13 Aprile 2024
Azione

Il fremito le bandiere il vento

Quando il 15 ottobre del 1960 mi iscrissi alla Giovane Italia, in via Quattro Fontane, mi venne consegnato il distintivo da portare all’occhiello della giacca, variando il colore secondo il ruolo di competenza (io divenni fiduciario del mio liceo e, mi sembra, il suo colore fosse il giallo), e la tessera. E ricordo ancora come vi fosse stampigliato, al suo interno, il motto ‘noi abbiamo ancora una bandiera da levare al sole e una canzone da gettare al vento’. Quanta giovinezza generosa e amara e quanto tempo è trascorso, ma di tutto o quasi non serbo rancore rimorso rimpianto…

M’è tornato a mente – e voglia di scriverne –, accendendo il computer questa mattina intorno alle 5,30, con la tazza di tè fumante e un cucchiaino di miele al limone. L’amico Giacinto aveva postato (?) la foto della palazzina di quattro piani nella città curda di Kobane, in Siria ai confini con la Turchia, svettante la bandiera nera del Califfato. Intitolando il suo breve commento (invidio la sua dote d’essere sintetico) Il sapore delle vecchie cose’… E’ vero che siamo entrambi pensionati, ma qui nulla c’entrano i centri anziani le partite di bocce o tresette il ballo liscio o altre menate consimili. Fummo, a diverso titolo, consapevoli e coinvolti in battaglie a cui abbiamo donato la mente il cuore e quel po’ di vigoria fisica che la natura ci ha concesso, egli a Bari, io a Roma, e senza metafore o metanoie non rinneghiamo nulla e nessuno. E ci ostiniamo, testardi come sono i vecchi a mantenerci fedeli a letture della nostra giovanile militanza e a quelle successive e a quelle attuali e ci piace, crediamo fermamente ne valga la pena, condividerle anche attraverso lo strumento un po’ cialtrone di fb di internet e dintorni.

Quella bandiera nera, indipendentemente dal suo attuale contesto e agli specifici riferimenti, rimanda alla bandiera rossa piantata dai sovietici ai primi di maggio del ‘45 sulla Cancelleria (forse il riferimento voleva essere al Reichstag) di Berlino. Come scriveva Adriano Romualdi ne Le ultime ore dell’Europa, ‘Dopo feroci corpo a corpo, anche il secondo piano del Reichstag ha ceduto. La via del tetto è ormai libera. I soldati Jegorov e Kantanija vi si arrampicano. Di là, vedono Berlino come un mare di fiamme nella notte. Accanto, la Porta di Brandeburgo. Più oltre la Cancelleria, dove le ceneri di Hitler già posano spente. Spiegano la bandiera rossa affidata dal Comando della Terza Armata d’Assalto e la issano nel cielo notturno. Stalin trionfa sulla Germania e sull’Europa’. (In effetti la celebre fotografia venne scattata successivamente per evitare le fasi concitate dell’azione, quando ancora c’erano nuclei di resistenza così come è posticcia la fotografia, altrettanto celebre, dei marines he piantano la bandiera a stelle e strisce nell’isola di Jwo Jima, anche questa citata da Giacinto. Foto storiche, epiche e fasulle che, però, erano in sé ‘poesia’).

Aggiunge, nel suo commento, immagini a noi care: l’ultimo alzabandiera a Giarabub e quelle bandiere, quei drappi e labari tagliuzzati in mille piccoli frammenti affinché ciascuno di quei combattenti della RSI portasse sul cuore il ricordo della ‘bella’ battaglia per l’Onore d’Italia. Non ho visto il film, del 1942, intitolato proprio all’oasi dove avvennero i fatti, cioè Giarabub, regia di Goffredo Alessandrini e interpretato da Carlo Ninchi e Doris Duranti (l’attrice amata da Alessandro Pavolini), con un esordiente Alberto Sordi. Ho letto e possiedo, però, La difesa di Giarabub, ed. Longanesi 1967, del colonnello Salvatore Castagna a comando del presidio, la sua resistenza allo strapotere di forze inglesi fino alla resa nel marzo 1941. E leggo pag. 214: ‘La bandiera che da dieci mesi sventolava sulla torre della ridotta Marcucci venne abbassata e bruciata al cospetto del nemico, che concentrò le sue ultime raffiche sui soldati che avevano l’incarico di compiere questo estremo gesto. Da ogni petto uscì un grido: viva l’Italia!’. (Come sovente gli inglesi, qui in particolare gli australiani si dimostrarono ‘cavallereschi’ come consuetudine militare alla resa del nemico valoroso…).

Conservo un cartoncino con il frammento dell’orifiamma nera e in rosso ricamato un minuscolo simbolo della X mas e le lettere g (incompleta) e una o, a firma Cencio (Giulio Cencetti, ultimo comandante del btg. Barbarigo), indirizzato a Fede Arnaud, fondatrice del SAF della Decima. Vi è scritto: ‘Ventidue anni riportano a Fede un pizzico di Bandiera, conservato con la Fede che potrà arrestare solo Chi accende ogni fiamma e spegne ogni cuore. Bandiera che nacque nel suo SAF e continua, spezzettata, a splendere orgogliosa in tanti sperduti angoli d’Italia, tra i superstiti marò del Barbarigo che ricevettero l’onore delle armi dal nemico straniero soverchiante, sbalordito da tanta disperata tenacia. Unde eo omnia’. (Senza commento che non si necessita anche per evitare rinnovate e recenti polemiche dai toni sguaiati e indecenti… Parole e gesti come pietre, levigate nel sangue di Anzio del Piemonte sul Senio nella ritirata fino alle porte di Padova, raccolte ora al Campo della Memoria).

Romanticismo, ben venga… Romanticismo fascista, certo… Rispetto alla tecnologia impiegata, aerei bombe missili, che si pavoneggiano d’essere risolutori e, al contrario, sembrano impotenti di fronte all’avanzata dell’ISIS, feroce determinata fanatica ma pur sempre di uomini con una ‘fede’, bene, aggiunge e conclude Giacinto ‘… il fremito che al cuore può dare solo una bandiera che garrisce al vento’. Forse i nostri figli, i possibili nipoti non intendono l’immagine con cui conclude la sua riflessione, il suo esternare una sentita e reiterata emozione. Cosa è una bandiera al vento, a parte quelle della propria squadra del cuore agitate negli stadi, cosa racconta? Noi, anche se Giacinto è più giovane, siamo cresciuti nei piccoli cinema con il panino e la mortadella i lupini le fusaje e le rotelle di liquirizia, con i nostri coetanei le domestiche i soldati in libera uscita, tutti ad applaudire l’arrivo dei ‘nostri’ (presto ci liberammo di quegli eroi e scegliemmo di parteggiare per i Confederati gli Apaches i tedeschi e i giapponesi, insomma per i perdenti, i cattivi). Ombre rosse e La carica dei seicento, ‘faccia al sole e in culo al mondo’, ‘gli eroi sono tutti giovani e belli’, il bene vince sempre contro il male ecc. ecc. e le bandiere al vento, tante bandiere, tanto vento…

Già, il vento – nel 1991 gli Skorpions cantavano, a ridosso del crollo del muro di Berlino, Wind of change, ma noi da lunga data avevamo abbandonato i lidi dei nostri primi ‘eroi’ e ci siamo trovati a costruire, poco più che adolescenti, le fondamenta per la mente ad altro rivolta e per un cuore pulsante per altro amore… ‘che ragazze,/ che ragazzi,/ portan’ il nero!’… Ogni bandiera è una storia, è sangue versato, idea fattasi carne, giuramento (come il passamontagna di Mikis Mantakas che Franco Anselmi bagnò del sangue sparso sull’asfalto di Stefano Recchioni). Ecco perché, suggerisce Rodolfo, la bandiera della UE è brutta in quanto non è stato versato per essa del sangue e nessuno, credo, per essa intende versarlo.

A Sant’Angelo in Formis è stato costituito un sacrario, a cui ho collaborato, a memoria dei giovani volontari della RSI, sabotatori oltre le linee e qui fucilati nell’aprile del’44. E’ possibile vedere il momento della esecuzione tramite filmati americani di tre di loro (ne ho parlato più volte e ricordato come sia in mio possesso, simile a reliquia, un frammento di camicia nera di uno di loro). Ebbene, dalle interviste raccolte emerge come alcuni di questi giovani si annodassero alla vita, sotto i vestiti, la camicia nera per essere con essa fucilati in caso di cattura. Sono certo che essa equivalga a bandiera agitata dal vento… Una bandiera, il tricolore, svetta alto nel cielo dell’Istria – un giovane s’è adoperato a farlo sventolare, cade trafitto per mano slava… A Nassiriya, Iraq, 12 novembre 2003, sulla branda di uno dei soldati caduti nell’attentato c’è, piccolo rettangolo, la bandiera della RSI…

Aveva sentenziato Max Stirner che non necessitava di una bandiera per trovare altri ‘unici’ che si unissero a lui per la comune battaglia (la notte precedente Valle Giulia concordammo con i nostri coetanei dell’altra sponda che in piazza non vi sarebbero state bandiere rosse o nere e così fu). Eppure… a un giornalista che ironizzava sulla presenza di don Giulio Tam alla foiba di Basovizza, il sacerdote, noto per le sue posizioni, rispose che la sua tonaca altro non era che ‘una camicia nera allungata’… al ritorno in Italia della salma di Marcello Lelli, professore all’università, già segretario della FGCI, fra i promotori de Il Manifesto, morto in Brasile per un attacco cardiaco, io andai e indossai la camicia nera fra bandiere rosse e mazzi di garofani rossi ad attestare il rispetto per un avversario che mi fu amico e testimone leale al mio processo…

Ognuno ha tanta storia, mi sembra s’intitoli così un libro di Carlo Mazzantini, e all’ombra di un vessillo trova il luogo ove riconoscersi e motivare se stesso (piantando il labaro della legione fra le rovine di Roma ‘hic manebimus optime’ e Roma risorse a nuova gloria). Il fremito, di cui si accennava, non è la coltre melensa e buonista che oggi ha sostituito lo scontro a difesa di idee e visioni del mondo. Al contrario è il sereno virile riconoscimento verso coloro che, i ‘nostri’ o gli altri, conoscono la fede il coraggio l’entusiasmo il sacrificio a cui noi stessi ci predisponiamo ogni giorno, nell’attesa forse sciocca forse illusa forse ormai fuori tempo massimo (anagrafe e dintorni), per la ‘bella’ battaglia. Come Nietzsche insegnava… lo stile…

Mario Michele Merlino

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