13 Aprile 2024
Foibe Maria Pasquinelli Punte di Freccia Storia

La vendetta

di Mario M. Merlino
Nel 1909 lo scrittore Sem Benelli compone il dramma La cena delle beffe, in quattro atti, rappresentato lo stesso anno al teatro Argentina di Roma con notevole successo. Nel 1941 il regista Alessandro Blasetti ne trae un film con Amedeo Nazzari in cui, per la prima volta, l’attrice Clara Calamai scopre il seno davanti alla cinepresa. Nella parte di Giannetto Malespini, il cattivo del cinema italiano di quegli anni, Osvaldo Valenti, che avrebbe aderito alla Repubblica Sociale e, insieme alla sua compagna Luisa Ferida in stato di gravidanza, sarebbe stato ammazzato su mandato di Sandro Pertini nell’aprile del ’45 a Milano. Ed è proprio Giannetto ad esclamare che ‘la vendetta è un piatto che va servito freddo’… Ciò vale anche per la giustizia riparatrice? Del resto il confine, credo, sia ben sottile e incerto se, in entrambi i casi, s’avverte come un macigno gravi sulle nostre spalle e, al contempo, una disarmonia sia stata introdotta a forza nel tessuto personale e collettivo. Forse solo la dimenticanza – afferma il detto popolare come sia sufficiente essere ‘lontano dagli occhi, lontano dal cuore’ – e il perdono – con il sospetto del suo duplice nascondere la viltà dell’azione e il gesto arrogante di chi si presume superiore (è sempre il ‘nostro’ Nietzsche a metterci in guardia!)  – possono allontanare il primo e, in qualche modo, il secondo.


Qui, però, non vi è intento alcuno di discettare intorno al senso dell’una e dell’altra, quali categorie morali e giuridiche; qui si vuole raccontare solo due storie. Storia di due donne. Di Maria Pasquinelli, di cui s’è parlato in questi giorni per la sua scomparsa all’età di cento anni; di Alfa Giubelli, di cui ai più è ignoto il nome e ancor meno la vicenda. Incarnano esse, nella prima, quella immagine viva e tragica della giustizia che, negata, chiede un atto riparatore; nella seconda un altrettanto gesto assoluto per liberare il cuore e la mente da una vita soffocata dall’orrore il dolore l’angoscia? Non abbiamo risposta se non le parole a rinnovarne la memoria…

In Maria Pasquinelli tutto parla d’amor di Patria (con la lettera maiuscola) e che si esprime, scoppiata la guerra, con l’abbandonare la casa la scuola – è maestra elementare – la giovinezza con le sue promesse per diventare crocerossina in Africa settentrionale. In fondo si tratta di portare lo stesso spirito di solidarietà di conforto di condivisione ad altri giovani che, in armi, si battono per l’Italia ‘proletaria e fascista’. Eppure, pur tra coloro che portano sulla carne il doloroso segno della tragedia, essa avverte che è troppo ‘lontana’… no, essa abbisogna della prima linea, diventare soldato fra i soldati. Così, nel dicembre del 1941, trafugata un’uniforme, raggiunge le truppe che si battono nel deserto contro gli inglesi in impari battaglie. E, durante la ritirata in Cirenaica, verrà scoperta, sospettata d’essere una spia, soprattutto non compreso il suo gesto, rimpatriata e si ritroverà di nuovo ad insegnare… ma, quasi con profetica intuizione, si farà mandare in terra di Dalmazia, a Spalato. Ancora una volta il suo orizzonte va ben oltre la cattedra, i banchi i bambini di un’aula scolastica. Qui c’è un intero popolo che, in quanto gente di confine, conosce sulla propria pelle e con il proprio sangue cosa voglia dire, cosa significhi essere ‘italiano’.

Le vicende dell’Istria e della Dalmazia, nell’incalzare degli avvenimenti bellici, il deteriorarsi delle sorti dell’Asse, l’8 settembre con l’esercito allo sbando, l’irrompere feroce e vendicativo dello slavo con il suo progetto di ‘pulizia etnica’, coinvolgono la stessa Pasquinelli così espostasi con tante iniziative di solidarietà per la comunità italiana. E’ lei che prepara un dossier sull’esistenza delle foibe e lo fa pervenire al Comando della X MAS. E’ lei che spinge il Comandante Borghese alla decisione estrema di far convergere tutti i reparti della Decima nell’estrema difesa dei confini orientali. (Per avere conferma sull’autenticità delle notizie Borghese invia la Pasca Piredda, sua capo ufficio stampa direttamente sui luoghi. Molti anni dopo, divenuti amici, mi racconterà episodi inediti e alcuni divertenti di quel viaggio).

Rimasta nascosta a Pola, Maria segue passo dopo passo tutto il percorso che conduce, dall’infoibamento all’esodo, il dramma delle genti istriane giuliane e dalmate. Fino al tragico epilogo di quel 10 febbraio 1947, giorno in cui, con la firma del Trattato di pace a Parigi, si sancisce con un colpo di penna che gli italiani di quelle terre o sono costretti a fare fagotto oppure divenire cittadini della Repubblica di Jugoslavia. In quella mattina grigia e piovosa il generale di Brigata, l’inglese Robert de Winton, scende dalla macchina e si avvia al Comando. Maria estrae la pistola, tenuta nascosta nel cappotto rosso, esplode tre colpi il generale si accascia colpito a morte si lascia catturare. Ha scritto in un biglietto, ritrovatole in tasca: ‘… mi ribello, col proposito fermo di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai quattro Grandi, i quali, alla conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare una volta ancora dal grembo materno le terre più sacre all’Italia, condannandole… al giogo jugoslavo, oggi sinonimo per le nostre genti, indomabilmente italiane, di morte in foiba, di deportazione, di esilio’.

Condannata a morte, poi la pena commutata in ergastolo, diciotto anni di carcere, la grazia. Sempre silenziosa discreta ove avrebbe potuto trarre vanto e vantaggio dal suo gesto. In una cella da lei stessa ridipinta con i colori del tricolore. ‘Io mi ribello’, aveva scritto. Già e noi con lei…

(Segue seconda parte su Alfa Giubelli).

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