13 Aprile 2024
Inattuale

A volte ritornano…

Studente liceale, sostenendo l’esame di italiano prima prova scritta, Giovanni Gentile affrontò il tema de I Sepolcri di Ugo Foscolo, anno 1893. E nella chiesa di Santa Croce si svolse il rito funebre, martedì 18 aprile 1944 ore 8,30 del mattino, per poi, dopo alcune settimane, nella medesima basilica essere sepolto accanto ai grandi Italiani cantati proprio dal poeta. Dopo cinquant’anni il cerchio si salda o, per dirla con Nietzsche, si ripropone ‘l’eterno ritorno dell’uguale’. Per espressa decisione del Duce, quale monito e insegnamento alle future generazioni, la sua lapide a terra ove lo si rammenta quale ‘insigne filosofo e educatore’. (autore Luciano Mecacci, titolo La Ghirlanda fiorentina, Adelphi edizioni, marzo 2014, tomo di oltre cinquecento pagine sulla sua morte in cui gli intellettuali, coinvolti o meno, mostrano il volto di chierici proni al servizio delle fazioni da cui s’attendono elogi e prebende. Nulla di nuovo sotto il sole, va da sè).

Non è mia intenzione recensire il libro, regalo dell’amico Rodolfo, né ripercorrere le tappe della vicenda umana filosofica politica del Gentile (chi volesse un rapido approcciarsi alla sua figura mi faccio vanto ricordare Inquieto Novecento, Settimo Sigillo, 2004, scritto con Rodolfo Sideri e che Giano Accame ne volle trarre giudizio più che lusinghiero). Anche se ne varrebbe la pena perché, nella mia esperienza di giovane militante, il suo nome lo si legava e lo si obliava per le commistioni con il Fascismo-Regime mentre la gran parte di noi si esaltava dietro la figura di Julius Evola e ardiva ‘cavalcare la tigre’. In effetti digiuni della filosofia del primo e confusi e confusionari del pensiero del secondo. E di entrambi rivisitarne i contenuti sarebbe un buon esercizio di intelligenza ed onestà critica…

Fu sotto il governo di Francesco Crispi che venne eretta in piazza Campo di Fiori la statua a Giordano Bruno, di dice a dispetto verso il Vaticano per il fallimento del tentativo di trovare una via di conciliazione. Opera dello scultore Ettore Ferrari e inaugurata il 9 giugno del 1889. Comunque sia doveroso omaggio all’ex frate domenicano che qui era stato condotto, serrata la bocca con la mordacchia (con la ‘lingua in giova’), dalla prigione di Castel Sant’Angelo, per essere arso quale eretico il 17 febbraio del 1600 e, come tramanda un cronista del tempo, ‘martire e volentieri’. L’8 dello stesso mese, davanti ai giudici e costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza, aveva orgogliosamente risposto alla condanna a morte: ‘Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam’ (‘forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io ad ascoltarla’). Statua tetra, a dire il vero, quasi luciferina nel suo volgersi verso la cupola di San Pietro a monito, oscura per chi non conosca il suo filosofare.

E a chi, appunto, ne sia privo, trascrivo queste sue considerazioni su se medesimo, quasi una sorta di linea guida – rispettata -, di modello ideale a cui attenersi nonostante tutto. (Non premessa, ma solo un ricordo. Claudio Volontè, fratello del più noto attore Gian Maria, camerata prima e anarchico nel ’68, quando ci si conobbe, un anarco-fascista mi permetto di definirlo, in Campo di Fiori si lasciò dominare dall’ira e dal coltello per finire poco dopo suicida nel carcere di Regina Coeli). Dunque:

‘…io, benchè agitato da iniquo destino, avendo intrapreso da fanciullo una lotta diuturna con la fortuna, invitto serbo tuttavia il proposito e gli ardimenti, onde, o per avventura io ho toccata la salute – di che solo Dio può essere testimone –, o non sono pur sempre infermo e sonnolento a un modo, o di certo domino il senso della infermità mia e lo disprezzo affatto, sì che punto non temo della stessa morte. E però a nessun mortale da me e con le forze del mio animo cedo e mi arrendo’.

(Trattasi ovviamente di passo affatto filosofico, ma ben si conviene a coloro che conoscono le parole come pietre e non nascondono la mano che le ha scagliate).

Negli stessi anni un altro domenicano, Tommaso Campanella, convinto che gli astri lo invitavano a mettersi a capo di uno sconvolgimento politico contro il dominio spagnolo si diede a coinvolgere altri confratelli nel progetto d questa insorgenza, nel convento di Punta Stilo. Come si conviene in questi casi c’è sempre in agguato il traditore, qui furono diversi frati a fare il suo nome, che lo consegnarono con le loro dichiarazioni al braccio secolare delle autorità spagnole. Era l’anno 1599. Pur sottoposto a tortura e ripetutamente – la confessione estorta era allora considerata prova –, egli seppe resistere fingendosi pazzo, unico modo per evitare il boia (chi è folle non può conoscere il ravvedimento secondo i principi teologici del tempo). Nelle carceri di Napoli trascorse ben ventisette anni e qui scrisse le sue opere più note e quel racconto, La Città del Sole (1602), che sul genere utopistico e con forti richiami platonici (si pensi all’eugenetica) divenne libro tanto amato di menti genialoidi e libertarie (Anche per il Campanella non mi sono voluto inoltrare nei contenuti specifici della sua filosofia della natura, ma mettere a confronto la tempra dell’uomo con la fitta schiera di coloro che, negli anni del terrorismo, finirono per divenire, fra dissociati e pentiti, una schiera compatta e vociante di contro il numero sempre più esiguo degli irriducibili).

Secondo Nietzsche il valore di una filosofia consiste nel modo come il filosofo aderisce ad essa nella sua esistenza personale(affermazione questa che mette in crisi tutta la riflessione teoretica e speculativa per cui alcune autorevoli voci – in Italia lo furono sia Croce che Gentile – dubitavano che si potesse parlare di un filosofare nietzschiano come per Schopenhauer e la difforme valutazione su Carlo Marx). Né è mio intento scrivere intorno al tragico esito di alcuni – numerosi – pensatori (primo fra tutti, in ordine temporale e per notorietà Socrate, immortalato da Platone nel dialogo Il Critone – come libro di propaganda antinazista lo scrittore John Steinbeck ne cita le ultime parole ne La luna è tramontata, di quel gallo che va offerto al dio della salute e della guarigione Asclepiade). Di cosa, dunque, si fa finalità questo intervento?

Questa mattina, la giornata di pioggia non invogliava a fare passeggiate né avevo necessità di rifugiarmi in fruttuose meditazioni in qualche discount, mi sono attardato a bere il quotidiano cappuccino ricco di panna di latte e crema di caffè (modesto anche nel gusto!). Assorto in metafisiche contemplazioni (sic!) sono stato distolto dal ‘postino’ che ama tampinarmi e chiacchierare intorno alle ‘cose supreme’ del mondo della politica. Non me la sento di dissuaderlo e disilluderlo, per cui mi imbarco in una sorta di monologo che mi sforzo di spostare dalla politica, a cui guardo sempre più stanco e distante, alla cultura e dintorni, di cui mi picco essere un buon conoscitore.

Insomma: da Renzi Berlusconi e affini – solo il lato b del ministro Boschi di cui si fa gossip può indurmi ad uno sguardo meno fugace… – ho portato la conversazione sulla ristampa de I volontari di Saint-Loup per la casa editrice L’Assalto, con nuova traduzione e integrale nel suo contenuto (quella in mio possesso edita da La Sentinella d’Italia è monca per motivi di costi editoriali) e corredata di apparato di note e fotografie (la sua recensione l’ho affidata ad Angelo che già s’è cimentato un paio di volte su Ereticamente). Narra le vicende di quei volontari antibolscevichi, che dalla Francia andarono a farsi ammazzare sul fronte dell’Est e di cui l’autore fece parte – Saint-Loup è lo pseudonimo di Marc Auger. E raccontavo dell’incontro tra costui e lo scrittore Robert Brasillach, alla vigilia della ‘liberazione’ di Parigi nell’agosto 1944, all’Istituto di cultura germanica in chiusura. (Ne ho scritto introducendo l’opera di teatro Domrémy e – credo – anche in uno dei miei ‘pezzi’). Il rifiuto del poeta di scrivere un pezzo sul giornale della L.A.F., Il combattente europeo in quanto

‘non sono degno di scrivere neppure una riga, avendo l’età ed il fisico ber battermi al vostro fianco e, viceversa, resto qui a Parigi’.

Il destino ha voluto – e per quanto riguarda Brasillach non fu solo il fato, ma la coscienza dell’Onore – che chi indossava la divisa si salvasse e venisse fucilato chi adoperava la penna… E raccontavo di una cena a casa di Andrea Camilleri e della conversazione intorno al ruolo vile e servile di tanta parte degli intellettuali. A Sergio Tau che ne evidenziava il comportamento e ne parlava con giusto disprezzo, Camilleri, di cui sono note le idee politiche, rimarcò la scelta di Luigi Pirandello di iscriversi al partito fascista poco dopo l’assassinio di Matteotti, quando molti si ritrassero…

Uomini e non, intellettuali e non… Forse sta qui il richiamo, un po’ da professore ex cathedra, a Giovanni Gentile a Giordano Bruno a Tommaso Campanella e, sì, al mio fratello più caro. Ancora Nietzsche annotava come il sangue non sia un buon testimone, ma qui aveva almeno in parte torto. Si può non conoscere la filosofia del Gentile di Bruno e del Campanella, ad esempio, ma ognuno di noi guarda – e si confronta – con quelle morti e ‘deve’ chiedersi (noi che ci pavoneggiamo di scrivere libri) cosa avrebbe fatto e se avrebbe fatto altrettanto. Anche perché proprio lo stesso Nietzsche s’era corretto invitando a scrivere con il sangue in quanto il sangue è spirito. ‘Coraggio!’ a se stesso e al plotone d’esecuzione perché le virtù della fierezza e della speranza ci venissero consegnate degne d’essere testimoniate in vita e in morte da ognuno di noi…

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