13 Aprile 2024
Adriano Romualdi Gentile Punte di Freccia

Giovanni Gentile e dintorni…

                          di Mario M. Merlino
Da studente del liceo classico iscritto alla Giovane Italia, partecipai non soltanto alle manifestazioni e scioperi indetti sulla questione dell’italianità dell’Alto Adige ai primi attacchinaggi di manifesti e ai primi scontri. Se li ricordo – spesso le motivazioni mi appaiono oggi reperti archeologici -, è perché la giovinezza dello spirito abbisogna di essere puntellata dalla giovinezza della carne e, per mediazione, da quanto quest’ultima visse e si preserva nella memoria… Intorno agli anni ’80 s’è sviluppata una tendenza, alquanto cialtrona e arrogante, di raffigurare la nostra militanza come espressione bovina trinariciuta servile dove l’assenza di idee veniva compensata dal menar le mani. ( Frammento del filosofo Anassagora: ‘l’intelligenza sta nelle mani’, maldestro tentativo d’essere assolto? Forse o forse no…). Tendenza trasmessa ai successori che, armati di pochi libri ultimo modello del cellulare e tanta democratica ambizione, li abbiamo visti annaspare per un posto qualsiasi dove esprimere ‘lei non sa chi sono io!’… per poi cedere lesti la responsabilità e il primato della politica alle centrali internazionali del potere finanziario…

A costoro, padri figli e nipotini, vorrei ricordare Adriano Romualdi di cui ricorrono il prossimo anno i quarant’anni dalla sua tragica morte. Incastrato tra le lamiere dell’auto finita in un fosso sentì, a goccia a goccia, l’esistenza che si spengeva dissanguandosi fino al mattino successivo. Intellettuale organico, nel senso che distribuiva equamente la forza delle idee con l’esigenza dell’azione, presto dimenticato e a cui, al contrario, dobbiamo tanto. Penso fra l’altro al richiamo della montagna ove rinnovare il solstizio d’inverno che egli confrontava con il destino dell’Europa. Di quell’Europa la cui morte gli appariva nella battaglia di Berlino ma di cui era fermamente convinto l’inevitabile rinascita. A breve l’amico Rodolfo Sideri darà alle stampe la prima biografia ragionata delle sue opere.
Dicevo come non fossimo soltanto, non fossi intento a misurare le mie (modeste) forze nella realtà a scaldar cioè i muscoli (modesti), ma che ci facessimo carico di cercare degli ‘orientamenti’ a cui affidare il senso più autentico e duraturo della nostra identità e delle battaglie da intraprendere. E’ in questo contesto che Julius Evola si configurò – ed anche qui la mediazione di Adriano fu essenziale – quale ‘pensiero forte’ ed altro rispetto, ad esempio, alla filosofia di Giovanni Gentile e ai suoi interventi su La dottrina del Fascismo e sulle linee guida nel campo dell’educazione. Facemmo nostra la definizione che Evola dava a quest’ultimo di ‘una prosopopea fumosa e un insopportabile pedagogismo paternalistico’ (giudizio che trovo, ora, eccessivo e, forse, poco ponderato). Ci veniva risposto che ci affidavamo ad un pensiero incapacitante e che la lotta politica, affidata alle pagine di Cavalcare la tigre, avrebbe aperto un baratro pericoloso. Come in parte avvenne, ma di cui Evola consapevole, va detto, rilevò subito la distanza…
Su Giovanni Gentile ebbi modo di dovermene occupare, al di là del compito e ruolo che mi ero ritagliato di (esimio) prof. di filosofia, quando venni invitato all’università di Sassari nel cinquantenario del suo assassinio, 15 aprile 1944. La mia conferenza coincideva temporalmente con il dibattito apertosi dopo che Roberto Calasso, attento e fine curatore delle Edizioni Adelphi, aveva annunciato l’intento di ristampare l’opera di Benedetto Croce. Ricordo come alcuni commentatori, Massimo Cacciari fra i primi, rilevarono che sarebbe stato più opportuno riproporre Gentile perché costui, sì, aveva qualcosa ancora da dire nel presente. Che lo si voglia o meno riconoscere. Aggiungo il libro La sentenza di Antonio Canfora, grecista e stalinista, dove emerge che nella decisione di uccidere il filosofo avesse avuto un ruolo non secondario l’invidia e il rancore di tanti intellettuali, quali il latinista Concetto Marchesi che scrisse, anonimo, un articolo, vera sentenza di morte.
Chiudevo il mio intervento, prolisso e troppo appesantito da citazioni, con una affermazione di Gentile, che mi piace qui riproporre: ‘Chi abbia senso di responsabilità nel mondo, chi abbia il senso dell’iniziativa che gli spetta nella vita, di quello che egli può fare e di quello che effettivamente viene facendo, momento per momento, anche semplicemente pensando, sentendo, ricordando, prevedendo il suo avvenire e via via configurandosi il mondo in cui deve vivere, sente di essere veramente sempre più potentemente libero’…
A conclusione (mi accorgo che di contenuti poco o nulla ho fatto menzione) voglio ricordare due suoi scritti: La filosofia di Marx, in cui si abbozza la divergenza che diverrà poi insanabile contrasto con il Croce, e Genesi e struttura della società, scritto tra l’agosto e i primi di settembre del ’43 e pubblicato postumo nel ’46. Sono, io credo, le due opere che, in una ideale biblioteca, non possano essere escluse. In estrema sintesi, mentre Croce riteneva Marx utile nelle dinamiche della storia ma di nessun valore filosofico, Gentile afferma il contrario. Filosofia maturata da esigenze politiche e capace di conservare ‘alcune fra le più importanti idee dell’hegelismo’. E’ negli esiti il suo fallimento che, oggi, riconoscerlo è banale… In Genesi e struttura della società, una sorta di testamento spirituale, vi è tutto il Gentile sensibile alla storia, ai suoi accadimenti, all’obbligo di esserne coinvolto. Pochi mesi dopo, a Verona, il Fascismo estremo eretico e risorto, si sarebbe dato una dottrina sociale a superamento, tramite la socializzazione, delle pastoie del corporativismo. Così Gentile aveva avvertito il lavoro quale autentico valore umano ed espressione della sua esistenza sociale. L’Umanesimo del lavoro diviene il compito da attuare attraverso lo stato non più patrimonio borghese, figlio della rivoluzione francese.

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