19 Luglio 2024
Intervista

EreticaMente intervista Adriano Scianca – a cura di Luca Valentini

Adriano Scianca (1980) è un giornalista e scrittore. È laureato in Filosofia presso l’Università La Sapienza di Roma ed è giornalista iscritto all’Ordine dei professionisti. Ha collaborato con i quotidiani Libero e Il Foglio e lavorato nella redazione del Secolo d’Italia. Scrive abitualmente per il quotidiano La Verità. Ha scritto i saggi “Riprendersi tutto”, tradotto anche in francese, “Ezra fa surf” e “L’identità sacra”. È direttore del quotidiano on line Il Primato Nazionale e responsabile nazionale della cultura per CasaPound Italia.

 
 
 

1 – Lei è il Direttore de Il Primato Nazionale e collabora con varie pubblicazioni del giornalismo alternativo: come reputa lo stato di salute della cultura non – conforme in Italia?

 

È lo stato della cultura in sé, conforme o non conforme, che è disperante, nel senso che siamo in una fase di deculturazione per cui c’è sempre meno abitudine al pensiero complesso. Inoltre ci sono abitudini mentali, come un certo individualismo valoriale, un certo narcisismo etico, che sembrano attecchire anche fra chi vorrebbe essere fuori dagli schemi:
basta non parlare di fascismo o di immigrazione ed ecco che emergono approcci alla vita del tutto conformistici anche tra tanti sedicenti anticonformisti. Al netto di questa difficoltà epocale, va comunque segnalato che la cultura non conforme c’è, esiste, resiste, continua a produrre iniziative. Insomma, si va comunque avanti.

 
 

2 – Nell’ambito di tale cultura, ritiene ci siano degli autori di riferimento essenziali (quali?) o ritiene che ve ne siano altri poco conosciuti che andrebbero approfonditi?

 

È molto più importante il modo in cui si legge rispetto a “chi” si legge. Evola e de Benoist hanno tantissimi lettori in Italia, ma molti sembrano servirsene solo per confermare i propri pregiudizi. Ad ogni modo, anni fa rimasi folgorato dal pensiero di Giorgio Locchi, allora praticamente semi-sconosciuto anche nel nostro ambiente, mentre oggi lo si legge molto di più e forse qualcosina in questo senso credo di aver fatto anche io, con una costante opera di divulgazione. Il sacrificio di Dominque Venner, inoltre, sembra aver fatto scoprire dalle giovani generazioni questo scrittore di cui, fino a poco tempo fa, solo un paio di libri dimenticati erano stati tradotti nel nostro idioma.

 
 

3 – Il Primato Nazionale è pagina web con un taglio prettamente giornalistico, ma ospita anche approfondimenti di cultura tradizionale: rileva in ciò una formula vincente o una forzata coesistenza?

 

È una necessità vitale. La cronaca va trattata giornalisticamente e da essa vanno tratti argomenti per la lotta politica concreta, ma da sola rischia di essere opprimente, abbrutente. Noi non siamo qui solo per lottare contro i campi rom, per quanto ciò sia doveroso, ma dobbiamo inserire queste battaglie in una cornice spirituale più ampia. Noi non vogliamo solo i quartieri sicuri, noi vogliamo molto di più. Quando parliamo di “ordine” non intendiamo di certo le cartacce nei cestini…

 
 

4 – La testata che Lei dirige mette d’accordo quell’area culturale e politica che vuole riscattare identità e sovranità. Ritiene che in futuro possa diventare il quotidiano di riferimento di un partito nuovo, patriottico, europeista in senso classico e soprattutto indipendente dal Patto atlantico?

 

Non so se il Primato Nazionale “metta d’accordo” qualcuno o qualcosa, del resto non è quella la sua funzione. In generale, sarebbe già tanto se ognuno facesse il suo, costruttivamente, nei movimenti in cui già milita. Io, dal canto mio, sono notoriamente un militante di CasaPound Italia, quindi non avverto la necessità di un nuovo partito. Ovviamente il Primato Nazionale va visto in un’ottica più ampia, anche se dubito che, al momento, possa contribuire addirittura a farci uscire… dal Patto atlantico.

 
 

5 – Ritiene fattibile lanciare un manifesto culturale sottoscritto dagli intellettuali più brillanti e liberi per una vera ‘rivoluzione conservatrice?

 

Per essere fattibile è fattibile, ma servirebbe davvero? I manifesti culturali sono una formula molto novecentesca, di sicuro affascinante, ma che ormai ha perso mordente. Possono ancora funzionare se sono il risultato di un’azione concreta a monte, non se pretendono di determinarla. Non è difficile buttare giù un testo altisonante e trovare 10 persone di una qualche notorietà che lo sottoscrivano. E poi? Il mondo continua a scorrere come ha sempre fatto.

 
 

6 – E’ opportuna secondo Lei l’organizzazione di una serie di convegni aperti al mondo intellettuale europeo un po’ nello stile di quello organizzato in Francia dall’Institut Eliade che ha celebrato la memoria di Dominique Venner?

 

Certamente sì. L’interscambio tra le intelligenze identitarie europee è fondamentale.

 
 

7- La sua direzione ha aperto le porte ad argomenti nuovi per una certa area di pensiero, all’arte ed alla disabilità: è stata una scelta consapevole?

 

Le migliori intelligenze del Novecento ci hanno insegnato che la rivoluzione è sempre rivoluzione integrale: occorre pensare, amministrare, combattere, amare, suonare, mangiare, fare arte, fare sport, occuparsi dell’ambiente in un modo differente rispetto al mondo che vogliamo combattere.

 
 

8 – Nell’ambito di tali riferimenti ideologici qual è l’importanza che assegna al cosiddetto “Mondo della Tradizione”?

 

La definizione non mi fa impazzire, richiama un po’ una cesura netta tra modernità e tradizione che considero fuorviante. Quello che invece trovo interessante è proprio la capacità di pensare l’origine qui e ora, come elemento spiritualmente eversivo nei confronti della sensibilità contemporanea.

 
 

9 – Nel suo libro “Identità Sacra”, prossimamente recensito su EreticaMente, ha dedicato pregevoli pagine al formulazione primaria della Tradizione in Occidente, cioè alla Romanità: cosa rappresenta per Lei l’idea di Roma?

 

Roma non ha rappresentato semplicemente il momento più alto, storicamente significativo e politicamente cruciale dell’avventura storica e spirituale dei popoli indoeuropei, è stata anche un mito, una fonte di energia che ha ispirato quasi tutte le epoche successive: il Medioevo, il Rinascimento, il Risorgimento, per tacere ovviamente del fascismo. È anche l’unico modello storico su cui realmente possa basarsi un’Europa degna di questo nome. In questo Evola chi ha dato un insegnamento chiaro: l’anima dell’Europa, il suo segreto mistico, è nella composizione del difficile rapporto spirituale tra romanità e germanesimo. Si tratta del complemento “verticale” necessario all’altra direttrice, quella orizzontale, che è l’anima geopolitica, materiale dell’Europa, e che passa invece per Parigi, Berlino e Mosca. Ma questa dimensione senza l’altra può creare solo figure vuote, strutture senz’anima.

 
 

10 – In tale adesione sacrale, quanto conta il rapporto tra Idea, Storia e Presente? Tra Tradizione e Militanza?

 

Ciò che si può dire è che la militanza ha bisogno di ancorarsi a una battaglia di civiltà, senza la quale resta solo lo spirito da comitiva o l’arrabbiatura da opinionista social. Ogni militante deve sentire, al livello e con il linguaggio che gli è proprio, la vibrazione di una risonanza più alta. Anche perché, come dicevo sopra, l’irruzione dello spirito conformistico è sempre in agguato, anche fra chi è non conforme, quindi occorre non allentare mai la disciplina spirituale che uccide il borghese interiore. E per farlo occorre per forza di cosa un anelito spirituale. Il quale però, va detto con chiarezza, in un movimento politico non può ridursi alla declinazione di un percorso settario, sia esso pagano o cattolico.

 
 

11 – Sempre nel suo libro, Lei per la prima volta in Italia tematizza a fondo il concetto della Grande Sostituzione: ritiene sia un pericolo reale?

 

Più che un pericolo, è un fatto, un fenomeno in corso. Ovviamente il pensiero dominante intende derubricarlo a paranoia cospirazionista. Ma non c’è alcuna cospirazione, alcun piano segreto, è tutto molto trasparente: non passa giorno in cui non leggiamo inviti ad acogliere più immigrati perché, ci dicono, andranno a sostituirci nella demografia, nei lavori che non vogliamo più fare, nei paesini spopolati. Esce almeno un articolo al giorno di questo tenore. Ma è questa la Grande Sostituzione, nient’altro che questa. Nel mio libro ho cercato di illustrarne i presupposti filosofici e persino metafisici, indicando al contempo anche le radici sacrali del radicamento di un popolo su una terra, ovvero proprio ciò che la sostituzione di popolo va a negare.

 
 

12 – Ha già nuovi saggi all’orizzonte? Tratteranno anch’essi di argomenti che hanno a che fare con la Tradizione? La ringraziamo per la disponibilità concessa alla Redazione di EreticaMente.

 

Il mio prossimo saggio dovrebbe uscire molto presto, già a fine giugno. Tratterà di un complesso nodo di tematiche relative al gender, al sesso, alla famiglia, alle differenze fra i sessi, all’amore. Sì, ci sarà anche un capitolo a tematica “tradizionale”, perché credo che le nostre origini greco-romane ci forniscano esempi che sono allo stesso tempo più comunitari e più libertari delle visioni oggi dominanti su tali argomenti.

 
 

Intervista a cura di Luca Valentini

2 Comments

  • MAry 7 Giugno 2017

    Intervista molto interessante, ma da puntualizzare. Condividere le critiche alla Sostituzione è ovvio, tuttavia amplierei la prospettiva: la Nazione Italiana (nozione intrinsecamente erronea e antistorica) e la restrizione a Roma («Roma non ha rappresentato semplicemente il momento più alto, storicamente significativo e politicamente cruciale dell’avventura storica e spirituale dei popoli indoeuropei») non mi vedono d’accordo, non solo perché manca qualsiasi menzione di Bisanzio, ma anche perché la Persia lo è stata perlomeno altrettanto, il Califfato e l’Impero Ottomano hanno rappresentato una sintesi di entrambe, poi soprattutto il resto dell’Indoeuropa è totalmente ignorato o – nel caso dell’India – escluso, se prescindiamo dai Rom; la scansione delle epoche – Medioevo, Rinascimento, Risorgimento, Fascismo – significa non aver superato la Storiografia nazionalistica, infine l’espressione «la composizione del difficile rapporto spirituale tra romanità e germanesimo», fuori dal linguaggio diplomatico, presuppone una diversità fra i due tutta da dimostrare e pericolosissima nelle sue conseguenze.

  • MAry 7 Giugno 2017

    Intervista molto interessante, ma da puntualizzare. Condividere le critiche alla Sostituzione è ovvio, tuttavia amplierei la prospettiva: la Nazione Italiana (nozione intrinsecamente erronea e antistorica) e la restrizione a Roma («Roma non ha rappresentato semplicemente il momento più alto, storicamente significativo e politicamente cruciale dell’avventura storica e spirituale dei popoli indoeuropei») non mi vedono d’accordo, non solo perché manca qualsiasi menzione di Bisanzio, ma anche perché la Persia lo è stata perlomeno altrettanto, il Califfato e l’Impero Ottomano hanno rappresentato una sintesi di entrambe, poi soprattutto il resto dell’Indoeuropa è totalmente ignorato o – nel caso dell’India – escluso, se prescindiamo dai Rom; la scansione delle epoche – Medioevo, Rinascimento, Risorgimento, Fascismo – significa non aver superato la Storiografia nazionalistica, infine l’espressione «la composizione del difficile rapporto spirituale tra romanità e germanesimo», fuori dal linguaggio diplomatico, presuppone una diversità fra i due tutta da dimostrare e pericolosissima nelle sue conseguenze.

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