12 Aprile 2024
Filosofia

Precisazioni sulla logica originaria – Flores Tovo

Il pensiero originario nella storia umana si rivela nei suoi albori come pensiero dialettico, più precisamente come dialettica dei contrari combacianti e complementari, sebbene discordanti. Ci siamo occupati di tale argomento scrivendo su questa rivista articoli o saggi brevi su Anassimandro, Eraclito, sul Tao-te-ching, su Nietzsche e su Hegel. Visto però che ultimamente proprio sulla nostra testata è apparsa una critica vivace e serrata nei confronti di colui che è stato senza dubbio il più grande dei pensatori dialettici, ossia Hegel, lo scrivente ha ritenuto opportuno fare alcuni chiarimenti attorno al pensiero di questo straordinario filosofo, che oggi è considerato da quasi tutti gli ambienti che si occupano di filosofia come una specie di appestato su cui sputare sopra. Di pari passo il suo allievo Marx è oggetto di tale considerazione, nonostante rimarchevoli tentativi di riportarlo in vita, quali quello di Costanzo Preve e di Diego Fusaro. C’è da chiedersi del perché di tanta acrimonia: si può comprendere tale sentimento nei confronti di Marx, che è stato il fondatore teorico del comunismo, ma non certo verso Hegel. Il realtà la risposta che spiega questa avversione è molto facile da individuare: essa è dovuta al fatto che si tratta di pensatori dialettici.

Il lògos dialettico o Discorso, come lo definivano i Greci, nasce nel momento della storia umana in cui si palesano, ovunque, dall’Oriente all’Occidente, profonde contraddizioni e differenze sociali. Non è un caso che il periodo assiale, in cui si afferma a livello mondiale la filosofia, risale all’incirca 2.500 anni fa. La filosofia nasce quando le separazioni e le divergenze all’interno delle società diventano profonde, e quindi quando si capisce che la vita degli uomini era caratterizzata dal conflitto a tutti i livelli. Eraclito chiamò tale conflitto “pòlemos”, che per lui era il lògos, il Discorso, la legge dei contrari contrastanti. Si è spesso creduto che questo filosofo esaltasse la realtà di tale principio: il realtà egli proponeva un giusto equilibrio fra i contrari, affermando, che “bisogna spegnere la dismisura più di un incendio” (fr. 42). La filosofia nasce quindi dalle lacerazioni e dalle contese e si propone di indicare delle vie per ripristinare l’armonia sociale. Lo stesso “Tao-te-ching”  contiene ed esplicita questo significato. La grande filosofia si interroga principalmente, come insegnò Platone, sulla giustizia, su ciò che è bene e bello, su ciò che è vero e falso: tutti gli altri argomenti sono secondari. Ecco il perché di tanto disprezzo verso il pensare dialettico: è un pensare che coglie le fratture e le contraddizioni interne ad un sistema storico-sociale, e proprio per questo è un pensare sommamente rivoluzionario.

Le incredibili ingiustizie e i mali sociali che ammorbano le società contemporanee devono essere celate o sottaciute da un potere oligarchico che mai è stato così criminale, se si pensa che circa 1.000 persone controllano o detengono il 90% del PIL mondiale. E’ chiaro che questi individui satanici hanno la capacità di comprare tutto: mezzi di comunicazione, professori universitari, eserciti. L’arte della manipolazione non è mai stata così invasiva e persuasiva.

Perciò solo un pensiero organizzato, capace di vedere tutti gli aspetti contradditori del sistema, più rivelare la follia e l’estremo pericolo in cui l’umanità si è incuneata. Ecco perché Hegel, oggi, è il pensatore più che indispensabile per comprendere  l’abisso in cui si è precipitati. Chiariamo quelli che sono i punti essenziali del suo pensiero. In primo luogo la verità deve cogliere l’intiero. Che cosa significa? Significa che si studia  un’epoca storica, una formazione sociale complessiva bisogna indagare ogni singola componente essenziale, attraverso una “forma di esposizione” (Darstellungweise) capace di cogliere le contraddizioni dialettiche presenti per poi portarle alla comprensione assoluta del tutto, ossia al Concetto (Begriff). Per Hegel, infatti, “tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale e reale”. E mai frase tanto famosa è stata ed è travisata. Tutti i manuali oggi di moda nei licei o nell’università descrivono questo pensiero come pretesa di giustificare tutti gli avvenimenti storici, in quanto, secondo costoro, per Hegel, tutto ciò che avviene o è avvenuto è il prodotto di un disegno prestabilito dalla ragione. In verità egli spiega molto bene come avviene il passaggio al “Concetto”. Nel suo libro fondamentale che è “La scienza della logica” la ragione, studiando la realtà e le sue relazioni sostanziali (si veda il capitolo “La logica dell’essenza”) rileva che il rapporto causa ed effetto è basato sulla azione reciproca, che è sia attiva che passiva, un’azione che innesca un processo che sarebbe di per sé andrebbe all’infinito (un cattivo infinito, dice Hegel). Sennochè la catena delle cause e degli effetti ripiega su se stessa proprio per la l’azione reciproca che le lega dando luogo ad un movimento circolare. Un sistema reale è quindi composto da concause che vengono portate al Concetto concreto col quale si ha l’intelligibilità in generale della realtà, che non è composta più da determinazioni indipendenti una dall’altra,  ma da determinazioni che vengono unite dall’attività del Concetto, che comprende la totalità dell’insieme (La logica del concetto). Il Concetto è quindi una sorta di “Io penso” kantiano che però ha in più la capacità di unificare la realtà storica non solo attraverso categorie o giudizi sintetici a priori che si esprimono attraverso l’opera di un intelletto astratto che serve soprattutto per la comprensione fisico-matematica, ma che coglie le contraddizioni dialettiche del divenire storico. L’Io penso kantiano si occupa di scienza. Il Concetto, invece, grazie al lògos della contraddizione dialettica dei contrari, unifica tutta la realtà. Hegel è infatti il filosofo che riporta l’attività dello spirito allo studio dell’ontologia sociale e questo risulta chiarissimo nel suo capolavoro “La fenomenologia dello spirito”.

Ecco che la realtà storica, portata al Concetto, viene compresa nella sua interezza. Detto così sembrerebbe quindi che ci sia una equazione perfetta fra razionalità e realtà, fra essere e dover essere, e che quindi basta applicare la logica hegeliana per comprendere e giustificare tutto. In verità, come ha ben rilevato Costanzo Preve la realtà dei fatti storici non è concepita da Hegel come una realtà permanente e compiuta e perciò statica, ma viene pensata come una modalità di un essente-in-possibilità (dynamei on). La realtà del mondo storico è sempre in divenire ed Hegel ammette anche la casualità di esso. La filosofia, che è scienza del sapere storico, è simboleggiata da Hegel come la nottola (la civetta) di Minerva che si alza sul far del crepuscolo quando la realtà è bell’è fatta. Essa non è quindi in grado di prevedere il futuro, ma solo di comprendere il passato grazie alla forma di esposizione dialettica, e grazie, aggiungiamo noi, al principio leibniziano di ragion sufficiente, grazie al quale comprendiamo che se un fatto è avvenuto così, vuol dire che c’era una ragion sufficiente (non necessaria) che avvenisse così e non diversamente. E’ chiaro tuttavia che per Hegel il lògos della contraddizione dialettica è superiore ad ogni altro principio logico quando si tratta di capire la storia umana. Capire il passato, portarlo al Concetto, è certamente fondamentale per interpretare e prevedere il futuro, che comunque può sempre presentare eventi imprevedibili. In questo senso la filosofia di Hegel è filosofia della libertà, perché in essa non si trova mai nessun programma escatologico né nessun storicismo provvidenzialistico, come invece tanti suoi interpreti, tra cui Popper, Colletti, Severino, Loewith, Habermans ecc., hanno creduto ci fosse. L’allegoria della nottola di Minerva è lì che dimostra il contrario.

In secondo luogo, un altro aspetto essenziale per capire Hegel è quello di chiarire che cosa egli intende quando afferma che il finito è ideale. Si è creduto, anche in questo caso che il finito, inteso come natura, o anche come vita degli enti che nascono e muoiono, non avesse alcuna dignità, in quanto la sua essenza era nell’infinito, cioè fuori di sé (aus sich). Anche in questo caso c’è stato un fraintendimento totale. Il finito per Hegel esiste come natura che è non parvenza illusoria, e come storia umana soggetta al divenire. Quando egli afferma che il finito è il prodotto di una alienazione o autoestranazione dell’Idea, egli intendeva dire che l’Infinito produce al proprio interno il finito: una produzione peraltro necessaria. Che cosa sarebbe infatti un Infinito senza il finito al suo interno? Vuoto assoluto. L’Infinito deve produrre il finito se vuole essere davvero infinito. E’ evidente allora che il finito ha il suo fondamento nell’Infinito poiché è da lì che proviene. La sua essenza è nell’Infinito. Dire perciò che il finito è ideale significa nobilitarlo.

La genialità di Hegel, che per davvero ha spiegato nei minimi dettagli cos’è la contraddizione dialettica, consiste nel fatto che egli concepisce il finito come il momento dialettico per eccellenza. Il finito, che è principalmente la storia umana, è la sede delle lotte e delle contraddizioni. L’aspirazione dell’uomo sarebbe quella di tornare nell’Infinito. L’esserci umano infatti è l’unico ente che “sente” l’Infinito, che le religioni definiscono Dio. L’uomo, che sa di dover morire, sa anche di appartenere a ciò che lo trascende, cioè all’Infinito. L’Aufhebung (il superamento-mantenimento) rappresenta la tensione verso l’Infinito, ossia la negazione della negazione, che  potrebbe essere letto anche come il desiderio (sehnsucht) di tornare all’Infinito. Quando con la ragione si comprende che il vero Infinito contiene sia l’Infinito astratto che il finito, si ha la visione eterna della verità. L’allegoria religiosa della Trinità cristiana spiegata razionalmente. In questo senso Hegel è sia immanentista che trascendentalista, poichè l’Infinito, in quanto tale, trascende sempre il finito, altrimenti si determinerebbe,  tuttavia nella stessa triadicità dinamica il finito è da sempre nell’Infinito.

Cosicchè il ragionamento dialettico triadico, non ha nulla di misterioso o di contorto. La storia è fatta di conflitti e guerre.  Anche i grandi storici del Novecento, come Toynbee, Nolte, Spengler hanno descritto gli eventi seguendo la logica della contraddizione dialettica. Amico nemico, bene male, utile dannoso, azione reazione, sfida risposta sono le categorie storiche della contraddizione dialettica da essi usate per illuminarci sul passato. Rinunciare al pensiero originario quindi significa rinunciare al legame col nostro passato e cadere nella dimensione dell’oblio dell’essere e del deliquio che è per ora la cifra del nostro presente. Solo il pensare degli antichi ci può permettere la comprensione del nostro tempo: per questo tutti lo temono e tutti lo demonizzano. Ed Hegel ha insegnato il metodo per metterlo in opera.

Flores Tovo

f.tovo@libero.it

4 Comments

  • Elogiodelleccedenza 5 Maggio 2016

    Sì, Flores, lei argomenta bene, benissimo e con criteri che non stanno nell’inventario di un professore universitario che deve inventare un abbecedario; solo, e mi permetta, ma lo direi anche al Casolino, che è adorabile: Hegel rappresenta un astratto comunque, fuori dalla pista tautologica, che neanche voglio seguire: Inoltre questo (gigantesco) pensatore ha dato, involontariamente, corda a rivoli venefici, ed anche in questo caso, fuori da parti o visioni del mondo. Ma proprio perché irriassumibile, che è condizione del dono, oppure del vano. Infine, senza insistere sulla necessità di questa presenza, nulla (Hegel) presentiva di un fatto radicale, essenziale e fiondato al centro di una condizione di Essere: ciò che la vulgata chiama Sacro o Ermetico, che altri nomina come necessità di essere oltre la conoscenza di un fatto numericamente, osssessivamente, definito triadico; aldilà d’ogni eccesso in ignoranza, ovvero in Sapienza.
    Insomma: lei è perfetto nella diagnosi, ma secondo me non è Hegel né a dirigere, né a salvare.

  • Elogiodelleccedenza 5 Maggio 2016

    Sì, Flores, lei argomenta bene, benissimo e con criteri che non stanno nell’inventario di un professore universitario che deve inventare un abbecedario; solo, e mi permetta, ma lo direi anche al Casolino, che è adorabile: Hegel rappresenta un astratto comunque, fuori dalla pista tautologica, che neanche voglio seguire: Inoltre questo (gigantesco) pensatore ha dato, involontariamente, corda a rivoli venefici, ed anche in questo caso, fuori da parti o visioni del mondo. Ma proprio perché irriassumibile, che è condizione del dono, oppure del vano. Infine, senza insistere sulla necessità di questa presenza, nulla (Hegel) presentiva di un fatto radicale, essenziale e fiondato al centro di una condizione di Essere: ciò che la vulgata chiama Sacro o Ermetico, che altri nomina come necessità di essere oltre la conoscenza di un fatto numericamente, osssessivamente, definito triadico; aldilà d’ogni eccesso in ignoranza, ovvero in Sapienza.
    Insomma: lei è perfetto nella diagnosi, ma secondo me non è Hegel né a dirigere, né a salvare.

  • Antonio 10 Maggio 2016

    Partire dal dato di fatto storico e dalla propria condizione esistenziale del momento, questo porterà fatalmente a incappare nell’ “adeguamento a posteriori”, cioè in quella pericolosa tendenza che porta a normalizzare e legittimare, tramite l’elaborazione di teorie filosofiche e scientifiche, quel determinato dato di fatto e quella determinata condizione esistenziale, qualsiasi essi siano, anche quando sono patologici.
    Un intellettuale, se è veramente tale, dovrebbe avere abbastanza malleabilità mentale da mollare la presa, se si accorge che ne è il caso, mentre noi qui vediamo solo difensori d’ufficio e difensori per “partito preso” di Hegel e della dialettica idealista, questo implica un caricamento ideologico e perfino emotivo, da “innamoramento”, che poco ha a che vedere con l’obiettività intellettuale.
    Anche riferendosi alla logica conclusione finale in cui doveva finire la catena filosofica idealista, riassunta nella formula: “Non ha la benché minima importanza di come stanno effettivamente le cose, l’unica cosa che conta è come io voglio che stiano”, questo obbliga di nuovo a portare l’attenzione sulla condizione esistenziale in cui si trova il soggetto agente.
    Perché costui vuole certe cose invece che altre, che cos’è che lo costringe a volerle, perché costui funziona in modo dialettico, il funzionamento dialettico è una cosa normale? Si può funzionare anche in modo non dialettico? Certo che si può! Anzi, questo è il solo modo corretto di funzionare! Si elaborano sistemi dialettici perché si funziona in modo dialettico, questo è il vero dato di fatto, va da sé che colui
    che non funziona in tale modo se ne infischia dei sistemi dialettici.
    Se si è stati così critici con la dialettica e con l’idealismo dialettico, è perché ogni tipo di dialettica, specie quella idealista, è anti-iniziatica, se non addirittura controiniziatica, perché sembra fatta apposta per gonfiare a dismisura il “guardiano della soglia”, che a tempo debito non ti lascierà passare, ti respingerà indietro, di nuovo nel mondo dialettico, e qui c’è sempre e solo il cane che gira in tondo per mordersi la coda (il divenirismo continuo che non porta da nessuna parte).
    La catena dialettica idealista è fatalmente decadentista, una certa interpretazione ascendente fatta da Hegel, è appunto un’interpretazione a posteriori, cioè un ribaltamento logico di un processo che si è già svolto in discesa, in realtà ogni nuovo ciclo di tesi-antitesi-sintesi inizierà su di un livello leggermente inferiore al precedente e con del materiale più degenerato. La filosofia, come la scienza, non ha niente di assoluto, perché entrambe sono delle semplici modalità interpretative, mediante le quali un determinato soggetto in una determinata condizione esistenziale tenta di spiegare a sé stesso come funziona la realtà e sé medesimo; i limiti insiti in tutto questo sono più che evidenti.
    Naturalmente noi siamo liberi, se a voi piace “funzionare” in modo dialettico, liberi di farlo, anche se questo avrà fatali ripercussioni sulla realtà esteriore, nella quale ci sono anche i non-dialettici, i quali hanno tutto il diritto di recriminare, anche duramente, se ne subiscono danno.

  • Antonio 10 Maggio 2016

    Partire dal dato di fatto storico e dalla propria condizione esistenziale del momento, questo porterà fatalmente a incappare nell’ “adeguamento a posteriori”, cioè in quella pericolosa tendenza che porta a normalizzare e legittimare, tramite l’elaborazione di teorie filosofiche e scientifiche, quel determinato dato di fatto e quella determinata condizione esistenziale, qualsiasi essi siano, anche quando sono patologici.
    Un intellettuale, se è veramente tale, dovrebbe avere abbastanza malleabilità mentale da mollare la presa, se si accorge che ne è il caso, mentre noi qui vediamo solo difensori d’ufficio e difensori per “partito preso” di Hegel e della dialettica idealista, questo implica un caricamento ideologico e perfino emotivo, da “innamoramento”, che poco ha a che vedere con l’obiettività intellettuale.
    Anche riferendosi alla logica conclusione finale in cui doveva finire la catena filosofica idealista, riassunta nella formula: “Non ha la benché minima importanza di come stanno effettivamente le cose, l’unica cosa che conta è come io voglio che stiano”, questo obbliga di nuovo a portare l’attenzione sulla condizione esistenziale in cui si trova il soggetto agente.
    Perché costui vuole certe cose invece che altre, che cos’è che lo costringe a volerle, perché costui funziona in modo dialettico, il funzionamento dialettico è una cosa normale? Si può funzionare anche in modo non dialettico? Certo che si può! Anzi, questo è il solo modo corretto di funzionare! Si elaborano sistemi dialettici perché si funziona in modo dialettico, questo è il vero dato di fatto, va da sé che colui
    che non funziona in tale modo se ne infischia dei sistemi dialettici.
    Se si è stati così critici con la dialettica e con l’idealismo dialettico, è perché ogni tipo di dialettica, specie quella idealista, è anti-iniziatica, se non addirittura controiniziatica, perché sembra fatta apposta per gonfiare a dismisura il “guardiano della soglia”, che a tempo debito non ti lascierà passare, ti respingerà indietro, di nuovo nel mondo dialettico, e qui c’è sempre e solo il cane che gira in tondo per mordersi la coda (il divenirismo continuo che non porta da nessuna parte).
    La catena dialettica idealista è fatalmente decadentista, una certa interpretazione ascendente fatta da Hegel, è appunto un’interpretazione a posteriori, cioè un ribaltamento logico di un processo che si è già svolto in discesa, in realtà ogni nuovo ciclo di tesi-antitesi-sintesi inizierà su di un livello leggermente inferiore al precedente e con del materiale più degenerato. La filosofia, come la scienza, non ha niente di assoluto, perché entrambe sono delle semplici modalità interpretative, mediante le quali un determinato soggetto in una determinata condizione esistenziale tenta di spiegare a sé stesso come funziona la realtà e sé medesimo; i limiti insiti in tutto questo sono più che evidenti.
    Naturalmente noi siamo liberi, se a voi piace “funzionare” in modo dialettico, liberi di farlo, anche se questo avrà fatali ripercussioni sulla realtà esteriore, nella quale ci sono anche i non-dialettici, i quali hanno tutto il diritto di recriminare, anche duramente, se ne subiscono danno.

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