13 Aprile 2024
Origini

Saluto romano, origini e storia: il giuramento dalla notte dei tempi

Cari convenuti, amici, sodali sono venuto in questa assise per porgervi il mio saluto come esponente della rinata Associazione Nazionale Volontari di Guerra; a tutti gli effetti qui mi dovrei sentire senz’altro a casa in quanto il promotore di questa iniziativa è persona che, a tutti gli effetti, si può inserire nel novero del volontarismo per le note ragioni personali anagrafiche ma anche per lo spirito di servizio e di Amore che egli sta immettendo nella sua iniziativa.
In più qui, di sicuro, ci sono persone che amano l’Italia e la mia Associazione rinasce per un motivo solo: l’Italia e la sua Storia e Tradizione; il resto non ci interessa o viene dopo.
Approfitto per l’occasione onde salutare Ouday Ramadan, da me conosciuto in varie iniziative per informare il pubblico italiano sulla vicenda Siriana; anch’egli a pieno titolo inseribile nel novero dei patrioti, degli idealisti, di chi ha qualcosa da dire anche sulla Storia e la Cultura del Medio Oriente, troppo spesso distorta e lacerata da una propaganda di molti colori politici ma di un monocolore di ignoranza e becerismo che non aiutano a capire il mondo in cui viviamo e che tutti noi dobbiamo condannare.

Ho accettato di venire, conoscendo qui per la prima volta Salvatore Stefio, in quanto penso che alcune cose belle nascano per caso ma in modo fecondo e utile; nello specifico vi era stata una discussione su internet con una annessa polemica su una immagine che ritraeva il nostro amico nell’atto di giurare con il braccio alzato e la mano aperta.
Tale giuramento, metaforico ma reale al contempo, indicava una proposizione di impegno per la Nazione ed il popolo italiano e penso che egli avesse lanciato questa immagine per rafforzare una discussione sulla natura delle sue iniziative in altri campi (proposte di legge per la Guardia Nazionale etc).
Sono intervenuto a sua difesa per far rimbalzare delle accuse ovvie e banali quali quelle di chi vede quel tipo di saluto come una minaccia per la Libertà e la Pace o per la Democrazia, addirittura, adducendo le ben note questioni che incorsero in Italia con l’infausta guerra civile del ’43 e tutta la II Guerra Mondiale ed il Regime che governò la Nazione nel Ventennio precedente.
IL succo del mio intervento è stato ed è, tuttora, dato che per questa ragione Salvatore Stefio mi ha chiesto di illustrare a codesto pubblico le vere origini metastoriche e metapolitiche di tale saluto, quello di far capire che non si può cristallizzare un simbolo o un’allegoria in una specifica e singola evenienza storico-politica in quanto riduzione della Storia medesima ad un singolo episodio e, conseguentemente, crampo della mente di una certa propaganda.
Occorre quindi “ripulire” il campo dagli equivoci in quanto siamo in pieno III Millennio e quindi non si può proseguire a ricattare una persona o una proposta culturale…per un saluto a braccio teso e mano aperta, chiamasi romano.
Si, esiste un saluto romano politico, è esistito ma esso stesso non fu una invenzione ma, piuttosto, una riproposizione di altro e altri, a mio parere, oggi o domani potrebbero guardare alla simbologia tradizione e storica di un popolo, il nostro, senza dover diventare dei Fascisti antemarcia o post-marcia.
Esiste un pensiero che si chiama “Tradizionalismo” il quale sta studiando e ravvivando alcuni simboli e lasciti della Storia e della Cultura profonda del popolo italiano, ripartendo dalle origini profonde della nostra nazione e delle molte nazioni che componevano la Patria Italiana che fu romana e, quindi, italiana in senso di progetto sacrale e politico, in epoca augustea.
Sarebbe un discorso lungo e complesso e non possiamo trattarlo qui e adesso, ci vorrebbero convegni di ore e ore per tracciarne dei contenuti minimamente soddisfacenti ma qui possiamo tratteggiare un dato: il saluto romano ha un’origine profondamente antica e si connette, spesso, all’idea del Sacro ed anche del Giuramento come atto solenne e spirituale con una sua forza che chiameremo giuridico-religiosa.
Andiamo all’antichità più arcaica, troveremo immagini sacre che riguardano categorie di persone differenti (in specifico soldati e sacerdoti) in rilievi della cultura nuragica che salutano in quel modo, pare nel mentre si eseguivano operazioni rituali ma anche nel corso di situazioni solenni di tipo civile.
Ricordiamoci che nel tempo antico il mondo “civile” ed il mondo “religioso” non erano due mondi separati ma solo due aspetti di una totalità sociale e di una comunità organica che viveva di rispetto di simboli, tradizioni, usi e norme definite da collegi sacri veri e propri.
Per questa ragione troviamo immagini di persone che aprono la mano, con il braccio alzato e posto, spesso, a quasi 90° di fianco al corpo per indicare una solennità in occasioni di grande importanza.
Ovviamente alcune fonti storiche, vedi un rilievo ad Efeso del II secolo A.C. di natura funeraria, con un saluto che, oltre ad essere a mano aperta è anche a braccio teso come il saluto romano più noto, ci indicano che tale forma di “salutatio” era tipica di occasioni importanti e diffusa in aree geografiche non semplicemente locate nell’odierna Italia.
In questo specifico notiamo un saluto a braccio teso con il palmo rivolto verso il superiore, da parte del milite trapassato, e le dita unite salvo il pollice; è una specie di commiato se teniamo presente che si tratta di una immagine funebre e non c’è da stupirsi che nella Antica Religione un soldato morto in battaglia non lascerà mai, seppur su piani diversi, i propri commilitoni ed ufficiali.
Questa, per gli Antichi, era la Pietas.
Si rinvengono immagini anche nel mondo Egizio con un saluto di quel tipo da parte di un Faraone o di divinità molto particolari del mondo mediorientale, di sicuro gli Shardana (abitanti misteriosi dell’antica Sardegna ma non solo, secondo alcuni legati agli Yksos di cui parlano le cronache egizie) usavano salutare in quel modo in ambito militare.
Omero ci parla del saluto a mano aperta come tipico dei Feaci, un popolo misterioso anch’esso che alcuni potrebbero legare agli Shardana di cui stiamo parlando o agli antichi Fenici.
A proposito, in argomento penso che sia ben informato l’amico Ouday Ramadan, qui presente.
Alcuni autori, come il ricercatore Leonardo Melis che ci ha scritto un libro (Shardana, i popoli del mare) hanno assimilato gli Shardana ai popoli del Vicino Oriente in base a molti ritrovamenti archeologici in Egitto ed in Sardegna.
Fa pensare che proprio il saluto guerriero ricorra nei reperti come saluto a braccio teso e mano alzata seppur non tesa: poteva essere un saluto di un milite ad un suo pari o superiore come un gesto usato in un giuramento solenne, di natura quindi sacra e non solo militare.
In ogni modo possiamo far comparire ad un epoca pre-romana, attorno al I Millennio e mezzo Avanti Cristo, i reperti che datano questo saluto.
Andiamo avanti lungo il nostro percorso: qui  se giungiamo alla Storia Italica più conosciuta non abbiamo che l’imbarazzo della scelta sull’uso di quel tipo di saluto che compare anche in forma più simile a quella conosciuta in epoca contemporanea.
Ovviamente ci sono delle variazioni formali nel modus salutandi e il dibattito storico su quali fossero gli specifici utilizzi del saluto a mano aperta rimane aperto e vivace.
Direi che già il modo di pregare degli Antichi, transitato nella Cristianità primigenia, aiuta a comprendere il dato sacrale di quel gesto che noi chiamiamo “saluto” ma che era un gesto di indicazione di una condizione o di una volontà.
L’Adoratio antica si poneva con un gesto molto simile, aprendo la mano e stendendo il braccio come a porgere qualcosa in omaggio ai Numi o agli Avi.
E’ quindi logico che un saluto a mano aperta indicasse una condizione di rettitudine, di dirittura interiore, di lealtà nei confronti dell’altro chiunque fosse: come ci si presenta davanti ad un rito con le mani aperte, ricordiamo che anche nel mondo Cristiano il Padre Nostro si recitava a mani aperte agli inizi, così, in un contesto civile o militare stendere il braccio e aprire la mano vuol dire, solennemente qualcosa come “non ho nulla da nascondere, questa è la mia mano” oppure, secondo altri in interpretazioni più sacrali si vuol mostrare la mano aperta in quanto essa è un simbolo di comunicazione con il Sovramondo, di apertura alla Dimensione Supera nei sacrifici.
Il discorso andrebbe lontano e non è di semplice decriptazione in questa sede ma altri ancora assimilano la mano aperta con le cinque dita al pentagramma pitagorico con i cinque elementi messi in ordine attorno ad un centro ordinatore.
Quando l’arringatore del Trasimeno, statua di epoca etrusca, pone quel gesto ad una folla di “pari”, si vuol quasi imporre un ordine su un elemento potenzialmente caotico come una folla vociante o divisa.
L’ordine viene dall’alto non dal semplice oratore, qualora esso abbia le necessarie qualificazioni.
Esempi simili si susseguono in altre statue celebri come quella di Augusto Principe e di Marco Aurelio, che stendono il braccio in una salutatio solenne, seppur con le dita poste in modo più irregolare, come se si stesse benedicendo tenendo alcune dita dritte ed altre leggermente piegate.
Ma se analizziamo il gesto con cui le legioni salutano l’Imperatore Traiano, sulla Colonna Traiana, siamo in grado di vedere un saluto che assomiglia in toto a quello descritto nel noto rilievo di Efeso del II A.C di cui abbiamo spiegato prima.
Non si sa se fosse un gesto codificato o spontaneo, sappiamo che diventa un uso tipizzato già da periodi precedenti della stessa Storia romana: ne parla il De Bello Civili di Cesare che ci illustra quel modo di salutare, ne parla il noto storico Flavio Giuseppe, molto specifico nel descrivere i Legionari che rispondono con un triplice saluto a braccio teso al loro Comandante.
Altri esempi sussistono in autori come Aulo Gellio e Svetonio ed altri ancora quindi abbiamo tracce scritte e reperti in merito.
Ma, andando ancora più indietro, è ben nota la vicenda della Pietas di Muzio Scevola che offre in sacrificio la sua mano destra, stendendo il braccio e aprendo la mano, mettendola nel braciere ardente per garantire la sua parola con un gesto sacro che è, appunto, quello di stendere il braccio ed aprire la mano.
Quindi non stiamo parlando di un “saluto” ma di un “gesto sacrificale” a questo punto; ne offre un altro esempio il Tito Livio quando racconta l’atto di Devotio di Marcus Curtius che si getta nel Lacus Curtius, cioè nella voragine degli Dei Inferi che provocano sventure ai Romani.
Il Cavaliere, con un atto “fotografato” da un rilievo sito e visibile ai Fori Romani, si lancia con una modalità del tutto simile a quella dei Cavalieri Medioevali, dentro alla voragine sparendo in essa.
Secondo il Mito la voragine si chiuse immediatamente dopo che il Cavaliere vi era precipitato con tutto il cavallo; secondo Tito Livio l’eroe si lancia alzando la mano destra e protendendo il braccio in aria per salutare gli Dei Celesti e sacralizzare il sacrificio in corso, la Devotio appunto.
La Devotio era un atto che prevedeva la propria morte a garanzia di un patto con il popolo romano, in sostanza un suicidio rituale.
In altri ambiti è noto che si giura in questo modo sui testi sacri, la stessa ordinazione cardinalizia usa un rito di imposizione della mano destra aperta sulla Bibbia, posta su di un leggìo aperto..
In fondo le similitudini sono evidenti e, per forza di cose, sono evidenti anche le parentele.
Da tutto ciò possiamo desumere che questo gesto fosse sia di saluto che di giuramento che di disciplina militare e di devozione verso un superiore sia tutto questo insieme.
Non lo sanno in molti ma alcune insegne della Legione romana, spesso, portavano una mano aperta come vertice dell’asta che reggeva tutti gli altri simboli di reparto o divini che ne facevano parte, erano qualcosa di simile alle bandiere reggimentali dei tempi più nostri, in quanto ogni centuria marciava con un Signum a guida, a latere l’insegna di Legione vera e propria.
Chi conosce il mondo della Rievocazione Storica conosce bene questo argomento, oggetto di studio di appassionati militari e marzialisti nella vita reale che ho avuto occasione di stimare e conoscere.
In questo caso la mano aperta ritta su di un vessillo torna a significati prettamente sacri, da un lato, ma pratici dall’altro lato in quanto le manovre belliche erano, sovente, complesse e da eseguire in velocità e sicurezza.
Nel frastuono e nel trambusto di quei momenti quella mano era un segnale di riferimento per chi doveva stare “in acie” quindi nello schieramento, senza uscirne.
Se la mano cambiava verso la marcia o la manovra seguiva il verso del Signifero e quindi si riusciva, magari a metri e metri di distanza, nel totale caos di polvere e oggetti o persone di una battaglia reale, a regolarsi.
Quella mano, assumeva significati a vari livelli, inutile dirlo perché sono sicuro che se ci pensate lo state immaginando senza ulteriori spiegazioni.

Ci sono anche interpretazioni di saluto molto simili a quelle riprese nel Ventennio fascista, storicamente attestate da accademici accreditato come il Carocci nel lavoro: “Storia completa della Romanità nel regime fascista, Garzanti, 1999”; anche qui sarebbe da farci un convegno apposta ma in questa sede era mia intenzione non toccare questa materia in quanto sicuramente interessante e degna di nota ma non specificatamente destinata ad una descrizione di un importante tematica relativa al Fascismo ed alla sua esegesi in termini Tradizionalisti.
Basti pensare che emerge, anche in epoca prettamente Repubblicana, un saluto molto simile a quello del periodo fascista, con una iconografia che prevede anche la mano stretta a pugno sul petto prima dello scatto di braccio all’altezza dell’elmo.
IL mondo tradizionalista ha impegnato ampli spazi di discussione in merito per definire la questione della “forma” in relazione alla questione della “sostanza” di un simbolo e, quindi, di un gesto e ciò è materia di dibattito sul Fascismo in quanto esiste una determinata corrente di pensiero che analizza quel periodo alla luce non di una ideologia politica ma di un lascito che viene da lontano, e qui mi fermo.
La Romanità ed il lascito Imperiale o Repubblicano, a seconda delle temperie storiche successive, sono proseguite, con alterne vicende a dire il vero a causa anche di un dibattito religioso che si inserì nel mondo cristiano successivo il quale ebbe un rapporto a tratti interessante e fecondo ma a tratti conflittuale e aspro con alcune simbologie.
Lo stesso concetto di Giuramento era stato, da Sant’Agostino, stigmatizzato come una sfida contro Dio e quindi un segnale di arroganza degli uomini.

In specifico la lettera 180 del Santo è durissima e inequivocabile in merito: “La prima lettura che oggi è stata proclamata, quella dell’apostolo Giacomo, ci è stata presentata per la trattazione e in qualche modo essa ce la prescrive. Evidentemente vi ha resi attenti, avvertendovi soprattutto di nongiurare. La questione è difficile. Se giurare è peccato, chi è che non sia reo di questo peccato? Infatti nessuno mette in dubbio che lo spergiuro è peccato, e un grave peccato. Ma l’apostolo, del quale esponiamo la lettura, non dice: Soprattutto, fratelli miei, non spergiurate, ma: non giurate”.

Tutto il mondo medioevale vede un rapporto difficile e conflittuale tra mondo religioso e mondo civile e, spesso, mondo militare.
Basti vedere la questione dei Guelfi e dei Ghibellini o la difficile questione degli Ordini Cavallereschi con la Chiesa; ad esempio colpisce che una specie di saluto a mano aperta, simile ai reperti degli Shardana, sia visibile in Bosnia su steli sacre di una strana setta cristiana ereticale, ma secondo alcuni un misto tra primo Cristianesimo e culto slavo arcaico: i Bogolmili.
Le somiglianze di questo gesto con esempi antichissimi sono evidenti e, secondo alcuni, richiamano a dottrine esoteriche circa il significato del giuramento a mano aperta in occasioni particolari o, addirittura, in occasione di riti religiosi importanti.
Comunque questa setta fu praticamente sterminata a più riprese, ricordiamo come essa si diffuse molto in Occidente sotto le spoglie dei movimenti dei Catari e degli Albygesi e quindi poco sappiamo in merito ma colpisce che, in un periodo sicuramente oscuro come la prima parte dell’Alto Medioevo, riemerga un simile gesto in una zona così remota.
La simbologia solare e guerriera unita a questo saluto è evidente, nelle steli misteriose dell’altopiano di Stolac.
Anche in Italia, ne abbiamo testimonianza in tradizioni medioevali, quando ricompaiono istituzioni civili che vogliono rifarsi alla romanità, ad esempio per le città dove a comandare era il Priore, ricompare il noto saluto a mano aperta e braccio teso con cui il Priore apre e chiude delle cerimonie o delle attività civiche.
Parliamo del periodo medioevale oltre l’anno Mille.
Ma una vera e propria riaffermazione della gestualità salutatoria romana (chiamiamola così in quanto parliamo di un qualcosa di molto italico seppur non solo in uso nella Storia d’Italia) ricompare, in modo sicuramente singolare e di prepotenza, nella temperie rivoluzionaria francese e nell’epopea napoleonica e quindi nella suggestione del Neoclassicismo che accompagnò quel periodo storico.
Anche questo è un argomento difficile da trattare in quanto le voci di chi saluta questo ritorno alla Romanità Civile nel fenomeno rivoluzionario e nella rinnovata idea di un ritorno alla Repubblica o all’Impero su basi diverse (Napoleone fu molto peculiare in merito) da quelle dell’Ancient Regime si confondono con voci di tipo critico e sospettoso.
Ma sta di fatto che il Cittadino libero, il ritorno al Civis in luogo del Subiectus, del suddito, si richiama alla Romanità repubblicana primigenia per darsi libere Istituzioni e un Ordine Civile e Militare che non può non suscitare un certo interesse dato che, nel contesto di cui parliamo, ricompare in modo nettissimo il saluto a braccio teso ed anche l’uso di quel saluto legato al Giuramento.
L’esercito Napoleonico resuscita il Saluto Romano per la sua Armata, il Pittore neoclassico David ci restituisce un’immagine al contempo marziale  e sacrale del Giuramento degli Orazii che stendono il braccio con il palmo aperto e le dita unite sulle spade, uniti anche fisicamente con le altre braccia che cingono i fianchi, in una unità inscindibile che ricorda un vero e proprio Fascio di Forze che va al di là della mera unità famigliare, simboleggiata dalle donne piangenti verso un destino che non possono assolutamente evitare.
Non dissimile, seppur meno conosciuto, il gesto che è un vero e proprio saluto romano a mò di giuramento, in un quadro di un autore italiano di epoca napoleonica, Pietro Benvenuti, ne “il Giuramento dei Sassoni”.
Tale quadro inquadra una simbologia che è complessa e riassume non solo il gesto imperiale napoleonico, vittorioso dopo la storica vittoria di Jena, una delle più travolgenti della sua epopea militare, ai danni dei Prussiani e degli alleati germanici di questi ultimi, ma anche l’uso del saluto a braccio teso come giuramento di fedeltà al Vincitore.
IN questo caso il gesto è prettamente di gerarchia ma compare come un codice comunicativo che, allora, doveva essere molto chiaro e comprensibile nel quadro di un periodo storico che vide una riscoperta esteriore per lo meno, di molte suggestioni legate al passato romano cui il Nuovo Imperatore si voleva rifare per dare forza al suo progetto imperiale, andando a radici molto più profonde del mero richiamo alla Nazione di Francia ed a concetti rivoluzionari moderni di allora.
Ci sarebbe molto da dire e discutere in merito, si sta già facendo in altri ambiti ma non possiamo non vedere come questa gestualità specifica fosse riemersa in modo molto sorprendente in una dimensione che non fu solo quella dell’interesse storico ma della riattualizzazione di un “messaggio storico”, chiamiamolo così: Roma e le sue Istituzioni, la sua Civiltà nello specifico.
Il Giuramento che Romolo ordinò “per fare di diverse genti una sola”, dopo aver fondato la città di Roma, abitandola con chiunque venisse in quel luogo per iniziare una Storia, un Destino Comune, una sfida (o una risposta ad una sfida?), forse, per un momento, dovette essere al centro dei pensieri dei convenuti al “Giuramento della Pallacorda”, a Parigi, come ritratti nel famoso dipinto in cui una massa di persone giurano fedeltà alla Patria ed al Popolo francesi con il ben visibile saluto “romano”.
Come mai quel saluto in quell’occasione?
Chi glielo spiegò o glielo ricordò?
Anche questo sarebbe oggetto di convegni non facili, sicuramente pieni di contrapposizioni.

Il dopo tutto ciò lo sappiamo, i secoli sono sempre più vicini e giungiamo al fenomeno dell’Arditismo di Guerra, ricco di simbologia a noi vicina e vicina all’argomento trattato; andiamo ai Romantici Fiumani ed all’esperienza Dannunziana.
Ma questa è storia che lambisce, seppur non sia prettamente assimilabile al Fascismo di cui parlano alcuni censori di oggi, la modernità e le strumentalizzazioni possibili cui assistiamo ogni volta che qualcuno, financo i calciatori, riesuma un saluto di quel tipo.

Uscendo da questa tematica, però, è necessario andare alla radice di un gesto e quindi far capire che la Storia ha espresso una gestualità tradizionale in senso di nucleo vivo di forme e concetti trasmessi nella civiltà giuridico-religiosa in modo a-temporale se non, addirittura, a-spaziale.
Ora, possiamo pensare di eliminare non tanto una applicazione contingente quale fu quella fascista, di una certa simbologia o gestualità, a latere considerazioni di ordine politico, concettuale, ideale afferenti alla Natura di un Popolo e della sua Storia, ma il “gesto” sic et simplicier o addirittura il richiamo di quel gesto ad un concetto etico o meramente morale?
Se si, non ci si stupirebbe in questi tempi se a qualcuno piacesse mettere sotto condanna morale o penale il senso stesso di parole come: Patria, Comunità Nazionale, Lealtà, Onore, Coraggio, Gerarchia, Sacralità di un Giuramento etc.
Ma allora non stiamo parlando di un gesto, di un saluto romano, shardanico, napoleonico, etc ma di un’ Idea che prescinde una parentesi storica e che rieccheggia in tanti uomini di epoche e nazioni diverse.
Questo, a parere di molti, ne sono sicuro, sarebbe considerato una follia ed un segno di degrado della civiltà umana e non di “progresso”.

Stefano Sogari
Associazione Nazionale Volontari di Guerra, ANVG

 

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