11 Aprile 2024
Scienza Tradizione

La costellazione del Cigno riflessa nella svastica della Rosa Camuna (3^ parte) – Gaetano Barbella

5 La via polare dei cigni

“Si vede che io, in fatto di divinazione, vi sembro molto meno dei cigni, i quali, quando sentono che devono morire, pur cantando anche prima, in quel momento tuttavia cantano i loro canti più lunghi e più belli, pieni di gioia, perché stanno per andarsene presso quel dio del quale sono ministri (Apollon). Invece gli uomini, per la paura che hanno della morte, dicono menzogne perfino sui cigni, e sostengono che essi, cantando il loro canto di morte, cantano per dolore. E non riflettono sul fatto che nessun altro uccello canta quando abbia fame e freddo e lo affligga qualche altro dolore, nemmeno lo stesso usignolo né la rondine né l’upupa, i quali si dice che cantino per sfogare il loro dolore. Ma a me pare che né questi uccelli, né i cigni cantino per sfogare il loro dolore. Anzi, credo che i cigni, poiché sono sacri ad Apollo, sono indovini; e avendo la visione dei beni dell’Ade, nel giorno della loro morte cantano e si rallegrano più che nel tempo passato. Ora, anch’io mi ritengo compagno dei cigni nel loro servizio, e sacro al medesimo dio, e ritengo di aver avuto dal dio il dono della divinazione non meno di essi, e quindi non dover andarmene da questa vita più tristemente di loro”.

(Platone: Il canto dei cigni (Fedone 84 e, 85 b)

Platone esalta il canto dei cigni più lunghi e più belli, pieni di gioia, perché stanno per andarsene presso quel dio del quale sono ministri (Apollon), ma non sono diversi i guerrieri con casco raggiato, doga e scudo che sembrano danzare, effigiati sulla roccia della Valcamonica. Infatti così ho detto al capitolo 7.3, e poi ho soggiunto: Questo richiama alla mente l’atto finale della vita sulla Terra, che l’antropologo Carlos Castaneda definiva “l’ultima danza del guerriero”, metafora indicante l’impeccabilità o l’eroismo di guerrieri di una società primitiva (gli Yaqui del Messico) nel loro ultimo atto prima di lasciare questo lato della realtà. Se l’ultima danza o la caduta finale di un armato dell’età del Ferro costituiva la scena culminante di un’esistenza mitico-eroica sulla Terra, ci sembra sin troppo ovvio che dovesse essere relazionata a un simbolo nobile e trascendentale… come la Rosa Camuna.

Non erano parole mie, in verità, ma di uno scrittore citato nell’occasione… Ed ora un altro scrittore, Antonio Bonifacio, mi suggerisce con un suo articolo, il tema esatto sul Cigno che tanto si associa, come ho posto in evidenza, ai “guerrieri” danzanti della Valcamonica.

A proposito della migrazione a Nord dei cigni, dice Antonio Bonifacio, citato in precedenza, nel suo articolo “La via polare dei cigni. I destrieri di Apollo tra preistoria e Roma augustea” (1° parte)14 <non possono dimenticarsi le parole di Socrate ricordate all’esordio (l’introduzione di questo capitolo tratto da Platone, Il canto dei cigni… Ndr): “in quel momento tuttavia cantano i loro canti più lunghi e più belli, pieni di gioia, perché stanno per andarsene presso quel dio del quale sono ministri (Apollon)”.

La favola dei Cigni selvatici di Andersen, esprime “poeticamente” questo passaggio senza perdere alcunché dell’allusività simbolica del tema. In particolare una frase messa in bocca alle creature-cigno, appare quasi un viatico per comunicare nel migliore dei modi i contenuti del passaggio tra questi due mondi: “…Voliamo come cigni, mentre il sole splende alto nel cielo (…) Noi non abitiamo qui, una terra bella come questa si stende dall’altra parte del mare”.

Questi cigni migratori, emblemi del collegamento tra uno sconosciuto aldilà, identificato nel paese degli Iperborei, e il mondo degli uomini, intessono profondamente il sentire dei popoli del nord, al punto che la tradizione edilizia della Frisia (la regione geografica che dall’Olanda fino Danimarca si affaccia sul mare del Nord) annovera, nel suo patrimonio architettonico, magnifiche case di legno, ove le travi portanti del tetto della facciata d’ingresso compongono la sagoma stilizzata del volatile e per ciò questo lembo terra è considerata (una delle) la patria d’origine dell’Apollo-sciamano.

E’ questo un deciso richiamo alla natura trasfigurante della creatura alata e alla sua origine, immaginata in una remota terra polare allora abitabile, identificata dagli antichi con Thule, nome che ha un’evidente assonanza con altre consimili terre poste all’estremo nord di altre tradizioni e altresì con la Tula celeste (vocabolo sanscrito), ovvero la Bilancia, l’asterismo polare in cui gli antichi riunivano in un’unica immagine le due costellazioni circumpolari dell’Orsa.

L’isola di Helioxoia/Helgoland (in realtà un minuscolo arcipelago) toponimo, quest’ultimo, che significa “isola sacra”, è stata considerata dallo scienziato e teologo Osvald Spanuth come il lembo superstite dell’antica terra atlantidea, che egli propone di identificare con una propaggine della remota Thule.

In questo luogo simbolico, immaginario e reale insieme, considerato come l’ingresso al mondo dei morti, sarebbe stato collocato un tempio circo lare dedicato ad Apollo. Difatti questa isola piccolissima avrebbe costituito il nodo sacrale del culto dell’Apollo iperboreo e da questo luogo sembrerebbe provenire l’ambra, il celestiale prodotto resinoso degli alberi delle terre nordiche, circonfuso dell’arcano potere risanatore e ristoratore, proprio della sua meta geografica collocazione.

Questo frammento polverizzato di terraferma è riconoscibile, sia pure indirettamente, nella narrazione di Andersen (ma non solo, anche i fratelli Grimm e il poeta irlandese Yeats citano l’evento migratorio dei volatili nelle loro raccolte di racconti e la loro sosta sullo scoglio) ed effettivamente esso rappresenta il punto di riposo degli immensi stormi di cigni migratori in viaggio verso il più remoto nord.

Da queste lontane terre, secondo Spanuth, sarebbero sciamati quei popoli del mare immortalati dalle istoriazioni del sito egizio di Medineth Habu, in quei pannelli dove si celebra la vittoria di Ramsete III su questi invasori. Proprio il confronto comparativo tra questo materiale documentario e reperti dell’età del bronzo rinvenuti in Europa settentrionale avrebbe evidenziato delle similitudini significative. Tra gli altri spiccano le navi con la prua e poppa a forma di “ testa di cigno”, inequivocabile richiamo all’avita patria iperborea di questi combattenti. >

6 Lo sciamano del mondo arcaico in relazione con lo sciamano camuno

Desta interesse l’articolo di Antonio Bonifacio in parte ripreso in precedenza, ma relativo ad una seconda parte15, ai fini di poter tratteggiare intimamente la figura dello sciamano preistorico della Valcamonica, rappresentato dall’illustr. 9 del capitolo 3 e da me supposto in stretto legame con la statua-menhir Ossimo 15 dell’illustr. 11, ancora del capitolo 3.

< In questa seconda parte ‒ dice Antonio Bonifacio ‒  la nostra esposizione prende i binari di una trattazione vera e propria e principia con una riflessione che scaturisce dalla meditazione su reperti che si collocano al fondo di un abisso temporale, provenendo da un mondo davvero ormai lontanissimo dal nostro.

Di questo mondo radicalmente “religioso” il riconosciuto protagonista è lo sciamano. Questa è una figura particolarmente longeva nel contesto del panorama storico religioso universale e oggi ne scorgiamo pienamente i tratti anche in epoche davvero immerse nelle nebbie del tempo, dove, fino a pochi decenni fa, non ci saremmo certo attesi di trovarlo.

Infatti, se già la tradizione etnologica ed etnografica ce ne offriva testimonianza in ere comunque lontane, un ulteriore salto nel passato è stato oggi compiuto collocando la sua figura direttamente nel paleolitico superiore, come dimostrano gli studi e le scoperte più recenti che continuano a retrodatare la sua presenza nel mondo. (cfr. sul tema complessivo dell’arcaicità dello shamano il fondamentale volume di Jean Clottes e David LewisWilliams, Les chamans dans la préistoire).

Com’è noto il tratto distintivo del suo operare si concreta nell’estasi, in cui l’anima (comunque la si voglia intendere) distaccata dal corpo, si reca in prossimità dell’albero del mondo e li sale e/o discende nelle regioni celesti o in quelle infere, a seconda dei compiti (sempre pericolosi) che questo viaggiatore animico si è assunto presso la comunità in cui agisce.

Questo albero traduce simbolicamente la Via Lattea, ovvero la Galassia. Percorrendo, estaticamente, le “stazioni” dell’uno (l’albero), per analogia simbolica è come se si percorresse l’Altro (la via della Galassia fino al polo celeste).

Di uno dei suoi compiti prioritari ci offre testimonianza esemplificativa Eliade che ne scrive: “I Goldi, i Dolgan e i Tungusi affermano che, prima della nascita, le anime dei bambini sostano come piccoli uccellini sui rami dell’Albero Cosmico e gli sciamani salgono a prenderle. Questo aneddoto mitologico non è riportato soltanto in Asia centrale settentrionale: è narrato, ad esempio, in Africa e Indonesia” (M. Eliade: 1974, 509-510).

 

 

 

 

 

7 L’azione sciamanica in relazione al potere arcaico del segno del Cigno


       Illustrazione 1: Costellazione del Cigno.

Facendo seguito al capitolo precedente, Antonio Bonifacio poi si dedica all’esaltazione della costellazione del Cigno della quale oggi si è svuotata dei suoi contenuti arcaici eccetto il nome. La descrizione che ne fa è davvero attrattiva, piena di fascino poetico.

< Si tratta di un peculiare asterismo ben visibile alle nostre latitudini volgendo lo sguardo verso lo zenit del cielo nelle serate estive. Qui, insieme ad altre significative stelle, brilla il Cigno, una caratteristica costellazione a forma di croce. Questo gruppo di astri era indicato nell’Ellade arcaica con il nome di Ornis, “uccello”, ciò fino a quanto Eratostene qualificò più precisamente questo asterismo attribuendogli il nome specifico di Cigno (illustr. 1). Una costellazione che contiene bellissimi astri e che ha la sua stella di più forte magnitudine in Deneb (22° stella più luminosa del cielo). Essa, come si vedrà, è stata oggetto di una prolungata attenzione mitologica e sarà in qualche modo protagonista delle successive riflessioni.

Il Cigno, com’è noto dalla densità delle sue presenze mitologiche, è un volatile di ragguardevole complessità simbolica, diffusamente presente nella simbologia delle religioni arcaiche, ma anche in quelle storiche. E’ noto il suo carattere di volatile migratore che percorre annualmente le rotte congiungenti il nord e il sud del mondo. A questi uccelli si associavano altre varie specie e più specificamente oche e anatre selvatiche che, proprio per il loro identico comportamento migratorio, ricevettero anch’esse in tempi arcaici identica attenzione mitologica. Questi stormi, una volta composti da un numero sterminato di esemplari, formavano vere e proprie scie bianche nel cielo a volte di tale uniforme spessore da velarlo quasi completamente.

All’uomo di allora, questo meraviglioso e ininterrotto corteo celeste che percorreva i cieli come un candido fiume, congiungendo, con precisa periodicità, l’ineffabile Nord iperboreo con il Sud, accompagnato da una coltre fittissima di piume, abbondante come neve, apparve evidentemente come l’omologia più pregnante del fiume uranico che fungeva da mediatore di mondi.

Si parla, nella circostanza, dell’arco luminoso della Galassia che abbracciava i due emisferi congiungendo, senza soluzione di continuità, la grande Croce del Sud, con quella del Nord e che, intersecando l’eclittica in precisi momenti solari dell’anno, realizzava quel peculiare implesso armillare, che gli studi del

duo de Santillana-von Dechend, hanno mostrato come un mitologema costante, incastonato nelle mitologie conosciute e fonte di una retrostante rituaria salvifica di stupefacente complessità.

Le vie dei cieli erano tutt’altro che perennemente disponibili e perché le si potesse percorrere era necessario che varie “porte” fossero aperte. >

E qui Antonio Bonifacio si lega all’opera esoterica dello sciamano che ne deve tenere conto nelle sue estasi al riparo nella sua grotta in cui era durante la vita di allora.

< Lo sciamano, per conseguenza delle sue capacità di conduzione dell’anima, era in grado di porsi in interiore omologia con le geometrie spaziali suggerite dall’osservazione del cielo, sperimentando l’esistenza “di quel cielo interiore che ci portiamo dentro”, che è la fonte di ogni omologia.

Possiamo immaginare che egli, come già detto, si appoggiasse visionariamente a un albero specifico, considerato l’albero del mondo, trasposizione dell’albero della galassia, e ne percorresse il tronco contrassegnato da 7 o 9 tacche, come se queste rappresentassero le porte dei cieli di un mondo spirituale essenzialmente geocentrico.

Ma 17.000 anni fa accadeva qualcosa di estremamente significativo, di cui tra poco si dirà. All’epoca, infatti […], un astro contrassegnava, con un certo margine di approssimazione il punto polare del cielo, il perno della macina del mondo. Si tratta appunto della già citata Deneb (coda di gallina secondo la lingua araba) che rappresenta l’occhio del Cigno in alcune mappe, e la coda del Cigno in altre. Essa, con lo scorrere delle ere, pur rimanendo circumpolare alle alte latitudini, perse il suo ruolo e altre stelle (a volte) la sostituirono, ma per ciò che c’interessa evidenziare essa all’epoca rappresentava la meta ultima di ogni viaggio celeste: da qui la sua assoluta importanza nei secoli.

Per effetto del lento vorticare della ruota celeste su sé stessa, l’asse terrestre, proiettato idealmente in cielo, forma, in un arco di tempo ben conosciuto già dall’antichità, un caratteristico cono spazio-temporale, rappresentante quel fenomeno astronomico denominato precessione degli equinozi. Precessione perché il movimento apparente delle stelle e quindi delle costellazioni è contro-solare.

In periodi di tempo assai vasti, questa ideale matita cosmica, che traccia un’ideale circonferenza ondulata nei cieli (per effetto del moto di nutazione) incontra una stella visibile dalla terra. Questa diverrà la polare di un’epoca, il segno identificativo del polo celeste. Odiernamente il polo poco si discosta dall’ultimo astro della coda dell’Orsa minore, che è la più luminosa dell’asterismo.

Questo astro, rimarcherà la posizione polare ancora per centinaia di anni e, naturalmente, dopo il periodo di ulteriore ravvicinamento odierno, se ne discosterà poi progressivamente nei millenni a venire.

Deneb e il Cigno non smisero però, alle alte latitudini, di partecipare alla qualità spirituale delle Imperiture, continuando comunque a esercitare in ogni caso la loro attrazione nella mentalità dei popoli. La costellazione era, infatti, collocata in un punto altrettanto significativo dell’immaginario simbolico, visto che era posta nella prossimità del suo grembo oscuro, il punto denominato dall’astronomia moderna Grande Fenditura del Cigno, la dove, come due fiumi celesti si dipartono due divaricazioni luminose, che si ricongiungono in prossimità della costellazione dello Scorpione.

Nelle religioni storiche traspare in diverse occasioni la circostanza che il raggiungere la stella polare rappresenti il compiuto decondizionamento per sfuggire agli effetti della “ruota degli inganni”, […] [detto in precedenza che] si è tentato di evidenziare. >

 

8 La profezia dell’inevitabile

< Se a un certo punto non avesse incrociato sulla sua rotta l’America, certamente avrebbe portato il suo equipaggio alla morte. Invece, alle due del mattino del 12 ottobre 1492, Rodrigo de Tiana, l’uomo in vedetta della Pinta, una delle tre caravelle che facevano parte della spedizione, aguzzando gli occhi verso occidente, cioè verso il punto ove stava per scendere sotto l’orizzonte la luminosa stella Deneb, intravide nel fioco chiarore lunare una remota lingua di terra, gridò a voce altissima «Tierra! Tierra!» e chiese la ricompensa che era stata promessa a chi per primo avesse avvistato l’India. Gli indigeni che alle prime luci  dell’alba scorsero le tre navi di Colombo si misero a correre da una capanna all’altra, gridando a loro volta: « venite, venite a vedere gli uomini che arrivano dal cielo”».

«Non portano armi e ne ignorano l’esistenza», osservò poi Colombo, «perché, quando ho mostrato loro delle spade, le hanno afferrate per la lama e si sono feriti per ignoranza». Il grande capitano insistette perché gli indigeni fossero trattati «amorosamente», ma gli affari erano affari, e ben presto molti di loro si ritrovarono in catene a bordo delle tre navi che facevano ritorno nel Vecchio Mondo. >

(Timothy Ferris. Da:  L’avventura dell’universo. Da Aristotele alla teoria dei quanti e oltre: una storia senza fine . Editore: Castelvecchi. 30 ottobre 2013)

Colombo e il suo equipaggio, non erano degli extraterrestri, quando sbarcarono sulla riva che credevano del continente asiatico, ma agli indigeni locali, per certi versi, sembrò che lo fossero, intravedendo in loro dei divini scesi dal cielo. Scandalizza pensarlo traslando il concetto a tante ipotesi in merito, specie nell’epoca attuale?


Illustrazione 2: La Nebulosa Nord America (anche nota con le sigle NGC 7000 e C 20) situata nella costellazione del Cigno.

Forse per quegli indigeni fu il segno da sempre cercato dagli scribi e farisei attorno alla figura di un Maestro, Gesù Nazareno, il quale mostrò loro invece il “segno di Giona”. Quegli indigeni erano simili ai semplici innocenti additati come esempio dal Maestro, non conoscendo il male causato dalla lama della spada di Colombo. E così, ahimé, furono proprio loro a pagarne il prezzo di un riscatto dei mali dell’animo di Colombo e i suoi marinai, con la deportazione. E le navi spagnole, e poi di altre nazioni europee, si potrebbero paragonare alla balena che ospitò, per tre giorni e tre notti, il profeta Giona dell’evangelico “segno”. E tutto questo più in generale, nel segno dei naviganti attraverso le stelle, che fu per Colombo la stella Deneb, ma “al suo tramonto”. Che presagire attraverso i segni allora, sull’altra “America” della costellazione del Cigno, nota come la Nebulosa del Nord America (illustr. 2) molto prossima alla stella Deneb? Una certa “nuvolaglia” che si può legare a due realtà, quella degli astronomi e l’altra degli alchimisti, entrambi continuamente presi a “esplorare” appunto “nebulose” appena “accessibili” con i loro telescopi e mentali. Ma se così fosse, quale il prezzo della “profezia dell’inevitabile” legata al segno del “tramonto della stella Deneb”, come fu per la scoperta dell’America… dello “sbaglio” di Cristoforo Colombo della storia? Ma ironia della sorte c’è contesa fra i due, poiché uno ignora l’altro senza tregua, come a immaginare un’impresa impossibile da attuare a causa del disaccordo. Non è questo un ostacolo da superare, almeno secondo le concezioni alchemiche?16 Ma forse un segno ce lo mostra la Nebulosa del Nord America, la sua forma molto somigliante all’omonimo Nord America terrestre da cui prese il nome, come a indicare una certa “Tierra” da “avvistare”…

“…Voliamo come cigni, mentre il sole splende alto nel cielo (…) Noi non abitiamo qui, una terra bella come questa si stende dall’altra parte del mare”, riecheggia la frase messa in bocca alle creature-cigno di Andersen, citata nel capitolo 5.

Brescia,  20 giugno 2018

 

NOTE

14 Fonte: http://www.immagineperduta.it/la-via-polare-dei-cigni-destrieri-apollo-preistoria-roma-augustea-1-parte/

15 Fonte: http://www.immagineperduta.it/la-via-polare-dei-cigni-destrieri-apollo-preistoria-roma-augustea-2-parte/

16 L’alchimista deve riuscire ad amalgamare e fondere insieme Spirito e Corpo, realizzando la conciliatio oppositorum, non potendo rinunciare né all’uno né all’altro. Gli opposti devono prima lottare, divorarsi ed uccidersi a vicenda, perché la loro unione possa realizzarsi. Questa operazione ha due aspetti, quello del costringere la terra corporea e pesante (degli astronomi – mettiamo) ad elevarsi verso le regioni dello Spirito e quello consistente nell’obbligare lo Spirito (degli alchimisti) ad abbandonare i “cieli filosofici”, ove può spaziare liberamente, costringendolo a discendere nelle regioni più pesanti e condizionate dai vincoli terrestri perché possa vivificare rivitalizzare e “rendere consapevole” il corpo.

 

Nota:

Parti delle immagini delle incisioni rupestri della Valcamonica sono state tratte dal libro

Capo di Ponte e le incisioni rupestri camune. Edizione Guide Grafo/11 – Brescia

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