11 Aprile 2024
Attualità

La privacy è una ipocrisia – Gianfranco De Turris

La privacy, termine in uso per intendere la riservatezza personale, è da un bel pezzo uno dei più ferrei tabù, internazionale e nazionale, del nostro tempo. In Italia abbiamo una Autorità garante dei dati personali istituita nientemeno che più di venti anni fa, nel 1996. Ma è questo uno dei tabù inviolabili che maggiormente viene violato e con la più grande facilità sia in senso passivo che attivo. Sono più le violazioni, per motivi di ordine generale superiore, che la sua salvaguardia e protezione a livello individuale. In senso passivo si deve intendere quel che subiamo e passa inesorabilmente sulle nostre teste senza che ci si possa opporre. L’esempio più tipico è sotto gli occhi di tutti, anche se ormai non ci facciamo più caso tanta la sua pervasività: sono le telecamere di sorveglianza. Ce ne sono talmente tante in vie, piazze, monumenti, edifici pubblici e privati, banche, negozi, scuole, ministeri, fabbriche, caselli, in città, paesi e campagne che tutto viene registrato a nostra insaputa. Naturalmente è proprio per questo motivo che ormai moltissimi reati, crimini e delitti spesso efferati, di sangue, vengono immediatamente scoperti e risolti, con l’arresto dei responsabili, anche solo nel giro di 48 ore. Ne siamo felici, è un bene per tutti, ma ciò vuol dire che allo stesso tempo la nostra vita quotidiana è costantemente sotto controllo, che la privacy è una ipocrisia, che nei fatti non esiste.E si tende ad aumentare la dose.

Il Parlamento, infatti, sta per approvare una proposta di legge per cui sarà obbligatorio installare negli asili nido e negli ospizi e case di riposo delle telecamere di sorveglianza. Dopo il recente aumento degli abusi e vessazioni nei confronti dei più piccoli e dei più anziani, scopeti appunto perché le forze dell’ordine sulla base di denunce, ne avevano installate di nascoste. Per la difesa dei più deboli si è ritenuto di renderle obbligatorie come deterrente di inqualificabili e assurde violenze. Utilissime, ma la privacy è sempre più una ipocrisia. Non solo. Chiunque possiede uno smartphone (praticamente tutti, eccetto il sottoscritto) può impunemente riprendere e far circolare fra privati e in rete ad un pubblico infinito, foto e soprattutto filmati ripresi dappertutto e in ogni occasione, importante e banale, drammatica e felice, senza chiedere alcun permesso a chi viene immortalato, a sua insaputa, a fin di bene e a fin di male. La privacy è una ipocrisia.

Del resto tutti coloro che hanno a che fare con banche, assicurazioni, uffici, pubbliche amministrazioni se vogliono ottenere certe prestazioni e non vogliono bloccati dei servizi, devono firmare una liberatoria che consente agli enti di utilizzare i loro dati privati, i “dati sensibili”, come si usa dire con locuzione aulica. E la stessa Autorità garante non ha forse dato via libera alla richiesta della Agenzia delle Entrate e alla Guardia di Finanza di controllare direttamente tutti i movimenti dei nostri conti correnti bancari e postali senza chiedere ad un magistrato il permesso anche se non esiste alcun reato? Mettendo così in mora il famoso e inviolabile segreto bancario? La privacy non è allora una ipocrisia?

Altro che Grande Fratello di 1984! Nel sua famoso romanzo Orwell immaginava un controllo capillare della popolazione, nelle case stesse dei cittadini, tramite schermi televisivi. Oggi questo controllo è individuale tramite cellulari e smartphone che permettono, a chi vuole ed è attrezzato alla bisogna, di sapere sempre dove siamo. Anche tramite l’uso diretto dell’aggeggio se acceso, e indirettamente tramite le “celle” cui esso si collega, le forze dell’ordine rintracciano a catturano criminali. La sicurezza pubblica fa aggio sulla riservatezza privata. Ma non basta. C’’è anche il lato attivo della questione, quello cioè di cui sono responsabili diretti i singoli che tengono di certo alla loro privacy ma per sciocchezze, e la violano senza problemi per questioni ben più gravi. La messa in pubblico dei propri fatti personali e dei propri sentimenti è un vezzo che dura da molti decenni ormai, soprattutto grazie a specifiche trasmissioni televisive, alle quali si è aggiunto il cosiddetto reality show per eccellenza, appunto chiamato “Grande Fratello” cui è seguita “L’isola dei famosi”. Storie di letto, di corna, di tradimenti, di triangoli sono in primo piano, argomenti di cui un tempo ci si vergognava di parlare in pubblico specie se personali. Di recente in varie trasmissioni tv ci sono state “confessioni” le più disparate e da nessuno richieste e tantomeno estorte sotto tortura, ma spontaneamente. Chi ha rivelato di essere omosessuale, chi di essere malato di tumore, chi ha fatto sapere che un suo figlio si è suicidato, chi di non riuscire ad andare avanti con la propria pensione, chi di fare uso di droghe e chi di aver subito una importante operazioni o una violenza sessuale da piccolo. Personaggi più o meno pubblici, più o meno noti, ma in fondo chi se ne frega? O forse ci si sbaglia: a molta gente frega moltissimo. In fondo è come leggere un giornale scandalistico e di pettegolezzi moltiplicato per un milione. Il pubblico è sempre più curioso, per non dire morboso. Ma c’è anche chi – attori, ex ministri, giornalisti noti – che preferiscono altri mezzi, ad esempio Twitter o Facebook, per far sapere ai propri seguaci (followers)che ad esempio la propria moglie è malata di cancro, che ha personali problemi psicologi, che sta passando un brutto momento esistenziale, che ha avuto un lutto in famiglia…

Ma allora a questi cosiddetti VIP chi glielo fa fare, perché vogliono far conoscere alla piazza televisiva e virtuale (c’è anche la Rete, non si dimentichi) le loro faccende private, anche gravi e gravissime? Perché questo smodato narcisismo? Quel che sconcerta sono infatti personaggi pubblici,, politici, giornalisti/e, attori, cantanti, modelle, che attraverso un loro medium personale, appunto Twitter o Facebook, comunicano coram populo loro fatti intimi da nessuno chiesti. E via con i commenti in rete o sui giornali. Una cosa terribile da tenersi per sé, ma evidentemente è il fascino irresistibile di essere in primo piano per un qualsiasi motivo tramite i media, di essere comunque sia al centro della attenzione, la paura di essere dimenticati, la voglia di continuare a far parlare di sé. E poiché l’occasione fa l’uomo ladro, qui i media fanno l’uomo narciso e chiacchierone. Il che vuol dire che in fondo della privacy, checché se ne dica, importata poco o nulla a nessuno. Che è una ipocrita e spesso anche una tragica buffonata.

Gianfranco de Turris

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