13 Aprile 2024
Leon Degrelle Punte di Freccia Rexismo Storia

Ardere, ardere sempre…

di Mario M. Merlino


Il sette maggio del 1945 la capitolazione della Germania. In piena notte, da un campo di fortuna in Norvegia, a una ventina di chilometri da Oslo, prende il volo un Heinckel abbandonato. Il bimotore, si seppe successivamente, apparteneva all’architetto e ministro degli armamenti del Terzo Reich, Albert Speer. La sua autonomia è di 2150 chilometri.150 in meno per sorvolare i Pirenei ed atterrare in Spagna, unico luogo, esso stesso precario, di salvezza dalla dilagante marea dell’Est e d’Oltreoceano. Una follia attraversare il cielo infestato dall’aviazione alleata, con un aereo privo di segnaletica e di luci. D’altronde tutto è preferibile – essere abbattuti e precipitare al suolo -, piuttosto che la resa. Sulle ali ben visibile la croce uncinata, nasconderla avrebbe significato tradire il senso originario e assoluto di quella lotta per l’Europa e la rivoluzione nazional-sociale. A bordo, con gli ultimi cinque camerati, c’è Léon Degrelle. Alla guida Albert, pilota della Luftwaffe e poi emigrato in Argentina, che era stato degradato per ‘eccesso d’amore’ verso una fanciulla di Bruxelles. L’impossibile s’avvera. Alle prime luci del nuovo giorno, ecco San Sebastiano, la spiaggia sabbiosa, il mare basso. La fortuna ancora una volta li protegge, sebbene ed all’ultimo minuto l’esplosione di un motore fa quasi affondare l’aeroplano e Degrelle si ritrova all’ospedale, pieno di fratture dal braccio alla gamba spezzata. Eppure, pur ingessato e sotto tutela della guardia civile, non perde il sorriso, l’aria strafottente di chi ama gettarsi nella mischia.

Un tipo umano, la generazione di Degrelle, che non riusciamo a ritrovare quando sfogliamo (raramente) i giornali e guardiamo (altrettanto raramente) la televisione. Il 1945 non rappresenta soltanto la data di conclusione del secondo conflitto mondiale, una sorta di giro di boa del Novecento con nuove problematiche e prospettive da definire. La storiografia ha partorito volumi e volumi, forse in gran parte condizionati da pregiudizio ideologico e ambigua etica sul male assoluto (il fascismo) e relativo (il comunismo). Non ci ha dato, però, una sorta di ‘fisiognomica’ di quelle vicende, che ben si sa non è scienza, pur se Hegel la teneva in considerazione e Franco Battiato (non quello recente da pseudo-interprete della donna e del suo ruolo!) ne ha tratto una suggestiva canzone. Eppure a vedere i documentari dell’istituto Luce, le vecchie riviste sul genere del tedesco Signal, nell’incontrare gli ultimi reduci, pur vittime del tempo e delle intemperie, c’è un volto, uno sguardo, un modo di stare eretti e di procedere che sono scomparsi dalla quotidianità del nostro presente. Il volo delle aquile, non solo sugli stendardi e i gagliardetti; lo starnazzare nel cortile, quei ‘polli d’allevamento’ di cui cantava Giorgio Gaber, coscienza lucida ed inquieta del mondo becero e stupido dell’italiota medio. Alla faccia – è proprio il caso di dire – delle analisi sul totalitarismo, mentre ritornano le intuizioni del migliore Pasolini sull’omologazione negli Scritti Corsari.
Il 31 marzo del 1994, nell’ospedale Sant’Antonio di Malaga, Degrelle muore all’età di ottantotto anni, di cui quasi cinquanta trascorsi in terra di Spagna. Due giorni fa era, dunque, il diciannovesimo anniversario. Mi attardo a Barcellona, facendo orecchie da mercante alle sollecitazioni dei camerati a Madrid. Così perdo l’occasione di incontrare Degrelle. Quando finalmente arrivo, egli è appena partito per Malaga e non mi si presenterà più una seconda opportunità. Un rimpianto che non homai cancellato. Le sue ceneri in parte disperse a Bouillon, nelle Ardenne belghe, a soli tre chilometri dal confine francese, sua cittadina natale; in parte sulla cima dell’Oberzalsberg, in Baviera. La Vallonia e la Germania, i due cardini su cui poggiare l’azione e le idee, magari con la fede immarcescente e la fedeltà al proprio vissuto, quando l’esilio ha annichilito il luogo del combattimento, e sempre la fiducia nel futuro di quelle idee quale risposta alle generazioni a venire. Noi e quelli dopo di noi…
Il gusto della vita è la caratteristica di Degrelle – e non solo la sua: un gusto che non si risolve in una pretesa, come sembra essere oggi, ma frutto maturato dopo un lungo percorso da conquistarsi. E’ la risposta migliore e più autentica contro ogni interpretazione di cupo pessimismo, riti funerari, intreccio osceno e desolante di sessualità e morte ed altre ancora e simili proposizioni per un pubblico sado-masochista. La gioia, quella di cui parla Robert Brasillach (che ebbe occasione d’incontrare Degrelle, allora giovane capo del movimento REX e che, nella cella dei condannati a morte, intitola una sua poesia Il mio paese mi fa male, che era il titolo di una raccolta di versi proprio di Degrelle).
Non mi attarderò a rinnovare la sua vicenda in Belgio alla guida del movimento Rex in Messico con i Cristeros sul fronte dell’Est nella divisione Wallonie delle Waffen SS per dare un contributo, in prima linea, all’edificazione di un’altra Europa, consapevole che solo la dignità conquistata con le armi avrebbe tacitato certe tendenze egemoniche all’interno della Germania nazional-socialista. Esse sono note a chi ha letto i suoi libri. Sebbene l’Europa da lui auspicata non si sia realizzata, sotto l’opprimente cappa della mistificazione e dell’ottenebramento di una storiografia manichea, forse proprio per questo, la sua lezione di vita rimane in alcuni di noi il segno d’una speranza da mantenere e di una fierezza da preservare. Insomma: ‘Mi ricordo tre parole che un giorno avevo decifrato su una tomba di marmo nero giù a Damme in Fiandra, dentro una chiesa della mia patria perduta: Etsi mortuus urit’… Ardere, ardere sempre…

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