13 Aprile 2024
Controstoria Racconti Roma Storia trentaottobre1922

ROMA, 30 OTTOBRE 1922 (quarta parte)

di Giacinto Reale
Mugnai si mise comodo, ma non riusciva a scrollarsi di dosso quello strano nervosismo che l’aveva preso: era quella, dunque, la verità indicibile. Il povero Ettore era stato vittima di una storia di donne, dell’odio di un marito tradito e dell’abilità omicida di un sicario prezzolato.
In effetti, a ben pensarci, di quel  Brunetti non aveva sentito più parlare, né più gli era capitato di incontrarlo a pubbliche manifestazioni, così che aveva pensato fosse precipitato in una vita di malaffare , come era capitato a qualcun altro, incapace di reinserirsi in una vita “normale”.
Ricordava di un paio che, dopo aver fatto parte dei dissidenti della “Banda dello sgombero”, erano finiti su tutti i giornali per una storia di prostituzione e rapine; sconfessati e ripudiati dal fascio cittadino, si erano ridotti a chiedere soldi in giro ai vecchi camerati.

Erano passati anche dal suo studio, e lui li aveva aiutati: nonostante li condannasse e deplorasse per la loro recente condotta, non riusciva a dimenticare che quelle “canaglie” avevano rischiato, come lui,  la vita tante volte, in un tempo in cui la nobiltà di un ideale era riuscita ad illuminare anche la loro triste esistenza.
A distoglierlo dai suoi pensieri, entrò l’usciere, a chiedergli cosa desiderasse.  Non prese nulla: una morsa gli attanagliava lo stomaco. Desiderava solo conoscere la fine della storia e andare via di là, all’aria aperta, tornare a Firenze al più presto possibile.
L’attesa, infatti, fu breve, come promesso. Il Ministro rientrò con la faccia più scura di prima, riprese il suo posto, e, come se la pausa non ci fosse stata, ricominciò con la sua narrazione:
Mussolini ricevette Perrone Compagni, e fu sbrigativo, più del suo solito, con un tono che non ammetteva obiezioni: “Facciamo così –disse – liberate il Brunetti che, a quanto capisco è ancora vostro prigioniero, restituitegli il denaro e  fatelo accompagnare al primo treno per Parigi: stanno avvisando la Questura: non ci saranno problemi con il passaporto. Fategli chiaramente intendere che se fa parola del fatto con qualcuno, la giustizia fascista sarà inesorabile con lui. E’ tutto”.
Il buon Perrone Compagni si attenne agli ordini, tornò a Firenze, e “Satana” partì, con il primo treno per Parigi.
Di lui si persero le tracce, finchè un giorno, nel novembre del 1923 si presentò a Dumini che si era reca
to nella capitale francese per indagare nell’ambiente dei fuoriusciti  ; i due si conoscevano, e Dumini, che, come tutti, nulla sapeva dell’episodio di San Lorenzo, fu contento di ritrovare il vecchio camerata. Ancora più contento quando questi gli disse di avere delle conoscenze negli ambienti antifascisti, e di essere, perciò, in grado di aiutarlo nella sua indagine. In cambio, chiedeva solo un piccolo contributo finanziario. L’accordo fu presto trovato, e furono organizzati appuntamenti periodici in una brasserie di Montparnasse per lo scambio di informazioni.
Poi, la situazione precipitò, con l’accoltellamento di Dumini. Albino Volpi, che era con lui, cercò invano Brunetti senza riuscire a trovarlo….solo alla vigilia della   partenza per Roma,   alla Gare de Lyon, si avvicinò al fiorentino un ragazzetto che gli diede un pacco: all’interno i documenti di “Satana”e un bigliettino: “Ha avuto la fine che si meritano gli spioni; per il resto, si consiglia di far dragare la Senna, all’altezza del Pont d’Austerlitz”.
Insomma, la vendetta antifascista aveva fatto un’altra vittima.
Ah, dimenticavo –aggiunse Pavolini, avviandosi alla conclusione, con gesto e tono eloquente di chi considerava anche l’ incontro finito- il conte de Donati nel 1927 uccise la giovane moglie  e poi si suicidò…. per gelosia, si disse”.
Mugnai si alzò, salutò romanamente e si avviò all’uscita. Fuori lo aspettava la Roma di sempre, nonostante la guerra (anche qui,niente bombardamenti, per fortuna), fatta di rumori e gente che “non s’affrettava”. Lentamente si diresse anche lui verso la stazione Termini: il tempo di mangiare un panino (con “Sua Eccellenza” aveva saltato il pasto) e prendere poi il treno per Firenze…ora sapeva cosa doveva fare.
In treno fu assalito dai ricordi di quel passato che non passava, di quella giovinezza turbinosa che avrebbe voluto fosse durata tutta la vita. Rivide i suoi vecchi camerati e se stesso sul BL18, per le strade polverose della Toscana: occhi che frugavano nel buio, mani nervose sulle canne dei moschetti, il pericolo dietro ogni curva. Eppure, si rideva allora, con una spensierata allegrezza che solo la giovane età e la consapevolezza di stare adempiendo ad un dovere poteva giustificare.
L’immagine di Ettore, con la camicia nera aperta sul collo, i pantaloni grigioverde, il fez, in vita la fascia fregiata da un minaccioso teschio, dominava su tutte: erano insieme, a Perugia, in quella spedizione che, iniziata sotto i più preoccupati presagi per il lungo viaggio da affrontare in territorio ostile e la prevedibile accoglienza di una città rossa, si era poi risolta quasi in una gita.
Era stato lì che loro due avevano rinsaldato la loro amicizia: sette ore il viaggio, fianco a fianco sul camion, a parlare fitto fitto di se stessi, delle loro speranze, dell’Italia che volevano, e poi per le strade della cittadina, sempre più sicuri, a mano a mano che si capiva che i “rossi”, già alla notizia del loro arrivo, avevano preferito una prudente fuga.
E, alla fine, tutto si era risolto in tranquille passeggiate in visita alla Cattedrale e al palazzo Comunale, un po’ di corte alle bellezze locali sul Corso, qualche legnatura serale a chi non aveva fatto in tempo ad eclissarsi, e grandi mangiate (e bevute) in osteria. Poi, l’ultimo giorno, al momento di pagare, il solito buontempone aveva avuto un’idea: tutti insieme di soldi ne avevano davvero pochini, e allora, all’oste gli avevano rifilato una ventina di foto di Mussolini, sfottendolo pure: “Queste domani varranno più della lira, stia tranquillo, le c
onservi con cura, e grazie dell’ospitalità
”.
Era stato lì che erano diventati inseparabili lui ed Ettore, e a cementare la loro amicizia, ricordo indelebile, gli era rimasta in mente una frase che l’amico  gli aveva detto sul camion, al ritorno: “Dante, sai una cosa ? se anche dovessi morire qui, adesso, per una schioppettata vigliacca, con te vicino, con i miei camerati a fianco, il canto delle nostre belle canzoni spezzato in gola, penso proprio che non sarebbe la più brutta delle morti” e l’aveva abbracciato, come e più di un fratello.
Rientrato a Firenze, per prima cosa si recò in Santa Croce, al Sacrario, davanti all’immagine di Ettore; stette lì un po’, a raccontargli del suo viaggio a Roma, dell’incontro con Pavolini, di quello che aveva saputo sulla fine di Brunetti, poi si accomiatò, con un “Arrivederci a presto, Ettore”, che gli sfuggì a mezza voce, quasi rispondendo ad un istinto più forte di lui.
Quattro  giorni dopo, Dante Mugnai, di professione avvocato, già squadrista della “Gustavo Mariani”, faceva domanda di arruolamento volontario, con richiesta destinazione prima linea.
Due settimane dopo gli veniva attribuita la medaglia d’argento alla memoria, con la seguente motivazione:
“Ufficiale volontario, durante un aspro combattimento, nel tentativo di individuare una batteria nemica particolarmente molesta, col suo fuoco preciso, si recava su di un osservatorio esposto ad intenso tiro avversario.   Colpito mortalmente da una granata nemica nel momento in cui era riuscito ad individuare la batteria avversaria, trovava ancora la forza d’incoraggiare i militari che lo avevano soccorso, incitandoli ed esaltando loro l’immancabile vittoria. Fulgido esempio di abnegazione e sentimento del dovere.  Confine libico-egiziano, 12 novembre 1942”
nella foto: il Sacrario dei Caduti della Rivoluzione fascista, in Santa Croce a Firenze

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