13 Aprile 2024
Punte di Freccia

Note d’amore per le vette…

 di Mario M. Merlino

          Nei pressi di Pisa, in località Metato, gli americani crearono il Disciplinary Training Center, ove rinchiudevano i soldati accusati di vari reati, qualcuno da impiccare, e vi portarono alla fine di maggio del ’45 il poeta Ezra Pound, con l’accusa di tradimento. Non lontano da Coltano, trentacinquemila internati, combattenti e non, della Repubblica Sociale. Venne sistemato in una gabbia, poi sotto una tenda. Qui compose quei Pisan Cantos, fra le voci più alte della poesia del Novecento e di certo fra le più alte in assoluto a risposta d’ogni universo concentrazionario. Superiore, ma mi riservo dubitarne, a Ossip Mandelstam e ai versi scritti nel gulag di Vladivostok, dove si spense nel 1938, e che oggi, ancora prigionieri della menzognera e mefitica cappa del (post)comunismo, ci facilitano ad ignorare.

          Dopo un improvviso temporale egli trasfigurò il monte che impedisce ai pisani di vedere Lucca, come ci ricorda Dante nell’affascinante e feroce vicenda da lui cantata del conte Ugolino, nel monte sacro ai cinesi, il Taishan, alle cui pendici si ergono templi edificati già dal I secolo d.C.. ‘…quasi corona d’angeli/ un giorno erano le nubi assiepate su Taishan/ o in gloria di tramonto’ oppure ‘…hai gli occhi come le nuvole sul Taishan/ quando una parte di pioggia è caduta/ e metà ancora ne deve cadere’…Del resto, quando due sgangherati partigiani andarono a prelevarlo, mise in tasca un libro di Confucio dalla copertina tenuta con il cerotto e il dizionario di lingua cinese.

          Contemplare il monte sacro. Ascendere alle vette. Coglierne il duplice significato di ascesa ed ascesi, dominio del corpo e meditazione dello spirito. Adriano Romualdi ci insegnò a celebrare il solstizio d’inverno, morte e resurrezione del Sole, con roghi a forma di ruota e di svastica, e confidare che l’Europa, per analogia, sarebbe risorta dopo l’ultima battaglia tra le macerie di Berlino. E un anno dopo la sua morte Julius Evola, che fu suo maestro e di molti di noi comunque figura principe, aveva espresso il desiderio che le sue ceneri, era stato cremato il 10 luglio come da dichiarata volontà,  venissero sparse in un crepaccio del ghiacciaio del Lys, sul Monte Rosa. E le immagini ricorrenti di sentieri nel bosco, capanne coperte di neve, radure aperte ai raggi del sole e panche vicino al focolare a fumare la pipa in compagnia di vecchi montanari, di cui sono ricche le pagine del filosofo Martin Heidegger.

          Una domenica d’inverno – il termometro è sceso sotto zero – prendo il tram fino al capolinea, in periferia. Da qui parte una strada asfaltata che, con ampie curve, sale fino in cima al monte Taunus. In effetti il Taunus è un rilievo montuoso, il Grosser Feldberg non raggiunge i 900 metri, che si estende ad est del Reno e raggiunge il basso corso del Meno. In automobile è una passeggiata e, nel piazzale in alto, una Gaststaette, in legno modello baita alpina, offre birra e panini. Vi sono però diversi sentieri nel bosco, contrassegnati da cerchi o quadrati bianchi e rossi su pietre e tronchi. E’ mattina presto, umida e nebbia. I piedi affondano nel terreno reso scivoloso dalla pioggia, da strati di foglie marce. Qua e là macchie di neve. C’è un’atmosfera da fiaba, di gnomi nascosti in qualche anfratto e di elfi addormentati in attesa della stagione primaverile. Ritrovo il gusto del camminare, della solitudine, della montagna. Fa parte della mia pelle. L’animo si spaura e, al contempo, respira la presenza del mistero nel silenzio, rotto soltanto dal vento fra i rami. Non dico di Dio che, come avvertiva Drieu la Rochelle, rimanda a figure antropomorfe, a debolezze e bisogni umani troppo fragili e precari. Ci si sente, svincolati da tutti i pensieri e costruite riflessioni, in uno stato di identificazione elementare ed immediata con le cose, manifestazione di energia e musica e colori di un Tutto ben oltre ogni sforzo di dargli nome.       (…) Mi perdo fra alberi rugosi e cespugli invadenti. Mi trovo a fianco un vecchio signore dal cappello feldgrau a visiera. Egli conosce sicuro il percorso e m’accompagna fino al limite del bosco. Mi giro per ringraziarlo. Se n’è andato, svanito nel gioco d’ombre, nel grigiore d’una domenica d’inverno. Da Strade d’Europa, ricordando l’inverno 1966 a Francoforte e’ciò che non si dimentica’.

          Recupero nell’edizione economica dell’Adelphi Il Monte Analogo di René Daumal. Libro che l’autore aveva iniziato a scrivere durante il secondo conflitto mondiale e che rimase incompiuto per la  sua morte precoce a soli 36 anni. Daumal si era dedicato all’alpinismo ed allo studio del sanscrito e, conseguentemente, delle dottrine indù. Amici ne raccolsero gli appunti e portarono a compimento il libro e lo diedero alle stampe. Il Monte Analogo è ‘la montagna simbolica per eccellenza’, dove la cima risulta essere l’unione tra ‘Cielo e Terra’. Scrive Daumal: ‘perché una montagna possa assumere il ruolo di Monte Analogo (…) è necessario che la sua cima sia inaccessibile, ma la sua base accessibile agli esseri umani quali la natura li ha fatti. Deve essere unica e deve esistere geograficamente. La porta dell’invisibile deve essere invisibile’. Dunque il fiato si fa mozzo, il sudore scivola lungo la spina dorsale, il passo greve ma la mente si libera d’ogni incrostazione, d’ogni residuo, d’ogni inutile spessore che, poi, non sono altro che le catene d’una proterva e pretestuosa forma di ‘civilizzazione’.

          Si potrebbero citare il Petrarca de L’ascensione al Monte Ventoso o la Salita del monte Carmelo di San Giovanni della Croce, ad esempio,oltre – va da sé – Medi
tazione delle vette di Evola. Qui, a conclusione, pur se vi ritornerò (siatene certi!), ho sullo scrittoio la ristampa del libro Fuga sul Kenia di Felice Benuzzi, edizione Corbaccio. Tre prigionieri italiani in Africa Orientale, nel 1943, evasero dal campo di prigionia inglese e scalarono il monte Kenya, vi piantarono a sfida il tricolore e si riconsegnarono ai loro carcerieri. Anche con questo spirito, credo, valga la pena cimentare se stessi, le proprie forze, l’audacia del proprio animo per ricordare, agli stolti del piano e alle esitazioni della propria mente e del cuore, che si può essere d’altra specie…

              

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