13 Aprile 2024
Economia Privatizzazioni Rallo

Il gioco delle tre carte: debito, macelleria sociale e privatizzazioni

Di Michele Rallo

L’articolo della scorsa settimana — dedicato al tema del debito pubblico — ha suscitato un particolare interesse, e da più parti mi viene chiesto di approfondire alcuni aspetti, in particolare per quanto attiene al rapporto fra debito pubblico, politica di rigore e privatizzazioni. Lo faccio volentieri, nei limiti della mia modesta preparazione in materia.

Innanzitutto, premetto che tutti gli Stati del mondo hanno un proprio “debito pubblico”, cioè devono dei soldi al sistema finanziario interno ed internazionale: se il nostro debito è pari al 120% del PIL, quello americano è del 105%, e quello tedesco dell’85%. Finanche la Cina (che pure conia denaro in proprio) ha un debito pari al 43% del PIL; Singapore — uno degli Stati più ricchi del mondo — ha un debito pubblico percentualmente pari al nostro; ed il grande Giappone — udite udite — arriva al 208% (secondo il FMI addirittura al 236%) del proprio Prodotto Interno Lordo.

Perché tutto ciò? Perché, gradualmente nel tempo, gli Stati hanno abdicato al loro diritto-dovere di battere moneta, scegliendo di arricchire a dismisura pochi soggetti privati a discapito di intere comunità nazionali. Fino al punto in cui siamo arrivati oggi, con una comitiva di distinti signori che possiede potenzialmente l’intera ricchezza prodotta in un anno negli Stati Uniti d’America, due volte la ricchezza prodotta in Giappone, una volta e un quarto quella prodotta in Italia, e così via dicendo.

Banche, banchieri e maneggioni vari — si tenga presente — possono da un momento all’altro stabilire che il tal Paese è inaffidabile e chiedere garanzie suppletive per continuare ad erogare il necessario per la sopravvivenza allo sfortunato debitore. Dico “il necessario”, perché gli Stati hanno bisogno di denaro per le loro più elementari esigenze; e questo denaro non possono stamparselo, ma devono obbligatoriamente farselo prestare dalle banche.

Naturalmente, la speculazione finanziaria — vero e proprio braccio armato del “sistema” — è libera di porre sotto attacco un Paese piuttosto che un altro, secondo una logica ben precisa. All’inizio degli anni ’90, per esempio, l’Italia fu oggetto di un durissimo attacco speculativo perché la si voleva costringere a mettere sul mercato la sua grande industria statale. Qualcosa di molto simile sta avvenendo in questi mesi, ma con un elemento in più: la macelleria sociale attiva (tasse) e passiva (tagli) spinta fino — e talora oltre — i limiti del sopportabile. Sarà proprio la macelleria sociale, infine, a costituire lo strumento più adatto a favorire la totale svendita della nostra economia reale. Ciò avverrà quando l’opinione pubblica nazionale sarà posta di fronte a scelte brutali: raddoppiare le tasse o impegnare l’oro della Banca d’Italia? stra-tagliare le spese per sanità e istruzione o privatizzare le nostre coste? licenziare un milione di lavoratori o vendere il Colosseo? e così via.


Intanto — mentre il nostro debito pubblico continua a crescere — l’ultimo arrivato sulla scena politica nazionale, quel mattacchione di Renzi, promette di fare faville. Ha un consigliere economico dal nome non proprio italico — tale Yoram Gutgeld — che darebbe via pure i chiodi: «Dal 1992 fino al 2000— ha dichiarato in una intervista a “Italia Oggi” — noi abbiamo privatizzato per circa 150 miliardi (…) Cosa rimane? Pezzi di aziende quotate, Eni, Enel, Terna. Bisogna valutare vantaggi e svantaggi ma si possono considerare. Ma, per esempio, Poste e Ferrovie possono essere messe sul mercato subito. Poi c’è il patrimonio immobiliare, è un momento difficile per vendere ma ci si può pensare.» E se diventasse ministro — incalza l’intervistatore — privatizzerebbe la RAI? Risposta: «Assolutamente si, non vedo preclusioni. Se diventassi Ministro la privatizzerei subito.» Se questo è il nuovo che avanza, evviva il Medio Evo!

Fonte: Social (periodico di Trapani) 

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