13 Aprile 2024
Contestazione Drieu La Rochelle Elezioni Punte di Freccia Valle Giulia

Ancora su…bastoni e barricate

di Mario M. Merlino


Ricordo bene. Ritrovo un articolo di Pierre Drieu la Rochelle del 3 marzo 1939, pubblicato su Je suis partout (la rivista più radicale del fascismo francese e di cui Robert Brasillach fu capo redattore durante gli anni della collaborazione). Titolo: Ancora e sempre Nietzsche. Cercavo un episodio di quando era in guerra, dove racconta d’aver messo nello zaino da fante, una sorta di viatico, la copia del Così parlò Zarathustra, dono di sua madre. Scrive: ‘Nella battaglia di Charleroi, fui ferito e dovetti liberarmi dell’equipaggiamento. (In effetti, dopo un momento esaltante ed eroico in cui aveva guidato alla carica gli altri fanti del suo plotone, sotto le raffiche delle mitragliatrici e della fucileria nemica, la paura era subentrata e con lei la fuga). Fu così che il mio Zarathustra rimase con lo zaino, come un trofeo, sul sentiero di un boschetto a qualche chilometro dalla frontiera belga. Fu bruciato o raccolto da qualcuno? Immagino uno studente tedesco in uniforme fare quella piccola scoperta e scuotere il capo. Decifra qualche nota a margine e si ritrova mio fratello di spirito e tutto sommato anche di sangue’.

Nel 1963, avevo diciannove anni, quando esce in edizione italiana La Commedia di Charleroi, ‘il capolavoro narrativo dello scrittore proibito’, come recitava la fascetta gialla sulla copertina, e la vicenda di cui sopra vi è raccontata con quella capacità di denudarsi interiormente, folle e disperato, che tanto affascina il lettore attento e coinvolto di Drieu. Credo che vi siano state ristampe presso altre case editrici in tempi più prossimi. Su uno scaffale vi sono tutte le opere degli scrittori francesi che scelsero, a vario titolo, l’ardua e odiata via della collaborazione con il tedesco, nel giugno del ’40, vincitore. Altri partirono, nel 1941 e successivamente, per il fronte dell’Est fino ad essere gli estremi difensori dell’Europa fra le macerie di Berlino. Là dove, per dirla con Adriano Romualdi, si consumò la ‘finis Europae’ e che Saint-Paulien ha descritto magistralmente ne I leoni morti… (Il libro che portai con me a Berlino per cercare, al di là del muro, le tracce e i luoghi di quell’epopea; libro che avevo prestato e che avrei voluto recuperare il pomeriggio di quel 12 dicembre mentre rientravo a casa… ma questa è altra storia, ormai inessenziale).
Scrivo questo articolo (?) domenica mattina prima che sia dato il via al gioco delle schede di color rosa e quelle gialle e, qui nel Lazio, tanto per non farci mancare nulla, anche verdi. Alla fiera delle vanità… Sarà pubblicato, suppongo, quando dalle televisioni dalla radio carta stampata manifesti e commenti al bar sull’autobus nelle metropolitane al mercato vincitori (?) e vinti (?) plaudiranno o si stracceranno le vesti, tutti politologi tutti ansimanti in schizzi di libidine del politicamente corretto (forse più scorretto vista la magra figura da statisti della classe dirigente dei partiti dei sindacati di associazioni e la voracità dell’abbuffata). Così, non possedendo la palla di vetro o non avendo ereditato la bacchetta magica del mio antenato, mi asterrò da previsioni anche perché – non si sappia in giro – sono stato fin da studente un pessimo conoscitore di numeri cifre grafici ecc.. Però vorrei dire qualcosa, garbatamente, su quelle che sono le mie segrete aspirazioni non del futuro, che è troppo alla mia età, ma di un tempo il più prossimo possibile…
A Valle Giulia tentammo l’impossibile (?), creare un fronte generazionale contro i signori e i loro guardiani a difesa dell’esistente. Ci trovammo contro il mondo adulto, espresso dalle istituzioni e dai partiti di riferimento destra e sinistra. Ne pagammo il prezzo e, nostro malgrado, lasciammo una eredità di lotte odio e sangue sbarre e chiavistelli. Se alcuni di noi sono ancora qui, forse ridicoli e anacronistici, è perché vogliamo essere coerenti con la nostra giovinezza e responsabili delle scelte e delle conseguenze di quelle scelte. E, se qualcuno in un delirio di onnipotenza, pur rappresentando di certo tanta novità e alternativa, ci considera dei superati falliti perdenti, ciò non ci turba né scuote il nostro cuore avventuroso e la mente inquieta… Bastonate e barricate, figlie del kaos, per veder nascere stelle danzanti in un cielo che, parafrasando il vecchio Mao, assiste dall’alto e da lunga data a ‘molta confusione’. In nome di un popolo e non di una plebe servile e accattona, bastonate e non  manganelli molotov e non lacrimogeni barricate e non blindati. Metaforicamente, va da sé, che poco ci vediamo e poco sentiamo e con la dentiera non si morde e il fiato s’è reso corto e la prostata s’è ingrossata… metaforicamente, forse…
Che c’entra, allora, il ricordo di Drieu, lo zaino con lo Zarathustra, un giovane studente in uniforme feldgrau? Già sul fronte della Grande Guerra, poi nella Parigi della notte del 6 febbraio 1934, nella Francia sconfitta con l’illusione di passare dalla collaborazione ad una solida alleanza per un nuovo ordine europeo, sporcandosi i piedi mai le mani, andare là dove nessuno ha ancora osato. Così i Drieu la Rochelle i Robert Brasillach i Rebatet i Céline e i volontari sul fronte dell’Est. Letteratura? Storia? Romanticismo fascista? Atmosfere in nero? Beh, per alcuni di noi qualcosa in più… ‘noi siamo uomini d’oggi – noi siamo soli – non abbiamo più dei – non abbiamo più idee – non crediamo né a Gesù Cristo né a Marx – bisogna che immediatamente – subito – in questo stesso attimo – costruiamo la torre della nostra – disperazione e del nostro orgoglio – con il sudore ed il sangue – di tutte le classi…’. E, poi, avere finalmente l’estrema verifica di chi è contro e di chi non lo è, di chi sta sulle barricate e di chi si rifugia nell’ovattato e protetto mondo borghese…

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