13 Aprile 2024
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23 marzo 1919: la “congiura dei santi pazzi” (parte prima)


di Giacinto Reale

La nascita del fascismo data al 23 marzo 1919, giorno in cui l’assemblea di un centinaio di lettori del Popolo d’Italia, riunita nei locali concessi (come da prassi normale) dal Circolo degli interessi industriali e commerciali, in piazza San Sepolcro, a Milano, in una “congiura di santi pazzi” delibera la costituzione dei Fasci di combattimento. In effetti, ciò che sicuramente accomuna tutti i presenti, aldilà delle diversità di orientamento e provenienza che esistono fra loro, ciò che crea per tutti un minimo comune denominatore, è soprattutto l’adesione alle tesi ed alla campagna politica del quotidiano mussoliniano.

Il ruolo del Popolo d’Italia in questi mesi è rilevantissimo e molteplice: indica una linea politica, suggerisce obiettivi da raggiungere, coordina sforzi organizzativi, fa da portavoce propagatore di istanze diverse e non sempre coerenti fra di loro. Funge anche da “centro di assistenza” per smobilitati e reduci che in continuazione, e non sempre con discrezione, vengono a battere cassa al “loro” giornale che “deve” aiutarli; dieci lire di sussidio non si negano a nessuno, anche se Arnaldo Mussolini, che è l’amministratore del giornale, borbotta per le conseguenze disastrose di quella prodigalità indiscriminata sulle già lacunose risorse economiche di cui dispone.

E’ proprio il Popolo d’Italia che il 2 marzo ha dato l’annuncio della prossima riunione: “I corrispondenti, collaboratori, lettori, seguaci del Popolo d’Italia, combattenti, ex combattenti, cittadini e rappresentanti dei Fasci della “Nuova Italia” e del resto della Nazione, sono invitati ad intervenire all’adunanza privata, che sarà tenuta a Milano il prossimo 23 marzo. Gli amici che interverranno personalmente o in rappresentanza di gruppi sono pregati di avvertire senza indugio. Si terrà conto anche delle adesioni mandate per lettera. L’adunata sarà importantissima.” La riunione è preceduta dalla costituzione, il 21 del Fascio milanese, e, in pratica, si inserisce tra le molte iniziative che agitano l’ambiente interventista ed antisocialista del capoluogo lombardo e ne fanno un punto di riferimento obbligato per tutta l’Italia.

Mussolini, per esempio, il 20 marzo è stato chiamato a Dalmine, tra gli operai che hanno occupato con il tricolore lo stabilimento Franchi e Gregorini e si sono impegnati nell’originalissimo “sciopero produttivo”, proseguendo, cioè nel lavoro: viene accolto da un operaio che indossa ancora “la completa tenuta da soldato, salvo le stellette”, e loda l’iniziativa con accenti inequivocabili: “Voi vi siete messi sul terreno della classe, ma non avete dimenticato la Nazione. Avete parlato di popolo italiano, non soltanto della vostra categoria di metallurgici.…Voi insegnate a certi industriali, a quelli specialmente che ignorano tutto ciò che in questi ultimi quattro anni è avvenuto nel mondo, che la figura del vecchio industriale esoso e vampiro deve sostituirsi con quella del capitano della sua industria, da cui può chiedere il necessario per sé, non già per imporre la miseria per gli altri creatori della ricchezza… Per i vostri diritti, che sono equi e sacrosanti, sono con voi. Distinguerò sempre la massa che lavora dal Partito che si arroga, non si sa perché, il diritto di volerla rappresentare.”

In previsione della riunione, il Popolo d’Italia pubblica, spesso però con i tagli imposti dall’occhiuta censura governativa, messaggi di simpatizzanti che, impossibilitati ad intervenire di persona, inviano telegrammi di solidarietà, personali ed a nome di varie associazioni, in genere però di scarsa consistenza numerica. Alcune adesioni sono “politiche”, provengono cioè da elementi già interessati da precedenti esperienze di politica attiva, ma molte sono quelle di uomini e gruppi fino allora estranei alla politica vera e propria, come alcuni Ufficiali e soldati del 14^ Reggimento fanteria, che scrivono da Foggia: “Impossibilitati presenziare all’adunata, mandiamo la nostra adesione. Abbiamo fatto l’Italia, ne vogliamo ora le redini.” Simile il contributo di tale Leone Lombardi, di Montevarchi: “…Sono un umile fante volontario di guerra. Ho creduto sempre e credo anche adesso che i grigioverde debbano imporsi ai rossi e ai neri. Siamo la parte migliore del Paese perché abbiamo adempiuto a doveri grandissimi; così ci si devono riconoscere diritti corrispondenti. Spero che l’adunata del 23 alla quale aderisco sia la prima squilla in tal senso.”

Il giornale mussoliniano, dal canto suo, alimenta con indubbia efficacia l’aspettativa per l’avvenimento: parla di nascita dell’ “antipartito” che si contrapporrà contemporaneamente a due pericoli “quello misoneista di destra e quello distruttivo di sinistra”, chiama a raccolta tutti i protagonisti delle battaglie interventiste, per la formazione di un blocco unico che si contrapponga al nemico interno ed eviti il sabotaggio della pace, che può venire da due parti, dall’imbecillità governativa come dall’incoscienza tesserata.

Contro tutto questo nascono i Fasci di combattimento, nella sintesi mussoliniana: “Noi ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti ed illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo di ambiente nelle quali siamo costretti a vivere ed agire.” Alla fine, le adesioni saranno 430: 400 quelle individuali e 30 le collettive; in effetti, la domenica mattina, nei locali al primo piano del numero 9 di piazza San Sepolcro, i presenti sono circa un centinaio. E diciamo circa, perchè sul numero esatto le informazioni sono assai discordi: l’elenco fornito dal Chiurco è di 112 nominativi; ma, contro la sua completezza sta, per esempio, la testimonianza di Ernesto Daquanno che pure è presente (e ci sarà fino a Dongo) e non sarà incluso nell’elenco: “Mentre gli oratori parlano, il Tenente degli Arditi Renato Barabandi ha circolato tra gli intervenuti raccogliendone nomi e attributi….Mi chiede cosa rappresento “Non rappresento nessuno” – dico – “Allora non ti ci metto” – fa lui – “E tu non mi ci mettere” – replico alzando le spalle – Così il mio nome non passa nel resoconto pubblicato all’indomani sul Popolo d’Italia ….Ma io c’ero, ah se c’ero” Cesare Rossi conferma il dato dell’approssimatività, e si attribuisce la responsabilità dell’arbitraria inclusione nell’elenco del Senatore Luigi Mangiagalli, illustre ostetrico di provenienza democratico-radicale; in effetti, costui, che non si sognerà mai di smentire la sua partecipazione, è assente, e solo la somiglianza con uno sconosciuto affacciatosi per caso alla sala durante la riunione ne farà un “sansepolcrista”. (segue)

 

 

 

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