13 Aprile 2024
Drieu La Rochelle Mario Barraco Pavese Punte di Freccia

Cesare Pavese, ‘Non parole. Un gesto. Non scriverò più’

di Mario M. Merlino
Platone, nelle Leggi, ricorda come siano le più propizie alla riflessione e alla scrittura quelle ore in cui la luce e l’oscurità s’intrecciano più che in conflitto fra loro in una sorta di gioco amoroso. Vi sono film che hanno un senso, un fascino solo perché in bianco e nero ( ad esempio, Fuoco Fatuo di Louis Malle, tratto dal romanzo di Drieu la Rochelle, 1963, e come poteva darsi altrimenti?). E vale per la mente, per il cuore, per le dita che tracciano  segni con la penna con il pennello il carboncino là dove, per dirla con il filosofo Anassagora, l’intelligenza si raccoglie nelle mani. E fu così per Mario Barraco, suggestionato dalla lettura di Cesare Pavese che, da scrittore, trasferì nella parola narrante e poetica quanto sia difficile ‘il mestiere di vivere’. E, già, la morte si sconta vivendo… e volle scrivere con il sangue in una stanza di un alberghetto a Torino dopo aver scritto con l’inchiostro: ‘Non parole. Un gesto. Non scriverò più’. Drieu concludeva il suo romanzo con: ‘Una pistola, è solida, è d’acciaio. E’ un oggetto. Urtarsi finalmente all’oggetto’. Sebbene preferisse il Gardenal ed aprire il tubo del gas, il 15 marzo del 1945. E, dunque, mi sia concesso dedicare a Mario Barraco questo intervento…

Mercoledì 8 agosto 1990. Sulle pagine culturali de La Stampa Lorenzo Mondo, critico letterario, pubblica il Taccuino segreto di Cesare Pavese, accompagnandolo con tre articoli dove ricostruisce la vicenda di questi 29 foglietti di bloc notes, a quadretti, e utilizzando una matita. Nel 1962, in via Lamarmora 35, dovendo traslocare dall’abitazione in cui era vissuto lo scrittore, la sorella Maria Sini, conoscendo la passione e la cura di Lorenzo Mondo per le opere del fratello (nel 2007 pubblica il volume dal titolo Quell’antico ragazzo), l’invita a rovistare fra le carte, abbozzi di poesie e racconti, lettere, appunti, annotazioni. Ed è, qui, che appare il bloc notes con l’inconfondibile grafia di Pavese, di un Pavese inedito inaspettato ‘scandaloso’ per il tono e il contenuto polemico e politico tanto lontano dall’icona dello scrittore ‘cresciuto e mai divenuto adulto, come ho scritto nel precedente articolo su gli ultimi giorni di Nietzsche a Torino (espressione che ho usato sovente nei confronti di Robert Brasillach).
La vicenda in sé non avrebbe che il sapore della curiosità della critica di un approfondimento fra studiosi magari un po’ barbogi dello scrittore, ma, no, qui si tocca il consolidato universo, nobile adamantino spocchioso, della casa editrice Einaudi e del suo entourage di solido antifascismo nel quale il Pavese faceva parte anche se si ironizzava sulle sue inadeguatezze sessuali e, soprattutto, essere egli sprovveduto di maturità politico-militante. E, no, ‘il crepuscolo degli idoli’… Così, avendo mostrato quanto scoperto a Italo Calvino, ed essendo costui sbiancato, s’impose il silenzio. Un silenzio durato per circa trent’anni finché non è venuto giù il muro di Berlino. Difatti come digerire la seguente annotazione (n.45): ‘Solo gli antifascisti sanno il pregio del fascismo: tutto ciò che loro manca. E s’è visto che mancavano di tutto’ che s’accompagna alla lapidaria (n.19): ‘Stupido come un antifascista. Chi è che lo diceva?’.
Brutta razza gli intellettuali ché, nel prendersi troppo sul serio (nella prassi sono consapevoli di realizzare lo zero quasi assoluto, salvo le eccezioni fra cui…!!!), sono malati di fegato, accidiosi, permalosi, intolleranti… e quelli di sinistra, forse in cuor loro vergognandosi d’essere ‘utili idioti’ portati al pascolo, non ne sono esenti ed, anzi, inseguono con successo il primato… Cala la cortina fumogena su Cesare Pavese, lo si studia lo si legge una sua citazione diviene oggetto degli esami di maturità. Poi, se si trova qualche frase sconveniente (come ne La casa in collina o La luna e i falò) sui fascisti caduti in una imboscata partigiana con uno di loro ‘ragazzo di cera coronato di spine’o i morti della Repubblica abbandonati nei boschi, la si giustifica come umano sentimento di pietà (come si diletta Carlo Salinari, fra gli artefici della strage di via Rasella, questo sì limpido esempio di umana pietà se non verso i tedeschi per quella rappresaglia annunciata e il conseguente eccidio alle Fosse Ardeatine)…

Ancora una citazione dal Taccuino segreto, una attenzione che non è astio, rancore, scontento, esprime al contrario una consapevolezza, forse una speranza, di certo una vicinanza: ‘In fondo era un enorme malinteso. Il Manifesto di Verona – purché sia sincero – mostra la tendenza che qualcuno auspicava da anni. Nessuno può negare che di fronte all’inconcludenza di agosto, esso affronti la responsabilità. Purché sia sincero. Perché non dovrebbe esserlo? Siamo in un momento in cui non abbiamo nulla da perdere e tutto da guadagnare. Tutto.’(n.44). Che dire, dunque? Forse, leggendo i suoi romanzi, le poesie di Lavorare stanca, eravamo già inconsapevoli presaghi che un giorno avremmo scoperto come fosse a noi prossimo anche sulla prima linea al servizio dell’Idea…

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