14 Aprile 2024
Controstoria Sarzana Storia

“Martiri di Sarzana / dormite in pace il sonno / vi vendicheremo un giorno…” (parte prima)

“Se stavano a casa loro, questo non sarebbe successo. Ma poi, come si fa, quattro ragazzi a mettersi contro quelle feccie degli Arditi del popolo… Per conto mio sto a casa. Tutti finiranno male”
Non c’è niente per noi, non comprensione, non riconoscenza, canaglie, che purtroppo con la Patria difendiamo il loro sporco grasso ventre, le loro pantofole, il loro amore per il sabato, che alla domenica si può dormire un’ora di più” (1)

di Giacinto Reale

Quelli che passeranno alla storia come “i fatti di Sarzana”, fra il 17 e il 21 luglio 1921, al termine dei quali si conteranno, oltre ad una ventina di feriti, 15 vittime fasciste (2), constano, in realtà, di una successione di almeno tre episodi diversi e separati, con un antefatto di rilevante importanza.
Su tutto, gli interessi di parte stenderanno nel tempo un velo fatto di retorica, bugie ed omissioni, fino a trasmettere una realtà parziale monca, che, così com’è, resta anche incomprensibile in alcuni passaggi.

Provo a fare una ricostruzione dettagliata – per quanto compatibile con il “mezzo” usato – dei fatti; alla fine qualche parola di commento:

1)          ANTEFATTO: sabato 11 giugno 1921, ore 22,45: alla stazione di Sarzana arrivano 12 fascisti provenienti da Carrara e diretti a Pontremoli, dove il giorno dopo è prevista la consegna del gagliardetto al neo costituito fascio.
Loro intenzione è prendere il primo treno del mattino, alle 5,10. In mancanza di idonei alloggiamenti, vengono “costretti” dai Carabinieri – preavvisati del loro arrivo – a pernottare in stazione, ma, elusa la sorveglianza, alle 3 di notte non si lasciano sfuggire l’occasione di una visita – senza peraltro fare grossi danni –  alla Cooperativa socialista, salvo poi ripartire all’alba, come previsto.
Incidenti, però, si ripetono, prima alle 7,30, quando passa in paese un’automobile con 5 squadristi carraresi che si azzuffano con gli avventori di un bar, colpevoli di qualche sguardo poco amichevole, e poi, ancora, alle 17,30 con l’arrivo di due automobili e un camion – sempre con squadristi carraresi a bordo –  che vengono fatti oggetto di insulti e minacce.
Gli squadristi scendono dagli automezzi, “per un chiarimento” che diventa zuffa, con la partecipazione dell’intero paese, e uno di loro si trasforma in una maschera di sangue, perché colpito da due violente bastonate (pare che il suo aggressore, identificato parecchi anni dopo, avrà nel frattempo cambiato bandiera, fino a trasformarsi in un temuto legnatore fascista).
I camerati accorsi in aiuto ingaggiano una violenta sparatoria, al termine della quale resta a terra un passante di 66 anni, probabilmente estraneo ai fatti. Ciò, nonostante che Renato Ricci, che guida il gruppo, svolga opera di pacificazione: “riprendendo anche a colpi di cravache alcuni dei compagni più accesi” (3). Comunque, prima che le Forze dell’Ordine possano intervenire con arresti, i fascisti si allontanano, meditando, però, propositi di vendetta.
2)          FATTO (PRIMA FASE): domenica 17 luglio 1921, di buon mattino, circa 150 squadristi carraresi, montati su quattro camion, e guidati da Renato Ricci, muovono verso il paese di Tendola, per partecipare ai funerali del muratore di Fosdinovo iscritto al fascio di Carrara, Pietro Procuranti, soprannominato “il diavolo”, assassinato due giorni prima.
Al termine, nel corso di una breve (“azione fulmine, dopo 10 minuti si dileguano” scriveranno le Autorità) sosta a Monzone, dove è in programma un comizio socialista, distruggono la Cooperativa e scambiano pistolettate con i sovversivi del luogo (due morti e cinque feriti il bilancio). Poi ripartono e, fatta una sosta ad Aulla, per il pranzo in trattoria, riprendono la strada verso casa, che prevede l’attraversamento di Santo Stefano Magra e Sarzana.
A Santo Stefano Magra, uno dei camion (l’ultimo della colonna) va in panne; scatta così l’imboscata: 6 fascisti feriti e altri 2 morti tra i loro avversari, senza che questo basti, però, per fermare gli uomini di Ricci. Montati sui 3 camion rimasti, essi, infatti, riprendono il viaggio, intorno alle 16,30, diretti a Sarzana, dove da qualche mese vi è un’Amministrazione socialista che, spalleggiata da un minaccioso nucleo di Arditi del popolo, rende
la vita difficile agli oppositori ed ai pochi fascisti del paese.(4)
Proprio questi, il 5 luglio, scrivono alla “casa madre” di La Spezia una lettera, tanto accorata quanto sgrammaticata, per chiedere aiuto: “Noi sarzanesi…siamo bersaglio dei socialisti e comunisti che ci lanciano ingiurie e minaccie (sic !) impedendoci di uscire di casa…Una città fascista come La Spezia dovrebbe impedire che ha (sic !) pochi chilometri da essa si debbano verificare questi fatti…dovrebbero essere anche affissi dei manifesti per fare apprendere ai nostri insultatori che se qualcuno di loro venisse riconosciuto e denunciato al fascio spezzino assaggierebbe (sic !) suo malgrado i famosi “assi fascisti”. (5)
È, quindi, anche per rispondere al loro appello che Ricci e i suoi programmano una puntatina, in questa domenica di luglio, a Sarzana. All’ingresso, però, trovano un forte presidio di truppa con mitragliatrici a sbarrare la strada: di fronte al divieto opposto dal Tenente dei Carabinieri Nicodemi a proseguire con i mezzi, gli squadristi scendono e si disperdono per i campi, divisi in squadre che però, mentre cercano di raggiungere l’abitato, vengono fatte oggetto del tiro dei sovversivi appostati tra l’erba e nelle case vicine.
Nello scambio di fucileria un anarchico è colpito a morte, mentre un fascista che si è sbandato, il diciassettenne Venanzio Dell’Amico, cavatore, iscritto al fascio da pochi giorni, è catturato dai nemici. Per lui c’è la morte: sul suo cadavere, ritrovato dopo due giorni, verranno riscontrate, oltre a colpi da arma da fuoco “fratture, ecchimosi, escoriazioni e ferite (di arma da taglio), probabilmente inferte…quando egli già si trovava a terra morente”.
I Carabinieri, che, allertati dalla fucileria, si sono buttati all’inseguimento degli squadristi, alla fine ne arrestano 10, mentre cercano di attraversare il Magra: tra essi anche Ricci che si è attardato per coprire il passaggio dei suoi uomini.
Gli altri fascisti, recuperati i mezzi che, passando all’esterno hanno raggiunto la parte opposta del paese, tornano a Carrara
3)          FATTO (SECONDA FASE): viene così decisa un azione su Sarzana, il cui scopo primario, è quello di ottenere la liberazione di Ricci e degli altri squadristi in carcere.
Sono precettati i fasci toscani, e quello di La Spezia. Per un malaugurato errore, però, i fascisti spezzini capiscono che l’inizio della marcia di avvicinamento è fissato al 19 luglio notte (invece che il 20), e così, nella tarda serata di quel giorno, in diciannove (6) si avviano per le colline tra il golfo e la pianura del Magra.
Giunti a 3 chilometri da Sarzana, si fermano a riposare nella cascina di un loro camerata, in attesa di ricongiungersi agli altri. Li attende una grande delusione, qualche ora dopo, allorchè si accorgono, con meraviglia, che del previsto concentramento non vi è traccia.
E’ per questo che i due più giovani, Augusto Bisagno, 18 anni (operaio, fascista “animoso”, a 14 anni aveva tentato, senza successo, di raggiungere il fronte) e Amedeo Maiani, 16 anni (meccanico, di famiglia operaia, più volte percosso e fatto oggetto di minacce e prepotenze dai suoi compagni di lavoro) vengono incaricati – probabilmente anche per sottrarli ai pericoli di uno scontro con forze soverchianti che si sente prossimo – di tornare a La Spezia a cercare aiuto. Gli altri si nascondono alla bell’e meglio tra i boschi.(7)
I due, nonostante la raccomandazione di evitare la strada provinciale e di usare la massima prudenza, fanno l’errore di fermarsi in un’osteria per acquistare della focaccia.
Nonostante non siano in camicia nera, vengono subito individuati per fascisti da alcuni di quegli Arditi del popolo che da giorni battono campagne e strade, catturati, legati l’uno all’altro e portati via. A condannarli definitivamente è la tessera fascista che Bisagno, in un disperato tentativo di salvezza, ha fatto scivolare a terra, ma è stata prontamente raccolta da una lavandaia intenta al suo lavoro.
Inizia così una dolorosa marcia per i campi, che mostra impressionanti somiglianze con quelle “marce della morte” alle quali saranno condannati molti uomini e donne della RSI: calci, sputi, randellate, pugni, colpi di coltello, nulla è risparmiato ai due giovani. (8)
Eppure, forse – badate, dico forse – la cosa potrebbe non avere conseguenze mortali, e potrebbe concludersi con la consegna dei prigionieri ai Carabinieri, se non sopraggiungessero da Sarzana alcuni Arditi del popolo che – in nome della loro autorità – si fanno consegnare i fascisti e li conducono alla cascina nella quale hanno installato il Comando.
Qui inizia un processo popolare farsa, che si conclude con 30 richieste di condanna a morte su 30 presenti, dopo di che i due giovani sono condotti dietro la cascina e finiti a pugnalate (pare da alcuni Arditi carraresi).
C’è poi un epilogo inumano al quale voglio solo accennare, riportando la corrispondenza de “Il Tirreno” del 26 luglio:“Abbiamo detto che un doveroso riguardo alle famiglie doloranti ci vieta di dire quello che è apparso ai nostri occhi. Ma è necessario almeno accennare all’efferata ferocia degli assassini. Co
n un procedimento nuovo, essi, freddamente, colpirono al cranio i derelitti con lunghi e affilatissimi pugnali. Una delle vittime ha ben 19 colpi di pugnale nel cranio, squarci atroci, come se si fosse voluto divertire con un popone. A una mancano due terzi di cuoio capelluto, all’altra è stata amputata la destra fino al polso… E sottacciamo il resto. Dovunque nel corpo ecchimosi del lungo martirio, la tortura delle punte acuminate, dei ferri arroventati… Quale orrenda agonia, poveri ragazzi”.(9)
I corpi, così straziati, sono affidati ad alcuni Arditi del popolo perché vengano fatti sparire; infatti, essi li buttano in un dirupo profondo una cinquantina di metri, e li coprono alla bell’e meglio con foglie ed arbusti.(10)
Prima, però, i loro carnefici compiono sui cadaveri “operazioni sconce”, come scriverà l’Ispettore Generale di PS Vincenzo Trani.
E il peggio, purtroppo, deve ancora venire…
Nella foto: la squadra spezzina “La Martoriata”, con i ritratti di Maiani e Bisagno
NOTE PRIMA PARTE

(1)        L’ipocrita e vile giudizio dei borghesi e l’irato commento fascista dopo l’eccidio di Sarzana, in: Mario Piazzesi, “Diario di uno squadrista toscano”, Roma 1980, pag 186
(2)        Il confronto tra le varie fonti consultate (e che verranno via via citate) consente di fissare in 15 il numero complessivo dei caduti, così suddivisi: uno (Dell’Amico) il 17 luglio, due (Maiani e Bisagno) la mattina del 20, dodici il giorno 21 (sei sulla piazza della stazione, sotto il fuoco dei Carabinieri, cinque nelle campagne, per mano dei social-comunisti, e uno colpito dalle fucilate che bersagliano il treno che torna a Carrara).
Qualche margine di imprecisione, però, resta: Gregori aggiunge il soldato Paolo Diana (“iscritto al fascio di La Spezia”), anche lui caduto sul piazzale della stazione e fa altri due nomi: Marco Mariani (“del fascio di Pescia”) e Giuseppe Orano (“del fascio di La Spezia”), mentre Borrini cita anche Aldo Paoli (“del fascio di Carrara”) morto successivamente per le ferite riportate
(3)        Così la relazione del vice commissario Goffredo Gioia,riportata in: Riccardo Borrini, “Il tricolore insanguinato”, Copiano 2005, pag 90
(4)        “Qualora vi rendeste complici di queste gesta brigantesche del fascismo, su voi per primi ne ricadrebbero le conseguenze”, questa una deliberazione del Consiglio Comunale diretta agli esponenti dell’opposizione e riportata in: Giuseppe Meneghini, “La Caporetto del fascismo”, Milano 2011, pag 22
(5)        La si veda in Meneghini, op cit, pag 39
(6)        I nomi e qualche notizia in più in: Giuseppe Gregori, “L’ecidio di Sarzana”, Roma 1937
(7)        Nelle ore successive, gli altri componenti la sfortunata squadra, scoperti e braccati tra i boschi del monte La Rocchetta, si difenderanno a fucilate (un morto tra gli aggressori) e, fra molte difficoltà riusciranno, alla fine, a rientrare a La Spezia
(8)        Al successivo processo, più di un teste ricorderà come, a turno, gli Arditi del popolo “montavano sulle spalle dei due giovani, guidandoli per le cravatte, come fossero somari” (Meneghini, op cit pag 81)
(9)        “Il Tirreno” del 26 luglio 1921, riportato in Meneghini, op cit, pag 89

(10)    I corpi, infatti, saranno ritrovati solo il 24 luglio, in stato di decomposizione e irriconoscibili; il 27 si svolgeranno, imponentissimi, i funerali a La Spezia

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