9 Aprile 2024
Tradizione Primordiale

STRADE DEL NORD. Il tema delle Origini Boreali in Herman Wirth e negli altri – Parte 16 – Michele Ruzzai

(alla fine dell’articolo, prima delle Note, è presente il link dell’articolo precedente)

 

8 – Il Dvapara Yuga / Età dell’Ascia: la questione indoeuropea

 

8.1 – Teorie sulla nostra etnogenesi

 

Prima di affrontare gli aspetti più propriamente cronologici relativi alla genesi della nostra famiglia etnolinguistica, riteniamo utile ripercorrere alcuni punti di carattere più generale sul tema degli Indoeuropei.

Su questi, o – secondo la denominazione più frequentemente utilizzata in passato – sugli “Indogermani”, come avevamo già anticipato in precedenza, appare per certi versi sorprendente la posizione di Herman Wirth che riteneva non essere mai esisito né un popolo primitivo “indogermanico” né una protolingua ancestrale “indogermanica”: ed è interessante rilevare come, su tale punto, si trovi molto vicino a quanto sostenuto da René Guénon. In questa direzione, significativa ci sembra la sottolineatura wirthiana – espressa a confutazione di un primordiale ethnos indogermanico unitario – relativa alla presenza in Europa, fin dai primissimi tempi nei quali vi si può riconoscere il popolamento della razza nordica, anche della sua generalizzata mistione con un substrato non-nordico di lontana provenienza asiatica. In questo modo, lo abbiamo già notato, Wirth rivela ancora una volta come nella sua prospettiva non sia l’elemento culturale e linguistico indoeuropeo a costituire il dato primario, bensì quello eminentemente razziale: un dato che, evidenziando una certa eterogeneità, confuterebbe appunto l’idea di un “Urvolk” indogermanico coeso ed omogeneo.

Se dunque è vero che per Wirth il mondo indoeuropeo non ebbe mai una sua originaria soggettività, nella stessa direzione non va dimenticato, in generale, come i concetti di “razza” e “lingua”, presi singolarmente, non siano ovviamente sovrapponibili tra loro: ad esempio, un europide che parla swahili non diventa etnicamente un Bantu, né un congoide che parla italiano diventa etnicamente un Indoeuropeo. Tuttavia, come osserva Romualdi, tale scollamento tra i due elementi è vero soprattutto quanto più avanti si procede nel tempo, mentre invece è molto probabile che quanto più ci si spinge indietro, verso le origini di un dato gruppo etnico, tanto più queste due dimensioni vengono in larghissima parte a sovrapporsi (688). Inoltre, siamo anche convinti che considerare questi concetti solo in modo disgiunto, rappresenti un’astrazione tutta moderna e destrutturante, la quale, operando in modo principalmente analitico e settoriale, si contrappone ad un approccio che, invece, sarebbe a nostro avviso ben più fruttuoso se condotto lungo percorsi “di sintesi”. E dunque il soggetto centrale nella storia dei gruppi umani – che nel loro alveo accolgono sia i temi della “razza” che della “lingua” (ma anche li integra con istanze di carattere culturale, materiale, mitico e spirituale) – riteniamo corrisponda esattamente al concetto sintetico di “ethnos”, strettamente legato al proprio specifico paideuma secondo la definizione che ne diede Leo Frobenius (689), ovvero quel principio profondo e coesivo di ogni comunità che rimane immutato pur nell’incessante dinamica dei processi storici: e quindi “ethnos” quale categoria umana assolutamente fondamentale e primaria secondo quell’approccio antropologico che, pur nelle sue varie declinazioni, è stato definito come “primordialista”. Ma questo è una tema di portata talmente vasta che non può essere approfondito nella presente sede, per cui in nota ci limitiamo a segnalare alcuni testi (690) a nostro parere particolarmente utili per un inquadramento generale della questione dell’identità etnica.

Tale digressione, in ogni caso, ci consente di accostarci nel modo più corretto ad un concetto di base che riteniamo imprescindibile quando parliamo di etnogenesi indoeuropea: ovvero, appunto, quello sintetico di un unicuum nel quale una lingua ancora unitaria (“Ursprache”) a suo tempo dev’essere stata utilizzata da una comunità fondativa di parlanti (691), cioè da un “Urvolk” – ovvero da un popolo originario protoindoeuropeo – il quale, almeno nelle fasi iniziali della sua storia, è plausibile abbia presentato delle caratteristiche geno/fenotipiche relativamente omogenee. Una premessa, si badi bene, che comunque non implica assolutamente la volontà di semplificare oltre misura i passaggi del nostro processo etnogenetico, il quale è anzi molto probabile abbia attraversato delle fasi formative piuttosto articolate e di direzione apparentemente opposta: in termini generici, potremmo definire queste dinamiche sia di “fissione” che di “fusione”.

Dal lato della “fissione”, cioè, riteniamo che a partire dal ceppo “paleoartico” di partenza, o magari anche su scala ancora più vasta e nell’ambito di una “metapopolazione” di tutto il settentrione del pianeta, si sia verificata la segregazione di alcuni caratteri genetici, forse principalmente all’interno della componente ANE, con l’enucleazione di una primissima, embrionale, specificità etnica da parte di un gruppo più limitato: quindi una ramificazione/separazione che avrebbe potuto verificarsi in un’enclave nordica – una “Urheimat” – sulla cui collocazione più precisa torneremo più avanti.

Sul lato invece della “fusione”, a nostro avviso l’elevata mobilità dei gruppi cacciatori-raccoglitori paleolitici non ancora sedentarizzati, abbinata al sensibile peso dei reciproci interscambi nell’ambito di popolazioni demograficamente piuttosto ridotte, potrebbe aver implicato il subentro di fenomeni, in una certa misura, di direzione opposta a quelli di “fissione”, portando quindi a non recidere mai del tutto quel tessuto comune con le altre genti boreali. Un lungo processo etnogenetico che, come vedremo, esordendo in primis nel contesto di una chiara prossimità con gruppi uralici più orientali, sarebbe però stato integrato anche da importanti e successivi apporti derivanti dall’anzidetto incontro/scontro con i “cugini” atlantico-fomoriani, e probabilmente dovette risentire pure di non trascurabili contatti con il meridione dene-caucasico: giungendo infine al risultato di un “Urvolk” proto-indoeuropeo il quale, certamente, evidenziò al suo interno un buon grado di omogeneità geno-fenotipica, che però mai giunse ai livelli di una ristretta e chiusa comunità di valligiani. Dunque fenomeni piuttosto dinamici, un cuore “pulsante” ed una periferia alquanto magmatica, con varie ondate migratorie dispiegate su itinerari e tempistiche diverse: quella che azzarderemmo a definire come una vera e propria “nebulosa proto-indoeuropea” la quale potrebbe aver comportato addirittura fenomeni di ibridazione linguistica nelle popolazioni collocate in aree liminali, quindi forse da interpretarsi più come “peri-indoeuropee” in termini geografici che, secondo la visuale classica, “pre-indoeuropee” in termini temporali (692).

In verità, per la genesi della nostra famiglia etnolinguistica, è stata effettivamente proposta anche una visione “fusionale” molto più estrema: ovvero, più o meno come in Wirth, la negazione di una comunità originaria protoindoeuropea ed un idioma risultante che si sarebbe formato solo per mera convergenza di gruppi preesistenti parlanti lingue completamente diverse.

Una strada che, però, non si può dire sia stata battuta da molti glottologi.

Vittore Pisani, ad esempio, riteneva a suo tempo essere esistita una stratificazione “paleoeuropea”, dal basco al caucasico, che poi venne assorbita in una successiva unità la quale, con il tempo, avrebbe assunto connotazioni indoeuropee (693), ma appunto senza che questa avesse avuto alle spalle un preciso popolo e una lingua originaria, riducendola quindi ad un mero sistema di “isoglosse” (694). Anche Trubeckoj fu uno dei non molti studiosi a contestare il concetto di lingua protoindoeuropea ancestrale (695) preferendo piuttosto un modello di “Sprachbund” (696) ovvero un processo di convergenza in un’unità superiore di lingue originariamente diverse, modello che di recente (1997) è stato riproposto anche da Dixon (697). Secondo Trubeckoj i soggetti linguistici che si sarebbero incontrati, producendo poi la lega indoeuropea, avrebbero potuto essere essere l’ugrofinnico e il mediterraneo-caucasico (698), conclusione in effetti molto simile a quella sostenuta anche da Uhlenbeck (699). Basco, caucasico, un indefinito “mediterraneo”, o, come proposto da Bernard Segent (700), anche l’afroasiatico, sono i gruppi che potremmo considerate il soggetto meridionale entrato in gioco, secondo questa particolare prospettiva, nella formazione delle lingue indoeurope; il soggetto settentrionale invece è sempre quello uralico, cosa che ci sembra piuttosto significativa e sulla quale torneremo.

Ma, come detto, il modello “fusionale” più estremo sembra convincere meno rispetto quello di disegno opposto. Infatti, nelle ipotesi di collegamento della nostra famiglia etnolinguistica con le altre, sono stati più frequentemente l’utilizzati modelli ad albero genealogico – cioè di divergenza, di “fissione” – postulando cioè che gli Indoeuropei abbiano rappresentato uno dei rami, quindi fin dall’inizio ben individuato nella sua soggettività, che si separò da una più antica e vasta protolingua originaria. Come già accennato in precedenza, a questa protolingua originaria venne dato il nome di “Nostratico”, termine coniato ai primi del ‘900 dal linguista danese Holger Pedersen (701) e dalla quale si sarebbero originate anche le lingue camito-semitiche, uraliche ed altaiche; negli scorsi anni ’60 l’ipotesi nostratica venne ulteriormente elaborata soprattutto dai due linguisti russi Vladimir Illič-Svityč e Aharon Dolgopolskij arrivando a raccogliere in questo insieme anche le lingue elamo-dravidiche e quelle kartveliche (ovvero le caucasiche meridionali, come il georgiano), e ancor più di recente, nella versione di Vitaly Shevoroskin, evidenziando una significativa vicinanza anche con l’aggregato delle lingue amerinde (702) postulato nella rivoluzionaria classificazione proposta per il Nuovo Mondo da Joseph Greenberg negli anni ’80 del secolo scorso.

Una prossimità, quest’ultima, che in effetti venne rilevata anche dallo stesso Greenberg  (703) ma, dettaglio importante, non tanto nei confronti del Nostratico in generale, quando piuttosto nei confronti di un macro-aggregato in parte diverso da esso ed ipotizzato sulla base dell’osservazione della maggiore vicinanza morfologica che l’Indoeuropeo sembra evidenziare con le famiglie ciukcio-camciadali (estremo oriente siberiano) ed eschimo-aleutina (Alaska ed America artica) rispetto alle più meridionali camito-semitica ed elamo-dravidica (704). Il macro-phylum di partenza venne quindi ripensato con la sostituzione delle ultime due famiglie con le prime due e con la nuova denominazione di “Eurasiatico” al posto di “Nostratico”, quindi ora comprendente le famiglie: indoeuropea, uralica, altaica, coreana-giapponese-ainu, ciukcio-camciadali ed eschimo-aleutina (705). Non sfuggirà che si tratta delle sei famiglie linguistiche di dislocazione più boreale del pianeta, da cui il fatto che, rispetto al Nostratico, l’Eurasiatico di Greenberg assume una connotazione nettamente più nordica e linguisticamente più convincente anche a parere del nostraticista russo Sergei Anatolievič Starostin (706) ed, implicitamente, pure dello stesso Dolgopolskij che infatti, invece di utilizzare il termine “Nostratico” preferì quello di “Boreale” (707). Ulteriori lavori di N.D. Andreev, sempre negli scorsi anni ’80, consolidarono l’idea di un collegamento della famiglia indoeuropea ad un più vasto, ed anteriore, contesto linguistico (708) fino a postularne, analogamente ai ricercatori già menzionati, la derivazione da un “Protoboreale” diffuso in tempi preistorici in tutta l’Eurasia settentrionale (709). Un legame, quindi, di carattere eminentemente filogenetico in una prospettiva teorica che, in effetti, costituisce l’opzione più logica per fare luce su vari parallelismi linguistici rilevati ad enorme distanza geografica, e dunque impossibili da spiegare attraverso semplici influenze per contatto tra idiomi vicini: come ad esempio è stato rilevato, seppure a livello più lessicale che morfologico-grammaticale, tra l’Indoeuropeo e la lontanissima lingua ainu (710).

Dunque una rappresentazione “ad albero genealogico” – a partire da un progenitore comune e con lo sviluppo di vari rami, tra loro più o meno vicini – ci sembra, di base, ancora quella più convincente per spiegare sia l’enucleazione iniziale che la successiva diversificazione interna della nostra famiglia etnolinguistica; ciò, seppure Colin Renfrew abbia giustamente sottolineato come, accanto all’adozione di questa prospettiva, sia comunque opportuno contemplare anche la presenza di contemporanei processi di convergenza (sul tipo, ad esempio, di quelli ipotizzati da Trubeckoj) perché si tratta di dinamiche certamente non isolate e non secondarie (711). In questo modo si confermerebbe dunque l’idea, che ci tornerà utile anche più avanti, secondo la quale un modello formativo non debba necessariamente escludere l’altro, ma che entrambi possono aver concorso alla genesi indoeuropea. E ciò potrebbe essersi verificato in misura diseguale ed “asimmetrica”, ovvero con la dinamica di divergenza/fissione che fu quella prevalente, ma dove vennero ad innestarsi spinte di convergenza/fusione, di entità comunque non trascurabile, soprattutto nei punti più periferici dell’areale – della “Urheimat” – di partenza.

Ma, appunto, in questa “Urheimat”, un nucleo iniziale proto-indoeuropeo – ovvero un “Urvolk” che parlava una “Ursprache” ancora unitaria – doveva necessariamente già preesistere.

Quindi, su questo specifico tema, non seguiamo Herman Wirth e René Guénon in quanto riteniamo che ormai più di due secoli di indoeuropeistica abbiano sufficientemente messo in luce l’esistenza di questa precisa soggettività originaria e di conseguenza anche i rapporti di parentela genetica, e non solo di mera convergenza lessicale, che anche all’interno della nostra famiglia linguistica collegano tra loro gli idiomi parlati in terre lontanissime quali l’Islanda ad ovest ed il Bangladesh ad est (712).

Il punto, semmai, è provare a capire dove e quando è esistita questa “Urheimat” proto-indoeuropea dei primordi.

 

 

8.2 – L’Urheimat settentrionale

 

Per quanto ovvio e visti anche i ripetuti accenni fatti in precedenza, al lettore apparirà chiaro che, per la questione delle origini indoeuropee in una prospettiva boreale, un autore dal quale non si può prescindere è l’indiano Bal Gangadhar Tilak, con la sua proposta di collocazione nell’estremo Nord dell’iniziale area di stanziamento dei nostri antenati più diretti.

E’ però opportuno sottolineare che questo è un tema più specifico rispetto a quello dell’origine umana in senso ampio, di cui le trattazioni di René Guénon sui cicli cosmici e la sintesi in chiave mitica di William F. Warren nel suo “Paradise found”. Si tratta cioè di due soggetti e di due questioni ben diverse, anche se la nostra impressione è che queste siano spesso state presentate in modo un po’ confuso e sovrapposto: cosa della quale era peraltro consapevole anche lo stesso Tilak, che teneva ben separati i due eventi pur precisando che la teoria dell’origine boreale degli Indoarii non implicava nessun contrasto con quella monofiletica e più generale di Warren, costituendone anzi un logico corollario (713). Si tratta in fondo di una puntualizzazione molto simile a quella espressa dallo stesso Evola, quando sottolineava come, da un punto di vista cronologico, le prime migrazioni dalle sedi nordiche erano avvenute in epoche molto anteriori a quelle relative alle genti “Arie” in senso stretto, coinvolgendo a suo tempo le stirpi Cro-Magnon che abbiamo già incontrato in precedenza (714). Inoltre, da un punto di vista geografico, possiamo anche dire che gli eventi in questione non sono più connessi al tema specifico, toccato all’inizio, della “polarità” primordiale, ma ad una sede ora connotata solo da una più generica “settentrionalità” (715).

Dunque adesso l’oggetto delle nostre riflessioni diventa più limitato, perché non riguarda più l’area di origine della nostra specie biologica, ma quella della nostra famiglia etno-linguistica. E su questo punto va detto che, ovviamente, l’approccio di Tilak non gode del favore della ricerca accademica, ma bisogna anche ricordare che, dopo quasi due secoli di ipotesi e riflessioni, ancora non si è giunti ad una conclusione veramente condivisa sulla localizzazione della Urheimat proto-indoeuropea. In precedenza, quando si è toccato lo snodo costituito dal concetto di “Ariano”, avevamo già accennato alle teorie elaborate durante, grossomodo, il primo secolo di indoeuropeistica, ipotesi partite da una localizzazione centro-asiatica e successivamente riformulate in chiave decisamente più settentrionale ed euro-centrica. Ora, se diamo uno sguardo a quanto postulato in tempi più recenti, e cioè a partire all’incirca dalla metà del XX secolo ad oggi, vedremo in effetti che le localizzazioni proposte per l’Urheimat indoeuropea hanno continuato a non trovare la totale condivisione dei ricercatori di settore, ma tuttavia – aspetto non trascurabile – sono state quasi tutte immaginate ben dentro i confini del nostro continente.

Si può dire che, in una certa misura, l’antica ipotesi centro-asiatica sia stata ripresa da quella più recente che pone la culla proto-indoeuropea nelle steppe del Tukestan ed attorno al lago d’Aral (716): il che ci porta molto vicino alla “teoria kurganica” perfezionata dalla lituana Marija Gimbutas, la quale ne propone una localizzazione nella Russia meridionale ad opera di popolazioni nomadi databili attorno al V millennio a.c., quindi in età calcolitica. E’ forse attorno a questa ipotesi che il mondo accademico ha sviluppato il maggior scambio, come anche nei confronti di un’ipotesi alternativa, ovvero la “teoria anatolica” elaborata dal britannico Colin Renfrew, che invece individua il nucleo originario nell’attuale Turchia, a partire dal VII millennio a.c., quindi in età neolitica e sulla base di una popolazione essenzialmente agricola (717). Ma a parte Gimbutas e Renfrew, alcune delle altre sedi che sono state proposte si sono concentrate soprattutto su un’area centro-est-europea, ed a questo proposito già a suo tempo Karl Penka aveva avanzato l’idea di una “culla” non più orientale della linea che corre da Königsberg a Odessa: basandosi sull’assenza del faggio oltre a tale limite e ritenendone la parola attestata con buona omogeneità nelle varie lingue indoeuropee, si era dedotta l’esistenza di un unico termine per designarlo nella fase linguistica ancora comune, ovviamente in un ambito eco-geografico dove questo poteva avere un senso (718). Argomentazione (come anche quella, analoga, relativa alla parola indicante il salmone) tuttavia contestata da Marcello Durante, il quale sottolineò come i termini che in alcune lingue indoeuropee si associano a questi due elementi, in altre, pur presentando una radice simile, rivestono significati piuttosto diversi, concludendo quindi che l’ipotesi di partenza non era scevra da una certa arbitrarietà (719); e quindi, in definitiva, destituendo di ogni validità questo genere di argomentazioni (720).

Se quindi ci limitiamo alle teorie avanzate a partire dal 1960 fino ai nostri giorni (721), Giacomo Devoto propose una localizzazione della “Urheimat” proto-indoeuropea tra Germania e Polonia, mentre Pere Bosch-Gimpera ne avanzò una che avrebbe compreso le culture neolitiche danubiane (i territori della “ceramica lineare”) e verso est sarebbe stata un po’ più ampia di quella di Devoto, arrivando fino all’Ucraina occidentale. A sua volta Georgy Georgiev propose una zona più estesa di quella di Bosch-Gimpera, arrivando ad oriente fino ai limiti dell’area indicata da Marija Gimbutas, area che invece venne del tutto inglobata nell’ipotesi di Alexander Hausler e Lothar Kilian, la quale superò la stima di Georgiev anche verso nord, comprendendo la Danimarca e la Svezia meridionale. Diversamente dai ricercatori sopra, Valentin Danilenko propose una zona simile a quella kurganica ma più estesa sia verso ovest (giungendo a nord della Crimea) che verso est (sponda orientale del Mar Caspio), mentre altri studiosi postularono invece territori di superficie più limitata, come la culla est-baltica di Wolfgang P. Schmid, quella balcanico-danubiana di Igor Diakonov, o con Boris Gornung una piuttosto simile a quest’ultima, ma più ristretta alla sponda occidentale del Mar Nero. Infine Thomas V. Gamkrelidze e Vjaceslav V. Ivanov avanzarono una proposta geografica abbastanza vicina a quella di Colin Renfrew – in pratica, le uniche due teorie di questa carrellata che contemplano “culle” integralmente extra-europee, con la sola aggiunta delle estensioni verso est collegate alle ipotesi kurganiche – cioè un’area nucleare grossomodo identificabile con il Kurdistan settentrionale, sulla base di alcuni prestiti linguistici che ritennero di aver individuato tra lingue indoeuropee, semitiche e cartveliche del Caucaso meridionale (722).

Senonchè, come giustamente osserva l’amico Fabio Calabrese (723) è proprio nelle zone mediterranee del nostro continente, cioè quelle meno lontane dall’area anatolica e sudcaucasica, che risultava storicamente attestato il maggior numero di lingue non classificabili, in senso stretto, nel gruppo di quelle degli Indoeuropei “storici” (esamineremo più avanti l’ipotesi di una possibile stratificazione plurima della nostra famiglia etnolinguistica); da cui l’impressione che possano essere state proprio queste lingue “residuali”, o almeno alcune di esse ma certamente non le indoarie vere e proprie, ad essere intrusive in Europa, quindi in un quadro praticamente opposto a quello tratteggiato da Renfrew, Gamkrelidze ed Ivanov  (724).

La presenza indoeuropea, infatti, sembra molto più compatta nel settentrione del nostro continente, e ciò dovrebbe costituire un buon indizio del fatto che la nostra Urheimat primordiale non doveva trovarsi a latitudini molto distanti: osservazione che, chiaramente, non può non riportarci a Tilak. Il quale, va detto, non fu comunque il solo ricercatore che, tra fine ‘800 e i primi decenni del ‘900, guardava all’estremo Nord europeo o eurasiatico: una linea similare venne infatti seguita anche da Georg Biedenkapp (725), Ernst Krause (726), Rudolf John Gorsleben (727) e John Rhys (728). Ma alcuni cenni nella stessa direzione sono stati riproposti anche in tempi meno remoti da Giacomo Devoto che, ricordando altre ipotesi del già incontrato Uhlenbeck sulla possibilità di una connessione con le lingue eschimesi, riconobbe al mondo indoeuropeo un carattere “prevalentemente settentrionale” (729); ed ulteriori spunti sono giunti ancora più di recente con i vari Bourdier, Haudry e Kilian (730), anche sulla base del fatto che la terminologia non compatibile con un clima caldo – come ad esempio i nomi del freddo, della neve, della nebbia, dell’inverno – sembrano evidenziare delle buone attestazioni comuni (731). Addirittura, in relazione più specifica al ramo indo-iranico della nostra famiglia linguistica, che pur rappresenta il sotto-gruppo dispiegato più a sud di tutti gli altri (tra Kurdistan e Bangladesh), è stato significativamente osservato come non sussista nessun dato decisivo che sostenga un suo stanziamento iniziale necessariamente a meridione delle popolazioni proto-uraliche (732).

Dunque, come già segnalato in precedenza, l’idea di un Nord che anticamente dovette essere inesauribile culla di popoli – una vera e propria “vagina gentium” (733) – oltre che dalle fonti mitiche  e dalle elucubrazioni di alcuni pensatori premoderni, sembrerebbe trovare interessanti conferme anche negli elementi portati da certa indoeuropeistica.

 

 

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Parte 15

 

 

 

NOTE

 

 

688.  Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 26

 

689.  Aleksandr Dugin – Etnosociologia – Tomo 1 – AGA Editrice – 2021 – pag. 134; Leo Frobenius – Paideuma. Lineamenti di una dottrina della civiltà e dell’anima – Mimesis – 2021

 

690.  Philippe Poutignat, Jocelyne Streiff-Fenart – Teorie dell’etnicità – Mursia – 2000; Alain de Benoist – Identità e comunità – Guida – 2005; Clifford Geertz – Interpretazione di culture – Il Mulino – 2010;  Aleksandr Dugin – Etnosociologia (2 volumi) – AGA Editrice – 2021

 

691.  Gabriele Costa – Continuità e identità nella preistoria indeuropea: verso un nuovo paradigma – in: Quaderni di Semantica, 22, 2001,  pag. 2 – http://www.academia.edu/1269673/Continuit%C3%A0_e_identit%C3%A0_nella_preistoria_indeuropea_verso_un_nuovo_paradigma_in_Quaderni_di_Semantica_22_2_2001_pp.215-260

 

692.  Mario Alinei – Un modello alternativo delle origini dei popoli e delle lingue europee: la “teoria della continuità” – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pag. 186; Gianluca Bocchi, Mauro Ceruti – Introduzione. Genesi delle identità europee – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pag. XXXI; Giacomo Devoto – Origini indeuropee – Sansoni – 1962 – pag. 161; Maria Luisa Porzio Gernia – Introduzione alla teoria dell’Indoeuropeo – Giappichelli Editore – 1978 – pag. 47

 

693.  Vittore Pisani – Concetto storico di “Indeuropeo” – in: AA.VV., Atti del III Convegno internazionale di Linguisti tenuto a Milano nei giorni 6-10 settembre 1958, Sodalizio Glottologico Milanese, Università di Milano, 1961, pag. 27

 

694.  Jean Claude Riviere – Georges Dumézil e gli studi indoeuropei – Settimo Sigillo – 1993 – pag. 14

 

695.  Colin Renfrew – Archeologia e linguaggio – Editori Laterza – 1989 – pag. 43

 

696.  Mario Alinei – Origini delle lingue d’Europa. Volume 1: La Teoria della Continuità – Il Mulino – 1996 – pag. 430; Vittore Pisani – Concetto storico di “Indeuropeo” – in: AA.VV. – Atti del III Convegno internazionale di Linguisti tenuto a Milano nei giorni 6-10 settembre 1958, Sodalizio Glottologico Milanese, Università di Milano, 1961, pag. 21

 

697.  Colin Renfrew – Origini indoeuropee: verso una sintesi – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pag. 117

 

698.  Giacomo Devoto – Origini indeuropee – Sansoni – 1962 – pagg. 39, 42

 

699.  Giorgio Locchi – Prospettive indoeuropee – Settimo Sigillo – 2010 – pag. 22

 

700.  Bernard Sergent – Gli Indoeuropei prima dell’avvento dei Kurgan – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pag. 260

 

701.  Francisco Villar – Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia – Il Mulino – 1997 – pag. 651

 

702.  Harald Haarmann – Storia universale delle lingue. Dalle origini all’era digitale – Bollati Boringhieri – 2021 – pag. 170; Luigi Luca Cavalli Sforza – Geni, popoli e lingue – Adelphi – 1996 – pag. 210; Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 186

 

703.  Joseph H. Greenberg, Merritt Ruhlen – Le origini linguistiche dei nativi americani – in: Le Scienze, Gennaio 1993; Merritt Ruhlen – L’origine delle lingue – Adelphi – 2001 – pag. 133

 

704.  Merritt Ruhlen – L’origine delle lingue – Adelphi – 2001 – pag. 177

 

705.  Merritt Ruhlen – L’origine delle lingue – Adelphi – 2001 – pag. 95; Merritt Ruhlen – Nuove prospettive sull’origine delle lingue – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pag. 269

 

706.  Merritt Ruhlen – L’origine delle lingue – Adelphi – 2001 – pag. 177; Gianfranco Drioli – Iperborea. Ricerca senza fine della Patria perduta – Ritter– 2014 – pag. 78

 

707.  Riccardo Ambrosini – Le lingue Indo-Europee. Origini, sviluppo e caratteristiche delle lingue indo-europee nel quadro delle lingue del mondo – ETS Editrice – 1991 – pag. 134

 

708.  Francisco Villar – Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia – Il Mulino – 1997 – pag. 653

 

709.  André Martinet – L’indoeuropeo. Lingue, popoli e culture – Laterza – 1989 – pag. 12

 

710.  Gianfranco Drioli – Iperborea. Ricerca senza fine della Patria perduta – Ritter– 2014 – pag. 70; Francisco Villar – Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia – Il Mulino – 1997 – pagg. 646-648

 

711.  Colin Renfrew – Origini indoeuropee: verso una sintesi – in: “AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pag. 121

 

712.  Anna Giacalone Ramat, Paolo Ramat – Le lingue indoeuropee – Il Mulino – 1993 – pag. 93

 

713.  Bal Gangadhar Tilak – La dimora artica nei Veda – ECIG – 1986 – pag. 295

 

714.  Julius Evola – L’ipotesi iperborea – in: Arthos, n. 27-28 “La Tradizione artica”, 1983/1984, pag. 4

 

715.  Giuseppe Acerbi – Il culto del Narvalo, della balena e di altri animali marini nello sciamanesimo artico – in: Avallon, n. 49, “Il tamburo e l’estasi. Sciamanesimo d’oriente e d’occidente”, 2001, pag. 59

 

716.  Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 27

 

717.  Teoria dettagliata soprattutto in: Colin Renfrew – Archeologia e linguaggio – Editori Laterza – 1989

 

718.  Paolo Ettore Santangelo – L’origine del linguaggio – Bompiani – 1949 – pag. 30

 

719.  Giacomo Devoto – Origini indeuropee – Sansoni – 1962 – pag. 44; Romano Lazzeroni – La cultura indoeuropea – Laterza – 1998 – pag. 4; Maria Luisa Porzio Gernia – Introduzione alla teoria dell’Indoeuropeo – Giappichelli Editore – 1978 – pag. 55

 

720.  Gerhard Herm – Il mistero dei Celti – Garzanti – 1988 – pag. 103; Harald Haarmann – Sulle tracce degli Indoeuropei. Dai nomadi neolitici alle prime civiltà avanzate – Bollati Boringhieri – 2022 – pag. 46

 

721.  J.P.Mallory – In Search of the Indo-Europeans. Language, Archaeology and Myth – Thames and Hudson – 1992 – pag. 144

 

722.  Thomas V. Gamkrelidze, Vjaceslav V. Ivanov – La storia antica delle lingue indoeuropee – in: Le Scienze, Maggio 1990; Enrico Campanile, Bernard Comrie, Calvert Watkins – Introduzione alla lingua e alla cultura degli Indoeuropei – Il Mulino – 2005 – pag. 49; Francisco Villar – Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia – Il Mulino – 1997 – pag. 68

 

723.  Fabio Calabrese – Alla ricerca delle origini – Ritter – 2020 – pag. 204

 

724.  Mario Alinei – Etrusco: una forma arcaica di ungherese – Il Mulino – 2003 – pagg. 355, 356; Mario Alinei – Un modello alternativo delle origini dei popoli e delle lingue europee: la “teoria della continuità” – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pag. 184

 

725.  Carlo Ginzburg – Storia notturna. Una decifrazione del sabba – Einaudi Editore – 1989 – pag. 204; J.P.Mallory – In Search of the Indo-Europeans. Language, Archaeology and Myth – Thames and Hudson – 1992 – pag. 143

 

726.  Jean Haudry – Gli Indoeuropei – Ar – 1999 – pag. 162; Silvano Lorenzoni – Il Selvaggio. Saggio sulla degenerazione umana – Edizioni Ghénos – 2005 – pag. 106

 

727.  Franz Wegener – Il Terzo Reich e il sogno di Atlantide – Lindau – 2006 – pagg. 94, 109

 

728.  Joscelyn Godwin – Il mito polare. L’Archetipo dei Poli nella scienza, nel simbolismo e nell’occultismo – Edizioni Mediterranee – 1993 – pag. 51; Carlo Arrigo Pedretti – Mito polare e polarità di un mito nella Germania nazionalsocialista – RITTER – 2019 – pag. 58; Bal Gangadhar Tilak – La dimora artica nei Veda – ECIG – 1986 – pag. 18

 

729.  Giacomo Devoto – Origini indeuropee – Sansoni – 1962 – pagg. 38 e 46

 

730.  Jean Haudry – Gli Indoeuropei – Ar – 1999 – pagg. 161, 163; Silvano Lorenzoni – Il Selvaggio. Saggio sulla degenerazione umana – Edizioni Ghénos – 2005 – pag. 107

 

731.  Franco Cavazza – Lezioni di indoeuropeistica – ETS – 2001 – pag. 19 – Continuitas.org – http://www.continuitas.org/texts/cavazza_lezioni.pdf; Maria Luisa Porzio Gernia – Introduzione alla teoria dell’Indoeuropeo – Giappichelli Editore – 1978 – pag. 55

 

732.  Gabriele Costa – Le origini della lingua poetica indeuropea. Voce, coscienza, transizione neolitica – Olschki Editore – 1998 – pag. 255

 

733.  Luigi De Anna – Il mito del Nord. Tradizioni classiche e medievali – Liguori Editore – 1994 – pag. 31; Julius Evola – Il mito del sangue – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 38; Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 237

 

 

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