11 Aprile 2024
Arte Controstoria

Il colosso dell’Arengario – Emanuele Casalena

Credo pochissimi addetti ai lavori conoscano la breve storia del colosso del Littorio, molto scarsa la documentazione d’archivio sulla più grande opera di architettura-scultura del fascismo, fu retorica di regime o anche qualcos’altro? Per cercare di capire partiamo dalla psicanalisi.

Berlino settembre 1937, C. G. Jung si guadagna un posto privilegiato poco distante da Mussolini e Hitler alla Porta di Brandeburgo. E’ in pieno svolgimento la parata militare in onore del Duce, i soldati  marciano al passo dell’oca, lui appare divertito, sorride (forse sghignazza), saluta la folla, non riesce a star fermo, il Führer al contrario è un rigido manichino teutonico. Su quell’esperienza, nel ’39, lo psichiatra rilascerà alla rivista Cosmopolitan un’intervista molto articolata sui due personaggi, includendovi Stalin come terza gamba del confronto.

“Orbene, – egli dirà – Mussolini è l’uomo della forza “fisica”. Lo si avverte immediatamente appena lo si guarda. La sua corporatura dà un’idea di muscoli robusti. È il capo in ragione del fatto che individualmente è più forte di ciascuno dei suoi avversari.(…) Tra Hitler e Mussolini non potrebbe esistere differenza più grande! Io non ho potuto fare a meno di provare simpatia per Mussolini. L’energia scattante del suo fisico ha un che di caldo, di umano e di contagioso: con Mussolini hai la confortevole sensazione di trovarti davanti a un essere umano. Con Hitler, ti viene paura: sai che non riuscirai mai a rivolgere la parola a quell’uomo, perché non c’è nessun uomo là sotto. Hitler non è un uomo, è qualcosa di collettivo. Non è un individuo, è una nazione intera”…

Hitler è la Germania, Mussolini è Cesare, differenza enorme di profilo storico oltre che di stile che l’austriaco non possedeva affatto. Sciamano il primo, capo villaggio il secondo, astratto contro concreto, androide l’uno passione sanguigna l’altro: una forbice ad angolo piatto. Pochi sanno o non ricordano che l’uomo di Dova di Predappio, oltre ad essere stato maestro in cattedra, sindacalista rivoluzionario, giornalista, Direttore dell’Avanti!, irredentista, bersagliere ferito in guerra, ecc… con un corollario di interessi sportivi e culturali coltivati in prima persona (suonava il violino ad es.), parlava tedesco e un pochettino l’inglese meglio di Renzi. Poi da buon romagnolo amava le donne eccome, antesignano della convivenza (sposò donna Rachele con rito civile solo nel 1915 dopo un lustro di concubinato). Hitler era stato solo un aspirante pittore bocciato agli esami d’ammissione all’Accademia di Belle Arti di Vienna, grande suo cruccio come racconta nel Mein Kampf.

Quegli anni ’30 segnavano il convinto consenso del popolo italiano alla politica del fascismo, è l’alba chiara di una nuova epoca: a.f. e d.f. segnata coi numeri romani. Cesare Ottaviano Augusto è un ex anarchico, ex socialista, neutralista poi interventista anarco-nazionalista, pietra di fondazione del movimento fascista nel ’19. Dal ’22 in poi l’Italia riconquisterà le tre cime di Lavaredo,  la testa della corsa nella storia, non solo europea, pedalando non da gregaria ma indossando la maglia della rivoluzione. Ci si prepara a ricostruire un Impero contro le plutocrazie finanziarie che governano l’immensa torta del colonialismo. l’Etiopia viene conquistata, il nostro Paese ha in pugno il corno d’Africa vitale anche per il controllo sul Mar Rosso e i traffici nel canale di Suez.

Roma è un immenso cantiere, già nel ’32 era stato inaugurato il Foro Mussolini progettato dall’arch. Enrico Del Debbio tra i cui partner c’è un giovane di gran talento Luigi Walter Moretti classe 1906 progettista della splendida casa delle Armi (poi Accademia della scherma) sul lato sud del complesso (oggi in degrado antifascista).

L’idea nel ’33 venne a Renato Ricci Presidente, dal ’26, dell’Opera Nazionale Balilla, spostare l’Arengario da Piazza Venezia alle pendici di monte Mario per una capienza calcolata in 500.000 persone, uno spazio immenso guardato dall’alto, alle pendici del Monte, da un colosso in bronzo di Ercole. Il mito italico di Eracle e Caco è fondante della civiltà romana in continuità con quella greca, al semidio era dedicato il primo tempio arcaico della nuova città di Romolo alle pendici del colle Palatino. Ma non sarà una statua anonima, volto e corporatura avranno i connotati di Benito Mussolini, personificazione del “Genio del fascismo”.  Altezza del colosso, escluso il basamento, 87 m, assai di più della massonica statua della libertà, donata agli States dalla Francia nel 1883, che misura 93 m compreso però l’alto piedistallo di 47 m; in pratica l’Ercole – Mussolini dell’Arengario sarebbe stato il doppio con un peso complessivo di 5000 tonnellate (!).

Immagine d’archivio presa dal sito apuorazionalismo

Un’opera gigantesca disse Ricci “da far impallidire il ricordo del leggendario Colosso di Rodi” quello dedicato al dio Helios, alto 32 m, una delle sette meraviglie del mondo.

Il progetto partì nel ’36 affidato, per l’architettura e i risvolti tecnici, al giovane arch. L. W.  Moretti, mentre la realizzazione della statua del gigante fu affidata allo scultore perugino Aroldo Bellini che aveva già operato nel Foro Mussolini, 13 sue statue erano nello Stadio dei Marmi. Alla costruzione del colosso furono chiamati a collaborare Ernesto Rossetti esperto di fusione in bronzo e Antonio Cocchioni, scultore romano, allievo di Pericle Fazzini e Luigi Bartolini. Si cominciò col “capoccione” poi si passò al piede sinistro, perché? Secondo il vecchio Canone di Policleto la testa è l’unità di misura del resto del corpo di cui rappresenta 1/8. Ma queste proporzioni erano poi cambiate nel tempo, non il fatto che il modulo dell’incipit fosse sempre la testa e guarda caso anche il piede. Probabilmente Bellini utilizzò la proporzione di 1/7, 12 m l’altezza del capo dà 84 m dell’intero corpo cui aggiungere il cappuccio del pallium imperiale. Così nacquero le prime due fusioni in bronzo: testa, piede.

Immagine d’archivio presa dal sito apuorazionalismo

Ma la conquista dell’Etiopia seguita dalle odiose sanzioni della Società delle Nazioni con conseguente autarchia, costrinsero gli attori dell’opera ad un rinvio per mancanza di fondi ma anche per opportunità politica visti i sacrifici che venivano richiesti al Paese. In conclusione non se ne fece più nulla, del progetto restarono solo alcune fotografie scattate da Alberto Cartoni fotografo dell’Opera Nazionale Balilla, se non erro un plastico e i disegni, schizzi, di Luigi Moretti conservati all’Archivio Centrale di Stato di Roma.  

Luigi W. Moretti era il nuovo che avanzava nell’architettura, almeno per Mussolini che lo considerava l’interprete più geniale dell’architettura fascista ormai spentasi sul binario morto del classicismo caldeggiato dall’onnipresente  M. Piacentini. Non era questione da poco. E’ l’architettura il testimone principe del potere politico, pensiamo all’Acropoli ateniese del dem Pericle, all’Anfiteatro dei Flavi (il Colosseo), al napoleonico Arc de Trionphe, ecc… agli imperatori s’addice la monumentalità cioè il ricordo. Il razionalismo di Terragni, Libera, Pagano aveva perso la battaglia, le arti volgevano decise verso il classicismo accademico più consono a celebrare il ritorno dell’Impero.

Il trentenne architetto, mentre schizzava nel ’36 il nuovo Arengario, lavorava anche alla palestra del Duce nel palazzo delle Terme del Foro mussoliniano. Una sala rettangolare accessibile da una splendida scala elicoidale, dall’interno spoglio arredato solo di attrezzature per la ginnastica, dove il Duce, avrebbe potuto “fare palestra” in perfetta solitudine, tirare di scherma, godersi un’abbronzatura artificiale. Il tutto venne inaugurato nel ’37 e resta un capolavoro poco conosciuto del percorso artistico di Moretti, l’Arengario invece rimase sulla carta, di solido c’erano appunto solo la testa ed un piede del colosso in seguito purtroppo fusi, null’altro.

Leggiamo l’iconografia della statua, per quel che possiamo, dai rarii documenti. Ha gambe divaricate a compasso, saldamente poggiate sull’alto piedistallo prismatico, si erge diritta fino alle braccia alzate verso il cielo, la sinistra forse nel saluto romano, il capo leonino volge al cielo lo sguardo, un lungo mantello scende giù dalle spalle fino al piedistallo, fa struttura di sostegno al colosso, è un  controvento. Una lorica riveste il busto della statua che non presenta armi a corredo come l’Augusto di Prima Porta al quale per significazione si ricollega. Come per la statua della libertà, i visitatori poi avrebbero potuto salire fino alla sua testa con un ascensore e da lì affacciarsi per una scenografica vista panoramica su Roma.

C’è da sorridere, pensate se il colosso fosse stata realizzato, Roma sarebbe tutt’oggi  dominata, nel suo skyline, da Mussolini, orrore, orrore per gli iconoclasti talebani della nouvelle vague antifascista.

Vespasiano fuse con disprezzo il colosso dell’odiato Nerone, un bronzo alto circa 35 metri, raffigurante l’augusto anziate in muliebre nudità con fattezze divine che certo non possedeva, è assai probabile che la stessa sorte sarebbe toccata al gigante dell’Arengario.

Ricostruzione del colosso di Nerone

Il progetto voleva essere anche, non solo, una testimonianza dell’Italia nuova che il fascismo stava costruendo, un omaggio ad un popolo che si credeva avesse ripreso la sua marcia nel contesto della Storia, quasi un simulacro della dea Patria che procedeva in alto guidata dal suo mentore, un ponte di continuità tra la Roma imperiale e quel presente. L’ultimo ricordo di colosso, rinvenuto in pezzi, è la statua di Costantino collocata nella Basilica di Massenzio (trasferita ai Musei Capitolini), in tutto era alta12 m quanto la sola testa del gigante dell’Arengario ma è l’unico frammentato Gulliver che ci è rimasto.

Emanuele Casalena

Bibliografia

Paolo Nicoloso in Mussolini architettoPropaganda e paesaggio urbano nell’Italia fascista –Einaudi-2011.

www.accademia.edu: Aroldo Bellini e il colosso di Roma.

ilcovo.mastertopforum.net-colosso-littorio.

Mario Ferrari, Luigi Moretti, casa delle armi nel foro Mussolini a Roma, 1933-1938, Ed. Ilios, 2014.

https://wsimag.com/it/cultura/12879-un-colosso-per-ogni-dittatore.Le disavventure artistiche di Aroldo Bellini.

 

 

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