18 Luglio 2024
Intervista

Ereticamente intervista Francesco Ingravalle – a cura di Luca Valentini

Nota biografica dell’intervistato: Francesco Ingravalle (Venezia, 1956) si  è laureato in Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Venezia-Ca’ Foscari nel 1982 ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia del Pensiero e delle Istituzioni Politiche” (I ciclo) nel 1986. Già abilitato all’insegnamento di Filosofia, Storia e Scienze dell’educazione negli Istituti Secondari Superiori, dal 2006 è ricercatore in Storia delle Istituzioni Politiche presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” sede di Alessandria. Si è occupato del pensiero politico di Friedrich W. Nietzsche, di Aristotele, di Platone, di Plutarco, di Max Scheler, di Georg Simmel, di Daniel Halévy, di Georg Brandes di Johannes Althusius, di Storia delle istituzioni politiche dell’Italia post-unitaria, di Storia della scienza italiana dell’amministrazione, di Storia dell’integrazione europea.

1. Nel suo ultimo libro per le Edizioni di Ar “Per una primavera di bellezza” ha affrontato il delicato rapporto tra la poetica dannunziana e la filosofia di Nietzsche e tra l’esperienza fiumana ed il Fascismo: possiamo inquadrare tali correlazioni nell’ambito di una visione del mondo unitaria?

R: “Temo che non sia agevole. Perché non è agevole inquadrare l’irrazionalismo nichilistico di Nietzsche e l’irrazionalismo dell’esteta armato D’Annunzio in un quadro unitario, se non a una condizione, a mio avviso. La condizione è la critica della società borghese in tutti i suoi aspetti, in nome di un’idea di collettività gerarchica, ma equa. La sua equità dovrebbe essere fondata sul criterio secondo il quale chi pretende di comandare sappia innanzitutto comandare a sé stesso in nome del bene collettivo umano. La mia risposta richiede ul

teriori precisazioni. Perché usare la categoria di “irrazionalismo” utilizzata da Lukacs? Perché una collettività gerarchica equa è finalizzata al bene collettivo umano ( e non semplicemente nazionale)? La razionalità della tecno-scienza sviluppatasi a partire dalla rivoluzione industriale aveva, come orizzonte, il principio del profitto e della concorrenza fra competitors, e, come strumento di dominio della natura, non si proponeva se non l’utile dei detentori privati dei mezzi di produzione. La sua negazione è, pertanto, “irrazionalismo”, lotta contro la ragione capitalistica in nome non già dello scatenamento delle passioni, ma del dominio delle passioni a vantaggio di tutti e di ciascuno (ambiente compreso, diremmo oggi). Che in gioco sia il bene umano è chiaro, a mio avviso, dal fatto che tutte le società occidentali sono multiculturali, attualmente; una collettività gerarchica non può che essere etnicamente paritaria e fondata sul criterio del governo di sé come base del governo degli altri. Del resto, non si vedono restrizioni etnicistiche né nelle Carte del Carnaro (di D’Annunzio e di De Ambris), né nel manifesto dei Fasci di Combattimento del 1919. Paradossalmente, è una visione unitaria nella quale l’obiettivo della “società senza classi” prefigurato da Marx – e mai raggiunto- è il punto di passaggio ineludibile per realizzare una società fondata su gerarchie di merito – e di merito etico, comportamentale, di carattere- in grado di realizzare il bene comune umano. Come vede, è una visione unitaria piuttosto lontana da quello che ci si potrebbe aspettare pensando alla biografia esteriore di chi la sta propugnando”.

 

2. Sempre nella sua analisi inerente a Gabriele D’Annunzio in connessione col filosofo tedesco citato, Lei fa riferimento ad un’aristocrazia della coscienza, che sublima una mera appartenenza di sangue o classista: è nella coscienza la chiave di volta di un’autentica rivolgimento tradizionale?

R.: “Credo che la chiave di una vera rivoluzione (più che di un rivolgimento tradizionale) risieda in una franca diagnosi di che cosa sia la vita per ogni essere umano. Nato per caso, in un determinato luogo, obbligato, per il fatto di essere nato, a lavorare per vivere e a dotarsi di tutti gli strumenti di governo di sé che la vita collettiva esige, avvolto da una rete di disuguaglianze raramente fondate su meriti del carattere in grado di dominare sé stesso (“Il carattere è il dèmone per l’uomo” ha scritto Eraclito) e per lo più fondate sull’essere animali di rapina, o animali di usura, per l’essere umano (maschile o femminile) il dare una forma a sé stessi è l’unica dimensione in cui ci si possa muovere, prendendo come guida il Manuale di Epitteto o quella che potrei ritenere la sua versione del XX secolo, Orientamenti di Evola“.

 

3. Nell’ambito del concetto filosofico dell’Übermensch nietzchiano, può l’eroismo dei legionari di Fiume essere considerato una manifestazione ontologica della volontà di potenza, oltre un mero arditismo combattentistico?

R.: “Ritengo che possa essere considerato tale. A condizione di ricordare che la volontà di potenza è traboccare della pienezza dell’essere, non bisogno di appropriarsi di qualche cosa (o di qualcuno), spinta a misurarsi con l’evento (la fortuna di cui parla Machiavelli nel Principe, la sorte di cui parla Plutarco nello scritto La fortuna dei romani). Niente a che vedere, dunque con l’ “individualismo possessivo” capitalistico e liberistico, ma con il governare la creazione di forme istituzionali in modo consensuale“.

 

4. In tale ottica, riprendendo il titolo e la tematizzazione di un suo altro studio per le meritorie Edizioni di Ar “Nietzsche illuminista o illuminato?” Lei si pone una domanda retorica circa la qualificazione ontologica del noto pensatore: anche alla luce degli studi di Giorgi Colli sul filosofo, possiamo affermare che sia giusto propendere per la prima ipotesi?

R.: “Nietzsche, in fondo è illuminista nella misura in cui l’illuminismo riconosce che i valori non sono, ma sono posti, cioè sono creazioni simboliche prodotte dalla dialettica essere umano-contesto. Proprio questo riconoscimento carica il soggetto ‘sovrano’ (colui che governa sé stesso) di una enorme responsabilità nei suoi tentativi di rendere il contesto funzionale alla libera manifestazione di quello che ogni altro soggetto è, con la conseguente formazione di gerarchie”.

 

5. L’avversione nietzschiana per la sfera trascendentale delle religioni a favore di un immanentismo vitalista, può configurare, in realtà, la comprensione più profonda e reale del mondo dello Spirito, che, superando il dualismo agostiniano, ritorna, come nella Paganitas, a manifestarsi primariamente nel mondo della materia, come il mito lo pone nel grembo di Giunone o nell’altro di Mercurio?

R.: “Noi viviamo nell’èra del disincantamento, come riconosciuto da Max Weber. Noi sappiamo che il mondo non ha un senso e che, invece, lo ha sempre l’insieme di forme culturali che l’essere umano crea per il semplice fatto di convivere con i suoi simili in un territorio e di dovere organizzare la sopravvivenza comune. Credo che l’immanentismo di Nietzsche, come quello di Marx, sia il punto di approdo della filosofia occidentale (non soltanto della filosofia moderna). Dio non esiste, la storia umana è l’esito delle interazioni umane soggette unicamente alle “leggi” della probabilità; siamo padroni di fare del mondo un inferno (come abbiamo fatto fino a ora), oppure un paradiso. Il mondo del mito ci è precluso, dal momento che, ormai, sappiamo come si formano i miti, abbiamo, per così dire, la ‘radiografia generale’delle costruzioni mitologiche. Non possiamo credere nei miti ‘pagani’ perché essi riflettono uno stadio della storia psicologica e sociale umana ormai non più esistente. Diversamente stanno le cose per le religioni di salvezza: esse occupano gli spazi lasciati vuoti dalle politiche di riforma sociale – ricorderà la celebre espressione di Marx nella Introduzione alla Critica della filosofia del diritto di Hegel: “la religione è oppio per il popolo”. Possiamo governare noi stessi nella lotta contro la sorte e lo dobbiamo fare nella realizzazione di ogni opera politica. Che è la possibilità sottesa alla “filosofia della potenza” elaborata da Nietzsche. Certo, a volersi immergere in una paganità neoplatonica, è corretto attendersi che la materia parli la lingua dello spirito e che, come dice Meyrinck nel Golem, quello che è materiale è “un simbolo incarnato nella polvere”. Come si ricava dalle sue belle immagini di Giunone e di Mercurio“.

 

6. La filosofia della potenza o la poesia dell’ardimento eroico e passionale, in Nietzsche o in D’Annunzio, possono essere concepite come una rinnovata idea della Sapienza, che ritrova la propria “philia” con gli uomini, non più cristianamente relegata in presunti cieli ultraterreni?

R.: “Credo di sì. E mi pare che, a sostegno di questo assenso sia possibile citare i libri I-VII, almeno della Repubblica di Platone, l’intero suo dialogo Politico e i passi dedicati alla figura del tiranno nelle Leggi. Il filosofo, per Platone, nasce da una differenziazione del guardiano o combattente. Il governo di sé distingue i filosofi e i guardiani, quanto al grado della sua intensità, dalla temperanza dei produttori. Le tre classi sono subordinate, com’è noto al fine del bene collettivo. Nietzsche e D’Annunzio tracciano, rispettivamente, per l’uomo superiore (o “superuomo”) e per l’ “esteta armato” una tipologia analoga a quella dei guardiani e dei filosofi platonici. Detto questo, l’ostacolo che si frappone alla realizzazione di un modello culturale quale quello qui immaginato sulla base di Platone e di Nietzsche è il sistema economico capitalistico, il “governo della bottega”. Sotto questo profilo, la realizzazione di una “società senza classi” quale quella accennata da Marx nella Critica del programma di Gotha del 1875 azzererebbe le gerarchie imprenditoriali e mercantili e creerebbe un terreno sgombro per l’attuazione di una nuova società e di un nuovo Stato organico, senza distinzioni economiche di classe, senza distinzioni etniche, in grado di fare convivere, al proprio interno, molteplici culture. Di quella nuova società dà un quadro Marx nella Introduzione del 1857 a Per la critica dell’economia politica da leggersi in serrato confronto con le parti più teoriche de Gli uomini e le rovine di Evola”.

 

7. In un altro saggio per le Edizioni di Ar, “Il Soggetto Sovrano?”, ripercorrendo l’esperienza di Julius Evola nel ‘900, ha inteso recuperare quel “governo interiore” di stoica memoria?

R.: “Sì. E il riferimento è, soprattutto, Epitteto. In quel piccolo scritto, tuttavia, ho dovuto riconoscere che “noi” (esterni, estranei o poco favorevoli alla politica del MSI nella seconda metà degli anni Settanta) avevamo valorizzato un punto decisivo della teoria politica evoliana: l’obiettivo della costruzione del ‘soggetto politico sovrano’ come problema centrale per una lotta politica contro il sistema economico capitalistico. E, al cuore di tale problema: il governo di sé, così importante in interpretazioni d’epoca quale quella di Adriano Romualdi (Platone, 1965) e di Franco Freda (Platone. Lo Stato secondo giustizia, 1965, ma stampato soltanto alla metà degli anni Novanta). Però, né “Ordine Nuovo”, né “Terza Posizione”, né la “Nuova Destra” riuscirono a creare né una classe politica, né una cultura politica organizzata in modo per lo meno ‘lobbistico’. Vista a posteriori, la cosa non è strana:difesa dell’occidente (italiano) da una presunta “sovietizzazione come base per instaurare uno Stato organico (“Ordine Nuovo”), “sviluppo del contro-potere popolare” per instaurare, poi, uno Stato organico (“Terza Posizione”), critica del presunto egualitarismo della società tecnologica (“Nuova Destra”) erano mezzi tattici inadeguati: il primo perché non c’era nessuna “sovietizzazione” reale in un paese occupato, dal 1945, dalle forze militari statunitensi, il secondo perché il “popolo” è un’entità metafisica, cioè., a mio avviso, inesistente a fronte della divisione in classi delle società capitalistiche, il terzo perché le società strutturate sul libero mercato e sulla proprietà privata dei mezzi di produzione sono composte da ineguali come lo erano le società di ceti dell’antico Regime. Aggiungiamo che il disprezzo per la critica dell’economia capitalistica ha privato l’ “ambiente” della possibilità di discutere di cose reali e l’individualismo ha impedito di creare una rete di riviste, di ricerche, di discussioni sui temi politici che l’alternativa teorica al capitalismo poneva. Dato tutto questo, non si poteva realizzare alcun tentativo egemonico analogo a quello sviluppato dalla cultura di sinistra (del resto fallito perché il nostro paese è e resta un protettorato statunitense). A voler ripensare daccapo il problema politico qi accennato, occorre, secondo me ripartire da dove si sono prese strade sbagliate: il problema del soggetto politico sovrano. Quindi: Epitteto, Platone, Nietzsche e…. Marx”.

 

8. Il primato dell’azione, come indicato da Evola nelle pagine di Rivolta contro il mondo moderno, ritiene debba essere focalizzato nell’ambito di una rinnovata personalità più che a retoriche rivendicazioni nazionalistiche?

R.: “Penso che il primato dell’azione vada inteso come primato della prassi di cui parlava nel 1899 Giovanni Gentile (La filosofia di Marx). L’essere umano non è né soltanto teoreta, né soltanto pratico: l’essere umano è soggetto teoretico-pratico. Anche il soggetto sovrano lo è, ovviamente. Egli tenta di realizzare il bene pubblico indipendentemente dal fato di essere nigeriano, italiano, cinese, peruviano, arabo, uomo, donna (o altro): è un soggetto universale, creato dalla realtà delle nostre metropoli e da esso di deve partire, il soggetto di un’economia globale che richiede un governo globale. L’unica alternativa è. Chi governa l’economia globale (le reti che la governano: ho in mente il libri di Sabino Cassese Chi governa il mondo?, di pochi anni fa) può farlo a vantaggio di pochissimi (come continua ad accadere attualmente: vedere i lavoro più recenti di Z. Bauman), oppure a vantaggio di tutti (almeno come linea di tendenza reale). Lo sosteneva, tra l’altro, Otto Neurath, nel 1942 nel saggio Pianificazione internazionale per la libertà. La globalizzazione è un fatto; essa può essere gestita a vantaggio o contro l’essere umano in sé e soltanto un vasto movimento mondiale può obbligare le minoranze a gestire socialmente la distribuzione della ricchezza prodotta. Una simile gestione potrebbe addirittura gettare le basi per uno Stato organico mondiale….. una reviviscenza del mito universale dell’ Imperium”.

 

9. La personalità e non l’individuo, lo Stato e non la Nazione: è questo il suo Soggetto Sovrano?

R.: “Sì. La personalità in luogo dell’individuo, lo Stato in luogo della nazione, la federazione mondiale di Stati in lugo dell’anarchia commerciale e politica tipica delle relazioni internazionali. Governare il mondo continuerà a essere un’esigenza crescente per ragioni economiche, ecologiche, demografiche. Credo che l’organicismo abbia molto da dire sul piano cosmopolitico. Ma occorre ascoltare i problemi e non temere le contaminazioni teoriche – come avrà già notato, questo è il criterio al quale mi sono attenuto. Ai diversi livelli di governo della realtà si pone il medesimo problema, dalla pòlis alla cosmopoli: il problema del soggetto sovrano”.

 

10. In conclusione, ringraziandola per la sua cortese disponibilità, le chiediamo quanto tali indirizzi di vetta possano e debbano far presa nel panorama culturale e politica attuale?

R.: “Fin qui ho teorizzato, al livello della ‘ragion pura’. Sul piano della realtà attuale non vedo alcun soggetto politico orientato nella direzione di cui Le ho parlato. E’ possibile che tale soggetto venga a costituirsi quando tutta una serie di nodi verrà, cumulativamente, al pettine. Uno di questi nodi sta già arrivando: il problema del degrado dell’ambiente naturale; un altro si potrebbe porre a breve: il problema di politiche sociali (in merito a lavoro, casa, cittadinanza ‘attiva’) da adottare da parte dei diversi paesi dell’UE (ma non soltanto: pensiamo ad aree commercialmente già compatte come il MERCOSUR e l’ASEAN e al blocco dei paesi che ruota attorno agli U.S.A.) di fronte ai grandi movimenti migratori che obbligheranno a ripensare il Welfare State e le vecchie politiche keynesiane. La politica non crea niente: è una complessa reazione adattiva alle dinamiche dei rapporti fra grossi e meno grossi aggregati umani organizzati in forma di ‘pubblico potere’. E le reazioni adattive richiedono un soggetto politico che le governi. Il ‘soggetto sovrano’, appunto o, se preferiamo, una ‘classe politica’ con un preciso ethos e precise capacità di organizzare l’azione dei competenti. La ringrazio per la Sua cortese attenzione. Francesco Ingravalle”.

 

Intervista a cura di Luca Valentini

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