13 Aprile 2024
Amore Punte di Freccia

19, Centocelle-Valle Giulia

Di Mario M. Merlino
Non lo so – e mi ero ripromesso di chiederlo all’autore –, ma come spesso accade, soprattutto quando si vive in una grande caotica distratta città, le strade si diradano e finiscono per essere simili a sentieri sperduti nel bosco di cemento, così anche un numero di cellulare volteggia chissà come dove e perché portando il suo minuscolo contributo a rendere Roma sempre più sporca. Una curiosità, un pettegolezzo forse, tanto per dirsi qualcosa, una conoscenza non una amicizia, insomma se Edoardo Albinati avesse scritto il libro e, successivamente, l’ATAC (l’Azienda municipale del trasporto pubblico) ne abbia acquistato copie da donare ai passeggeri del tram, di quel numero 19, oppure fosse nato su commissione, modello scrittore alla corte di un signorotto rinascimentale. Non che la cosa abbia importanza. Me ne sono fatto regalare un paio di copie dal manovratore (si usa ancora questo termine?), padre di Michela, mia alunna sez B, tanto ne facevano omaggio ai passeggeri del tram.

Già, dimenticavo, per coloro che non conoscono Roma, il 19 è, traballante sulle rotaie, il tram di maggior percorrenza perché si parte da piazza dei Gerani, zona Centocelle (e nei pressi vi ho insegnato per venti anni esatti), per filare tutto dritto, sferragliando e stridendo, per via Prenestina svoltare, poi, lungo il quartiere di San Lorenzo, altro percorso chilometrico di viale Regina Margherita, costeggiare il muro del giardino zoologico (oggi lo si chiama bioparco tanto per dargli un nome più adatto al vezzo ecologista del momento) e, finalmente, trovare sosta temporanea davanti alla facoltà di architettura (quella mitica Valle Giulia dove ebbi il momento di gloria, immortalato con bastone e molotov, 1 marzo ’68).
Qualche lettore impudente e confidando come, nell’anonimato, non possa essere raggiunto dal mio insulto e critica severa (bei tempi quando potevi minacciare di ricorrere alla nota sul registro!… e mai averlo fatto) si dirà che di tutto questo a lui frega poco o niente. Vuole, in possesso di stomaco da struzzo, idee concetti figure esemplari accadimenti storici e, di contro, si annoia e diffida là dove la carne le ossa e il sangue appaiono amenità di frivolezza ammantati e di personale esperire. Ne sono consapevole. Hegel diceva che nessuno è eroe agli occhi del proprio cameriere… Eppure, ogni tanto, girare per casa a piedi nudi con le braghe del pigiama arruffato e ruvido (mi guardo allo specchio e mi piaccio spettinato e barbuto!) aiuta a sentirsi in pace con il mondo e con se stessi… (C’è una morale in questo mio sproloquio, va da sé, e la lascio, sorpresa da scartare, all’intelligenza dei miei numero-sissimi ammiratori…).
Insomma: Edoardo Albinati, a cavallo tra i quaranta e cinquant’anni (il libro è del 2001), insegnante al carcere di Rebibbia, autore già di un paio di racconti, dà titolo 19 alle sue scorribande riflessioni incontri sensazioni in poco più di cento pagine mentre va avanti e indietro sul tram. E vi leggo qualcosa che mi riguarda – e trascrivo quasi per intero un paragrafo a pag. 21 – : ‘Al ritorno l’unica cosa che mi colpisce sono gli striscioni penzolanti qua e là che festeggiano, ormai da due mesi, lo scudetto della Lazio. Cominciano ad essere zozzi e molli (…) E poi ricevo una telefonata in cui parliamo dell’innamoramento del mago Merlino per una giovane ragazza. Lui sì che conosce tutte le cose del mondo, eppure dell’amore sembra non sapere né capire nulla. E’ curioso e pieno di desideri, ingenuo come un adolescente, Merlino. La telefonata, con la voce che va e viene durante il percorso, mi comunica un grande desiderio di inventare, costruire bei dialoghi, lavorare con le parole’.
Ed è proprio Michela, approfittando del padre tramviere, a portarmi tutta trionfante il libro che prima ha mostrato a tutta la classe ed è un brusio un susseguirsi di domande curiosità sorrisini insinuazioni altro che storia e le interrogazioni di filosofia si slabbrano e fuggono felici dalla finestra aperta sugli alberi del giardinetto interno e trascurato. Ed io con loro. Felice, sì, mi posso definire felice. Mi basta poco. Altro che ‘le idee che mossero il mondo’, mi ritrovo ogni mattina ad annusare profumo di donna, una qualsiasi, sull’autobus o in metropolitana, alla fermata o seduta davanti a me sul trenino azzurro. Jean Lartéguy, mi sembra in Né onore né gloria, scrive come in guerra ci si giochi la vita, ma in amore l’anima. E in Romeo e Giulietta Shakespeare  si chiede chi è che non abbia amato al primo sguardo…
(Oggi mi diletto nella piccola graziosa benigna vanità dell’effimero e la condivido, loro malgrado, con i lettori di Ereticamente. Confucio ricorda come disegnare il cibo non toglie l’appetito, sarà vero, ma guardare il volto di una fanciulla, il modo agile con cui sale o scende dal predellino, il passo che dai fianchi in giù ondeggia sicuro e deciso, beh, ripongo nello zainetto il libro che mi accompagna e, guardandola con animo puro e mente casta, mi racconto una storia. Ogni volta una nuova, ogni volta la stessa).
Ripercorro le ultime tappe del mio avo. Quando ormai fattosi vecchio, egli si è ritirato in Bretagna, nella foresta di Brocéliande. Qui si incontra e si innamora di una strega (per alcuni è, al contrario, una fata), giovane e bella di nome Viviana. Ella lo persuade ad insegnarle ogni formula dell’arte magica fino al sortilegio di cui non si ha antidoto. Egli, capace di scorgere il futuro, sa a quale rischio e inganno sta per esser tratto, ma… come sono grandi i suoi occhi e perfette le sue labbra… come resistere e desistere… come è intrigante il suono della voce e le dita che gli sfiorano la folta barba canuta… ed ora è prigioniero in una grotta – e io credo, nonostante tutto, felice perché s’è lasciato andare alla forza irresistibile delle emozioni e si è sottratto alla tirannia arrogante e presuntuosa della ragione. Ed io la penso come lui e, soprattutto, tra realtà e sogno, mi sono sforzato di vivere.

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