi principalmente nella lotta per la riaffermazione della nostra vera identità come Europei. Ecco perché la battaglia principale non può che essere quella contro l’immigrazione. Se il Vecchio Continente continuerà con le politiche immigrazioniste degli ultimi decenni, a breve non vi sarà più un popolo europeo biologicamente inteso.

Sicuramente, come insegnava Evola, una corretta teoria della razza non può dimenticare la tripartizione spirito-anima-corpo e la loro relazione gerarchica. Ma se non dovessero esserci più europei e l’Europa diventare una poltiglia informe in stile melting pot a stelle e strisce, come potremmo pensare di ricavare un’elite aristocratica da questa melma? Ecco perché dobbiamo opporci con tutti i nostri mezzi all’immigrazione e ai suoi sostenitori. Senza fretta ma senza tregua, pena l’estinzione della nostra identità etnoculturale e razziale.

 

2 Comments

  • Daniele Bettini 22 Gennaio 2016

    Cesari Raul – CONTRIBUTI PER UNA VISIONE APOLLINEA DEL MONDO
    http://studirazziali.xoom.it/virgiliowizard/r-cesari

    Pag 167 e 177 Negli anni 60 apparve, tradotto dal francese, un libro di M. Bardeche dal titolo: “Cos’è il Fascismo?” in cui l’autore, dichiarandosi
    apertamente, e, visti i tempi, anche coraggiosamente, “scrittore fascista”, cercava di coglierne l’essenza, senza però mai uscire dalla
    dimensione meramente sociale. Giorgio F. Freda, in un articolo di presentazione, evidenziava molto bene il limite inaccettabile di
    una simile analisi: “Costruire strade, acquedotti, scuole prosciugare paludi, aumentare i raccolti: tutto ciò non determina nulla di
    differenziale nel Fascismo rispetto a un comune governo di ordinaria amministrazione”. Poi proseguiva considerando il dato di gran
    lunga più rilevante, cioè che il Fascismo, contrariamente a quanto pensava lo scrittore francese e tutti quelli che continuano a
    pensarla come lui, rappresentò soprattutto: “una forma assoluta, che venne a caratterizzare un determinato periodo della storia
    mondiale”. Questa è esattamente la verità che anche il presente studio cerca di indagare a fondo. Ma la conferma definitiva di una
    tale posizione la troviamo nello stesso “Mein Kampf”, là dove il Fuerher scrive: “Chi oggi crede che uno Stato Nazionalsocialista si
    debba distinguere dagli altri Stati in modo puramente meccanico grazie ad una migliore costruzione della sua vita economica,
    grazie ad un migliore equilibrio tra povertà e ricchezza, o ad una maggiore partecipazione di vasti strati all’economia del paese, o
    ad una giusta retribuzione, si è fermato all’esteriorità e non ha nessuna idea di ciò che per noi è una concezione del mondo”. Già
    Thomas Mann (“Memorie di un impolitico”) aveva scritto “ritengo sia molto tedesco unire una certa pulizia sociale alla profonda
    avversione per ogni sopravvalutazione della vita sociale” . La legittima ricerca della “giustizia sociale” non deve avere lo scopo di
    esaurire la vita, ma di conquistare l’Anima del popolo. È quello il momento in cui lo Stato interviene per l’opera di gran lunga più
    rilevante: l’unica per cui egli esiste in quanto realtà in grado di chiedere sacrifici! In una gerarchica stratificazione del “valore”
    l’aspetto sociale è semplicemente l’ultimo (per questo è subito compreso da tutti), e ultimi sono quelli che vi partecipano totalmente.
    Cerchiamo allora, almeno noi, di concentrare l’attenzione su quella “forma assoluta” di cui parla giustamente Freda, lasciando
    perdere gli aspetti meramente sociali di un “Fascismo di sinistra o di destra” che sia, i quali, privi di quel riferimento centrale, ci
    porterebbero allo stesso livello dei nostri nemici. Per Platone, che è certamente il vero riferimento normativo di ogni “Fascismo”
    rettamente inteso, l’aspetto sociale non merita nemmeno di essere preso in considerazione. Si studi a fondo, e sarebbe ora, la sua
    (“nostra”) “Repubblica

  • stelvio dal piaz 30 Gennaio 2016

    Il Fascismo questo sconosciuto ! Personalmente – a livello familiare – sono un fascista di terza generazione: pertanto, per quanto mi riguarda, il Fascismo è per me anche una questione di araldica.

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