17 Luglio 2024
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Caravaggio e l’alchimia: un saggio di Dalmazio Frau – Giovanni Sessa

Su Caravaggio si è scritto molto. Non poteva, del resto, essere diversamente, in quanto Michelangelo Merisi da Caravaggio ebbe una vita avventurosa, vissuta, nei diversi contesti nei quali l’artista si calò, al di sopra delle righe, spinto dalla spasmodica volontà di conseguire, in ogni ambito, la libertà. Ma, soprattutto, egli fu animato da un’insaziabile ricerca di gloria.

E’da poco nelle librerie un interessante volume che ricostruisce le vicende biografiche del pittore e ne analizza le opere con sguardo nuovo e originale. Ci riferiamo al saggio di Dalmazio Frau, Caravaggio luci e ombre. Tra alchimia ed altri misteri, edito da Bastogi. Il libro è accompagnato dall’introduzione di Alessandro Sansoni (per ordini: 34076861911, bastogilibri@alice.it, pp. 107, euro12,00). Il lavoro di Frau è rilevante in quanto la letteratura critica caravaggesca ha rilevatoto, nella maggior parte dei casi, esclusivamente il tratto realistico delle sue rappresentazioni, tanto da presentarlo come il precursore dell’arte fotografica. L’autore ricorda opportunamente come: «sul finire del Cinquecento la “realtà” dell’uomo era fatta non tanto di ciò che poteva toccare con i suoi sensi, ma anche di ciò che […] sapeva farne parte» (p. 9). Il reale era esperito quale luogo del manifestarsi dell’invisibile, al quale Caravaggio fu sensibile. La prima parte del volume è dedicata alla ricostruzione dei momenti biografici più rilevanti vissuti dal grande artista. Suo padre era un architetto della Fabbrica del Duomo di Milano: nella capitale viscontea era giunto, proveniente da Caravaggio, assieme alla famiglia, al fine di ottemperare ai propri obblighi professionali. Un “costruttore di cattedrali”, dunque, il genitore del genio pittorico che, probabilmente, trasferì al figlio l’interesse per la dimensione simbolico-esoterica della propria professione. Il giovane Merisi rientrò a Milano al termine dell’epidemia di peste, che era esplosa sui Navigli nel 1577: frequentò, in questo frangente, la bottega di Simone Peterzano, allievo di Tiziano Vecellio.

Decise, nel 1594, di lasciare la Lombardia e di cercare la fama artistica a Roma, città nella quale convergevano appassionati d’arte provenienti dalle più diverse località. Per un breve periodo, fu ospite di monsignor Pucci. In seguito, fu nella bottega del Cavalier d’Arpino, alternando alla pratica del pennello l’apprendimento dei rudimenti della scherma. L’incontro decisivo della sua vita avvenne di li a poco: grazie a Prosperino delle Grottesche fu presentato al cardinale Francesco Maria Del Monte. Questi, da vero mecenate, gli commissionò diverse opere, la cui rappresentazione richiedeva tele molto più ampie, rispetto a quelle che il Merisi aveva, fino ad allora, utilizzato: «Per tre anni […] il giovane […] resterà vicino al Principe della Chiesa, crescendo in fama e ricchezza, ma soprattutto apprendendo Meraviglie e Misteri da lui prima mai sognati» (p. 18). Del Monte, intimo della famiglia dei Medici, era la massima espressione, in quella congerie storica, del partito filo-francese. Oltre agli interessi mondani e politici, praticava l’Alchimia. Il cardinale individuò, chiosa Frau, nel pittore povero e lacero che aveva accolto nel suo Palazzo, la Materia Prima sulla quale operare la trasmutazione ermetica: «Caravaggio è dunque la sua Pietra filosofale, il suo Oro dei filosofi che va estratta dall’oscurità plumbea e dalla sua “notte dell’anima”» (p. 21).

Incaricò, pertanto, Caravaggio di dipingere il soffitto del suo laboratorio alchemico, ubicato nel Casino Ludovisi, nei pressi di Porta Pinciana. L’artista dipinse le tre figure di Giove, Nettuno e Plutone, ponendole intorno a una sfera celeste rappresentante il Cosmo, entro la quale risultavano visibili alcuni segni zodiacali. L’intenzione era di mostrare le: «forme formanti che l’alchimista deve interiorizzare durante le operazioni» (pp. 24-25). Lavorando a tale dipinto, Merisi prese definitiva confidenza con le pratiche dell’ermetismo. Le tre divinità rappresentavano i tre momenti essenziali, attraversati dall’adepto, per realizzare l’Arte Regia. In particolare, l’allegoria fu prodotta alla luce degli insegnamenti di Paracelso, stando ai quali Giove simbolizza lo Zolfo alchemico, Nettuno il Mercurio, mentre Plutone è il Sale. Il cardinal Del Monte introdusse Caravaggio all’Alchimia in quanto lo riteneva idoneo a fornire un corpo allo spirito. L’alto prelato, in quanto figlio d’Ermete, avrebbe così realizzato il Solve, il pittore l’altrettanto necessario Coagula. L’autore attraversa con competenza e persuasività di accenti la complessa simbologia di questo dipinto. Ricostruisce, inoltre, i possibili rapporti personali che, grazie al Del Monte, egli avrebbe potuto intrattenere con importanti figure dell’ermetismo europeo, a muovere da John Dee e Giordano Bruno. Dalla filosofia di quest’ultimo, il Merisi ha forse tratto il tema dell’ “ombra”. Essa risulterebbe funzionale, nei dipinti caravaggeschi, al trionfo della luce

Viene ipotizzato, inoltre, l’incontro del Del Monte e, quindi, indirettamente dello stesso Caravaggio, con Robert Fludd, nella cui opera esistono richiami: «a quell’ “armonia musicale” tipica del misticismo ermetico» (p. 49). L’affermazione ci pare di grande rilievo in quanto, per chi scrive, stando alla lezione di Massimo Donà in tema, Caravaggio è impegnato a liberare le “cose” dallo “spazio” cui sembra destinarle il loro vivere quotidiano. L’artista agisce per esplicitare nella realtà un “ritmo” originario, custodito dagli enti stessi. E’ il fervore musicale che anima le pitture di Caravaggio, acquisito, probabilmente, dalle concezioni degli ermetisti e, in particolare, da Fludd. Il ritmo dei suoi quadri, esemplarmente analizzati da Frau, è dato dalla trascrizione del ritmo da cui è sorto il mondo. Esso ha due momenti costituivi: quello della negazione iniziale, il principio inteso come nulla di ente, ni-ente (il fondo oscuro o abissale dal quale provengono le cose nella pittura del Merisi) e le positività naturali, irradiate di luce e poste al centro delle rappresentazioni. E’questa tesi a rendere plausibile l’ipotesi del tratto ermetico-alchemico della pittura del Nostro. Il libro in questione va anche segnalato in forza della descrizione degli ultimi drammatici anni della vita dell’artista, delle sue relazioni d’amore con note prostitute romane, dei suoi duelli o agguati nei bassifondi delle città italiane, che lo portarono in carcere, e del mistero della sua morte Il pittore concluse i suoi giorni su una spiaggia del litorale tosco-laziale a causa, forse, di un’infezione intestinale: «Tuttavia è lecito pensare che, tra le origini della instabile salute del Caravaggio, vi sia anche quell’avvelenamento da piombo conosciuto con il nome […] di Saturnismo» (p. 101). Un volume dunque che è, al medesimo tempo, saggio e avvincente spy story.

Giovanni Sessa

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