13 Aprile 2024
Codreanu Guardia di Ferro Punte di Freccia

C.Z.Codreanu e dintorni…

di Mario M. Merlino



Il 26 di gennaio sarò nei pressi di Frosinone partecipe ad un convegno su Corneliu Zelea Codreanu e la Guardia di Ferro, organizzato da una realtà giovanile del territorio e con la significativa presenza della comunità romena. Alla parete, tra un Don Chisciotte disarcionato da cavallo, opera di un caro amico, e gli scudetti commemorativi del raduno dei reduci dell’Africakorps (Bundestreffen Mainz 1972 e 1978), ho appeso in gesso il volto di Vlad Tepes III, reso famoso dal romanzo di Brian Stokes e da innumerevoli film. Quel Draculea, cioè figlio di Dracul (il diavolo, soprannome del padre), noto come l’Impalatore (Tepes, appunto), nato in Valacchia nel 1431. Eroe contro il tentativo di dominio ottomano, così presente nell’immaginario collettivo del popolo romeno tanto che il grande poeta Mihai Eminescu, nel XIX secolo, poteva scrivere: ‘Dove sei Tepes, ora che abbiamo bisogno di te?’. E varrà la pena ricordare come, sotto la dittatura di Ceaucescu, il libro di Stokes fosse vietato, considerato offensivo verso uno dei miti fondanti l’identità nazionale.

Alcuni anni fa un avvocato di Avellino ha voluto regalarmi un quadretto con l’icona dell’Arcangelo Michele, proveniente direttamente dalla terra del Capitano. Jérome e Jean Tharand, due fratelli francesi, raccontano del loro incontro con Codreanu nel libro L’inviato dell’Arcangelo, anno 1939 e mai edito in Italia. Con malanimo e sarcasmo. Lo descrivono circondato alle pareti da riproduzioni di San Michele, una particolarmente grande alle sue spalle, le ali ripiegate sembrano aderire al Capitano, dandogli volutamente qualcosa di sacrale, di magico. Ed ancora: il tratto aquilino, gli occhi azzurri dallo sguardo gelido, la voce lenta e studiato il tono, quasi a ricercare le parole. Eppure, sono costretti ad ammetterlo, possiede un oscuro e sicuro carisma capace di rendere attorno a sé una comunità di ‘credenti e combattenti’, donando loro una visione mistica e guerriera. Per gli erede dell’Illuminismo e della Rivoluzione dell’89 tutto questo rimane incomprensibile e, dunque, meglio ripiegare sull’ironia, indagini sociologiche, risposte economiche.
Inoltre possiedo un flauto di canne che risale – quarant’anni e passa! – all’estate del 1969. Con Riccardo eravamo arrivati a Vienna, rigorosamente con l’autostop, io con un bagaglio minimo, Riccardo con uno zaino militare da spezzare le ossa. L’anno precedente eravamo andati insieme a Praga, la Praga della primavera, e avevamo visto i carri armati del Patto di Varsavia offendere gli antichi splendori di piazza San Venceslao, le ragazze dalle minigonne e giovani con i capelli lunghi piangere ed inveire. Nel primo anniversario, ci siamo detti, si torna e, se c’è da far le barricate, non possiamo certo mancare… Al consolato, però, niente visto a giornalisti e studenti. E, siccome tornare in Italia sconfitti e delusi non se ne parla, un treno fino ad Arad e il resto della Romania con il pollice levato. Ultimo mio viaggio a cielo aperto, poi infiniti percorsi sulle ali del sogno ad occhi aperti e a confine sbarre e chiavistelli.
Alla guerra civile di Spagna, sul fronte nazionalista, parteciparono una dozzina di giovani romeni della Guardia di Ferro. Due di loro, Ian Motza e Marin, caddero in battaglia. In Spagna una stele ne ricorda il sacrificio, un tempo luogo di annuali commemorazioni, oggi probabilmente deserta e dismessa. I loro corpi furono riportati in patria. L’11 febbraio del 1937 fu l’occasione della più imponente manifestazione realizzata dal movimento legionario. Dietro il feretro Corneliu Zelea Codreanu, il Capitano, con indosso un impermeabile fino alle caviglie, alla moda hitleriana, seguito dai suoi indossanti la camicia verde. A passo lento e cadenzato per le vie di Bucarest, ai lati e alle finestre oltre duecentomila persone, salutando con il braccio levato. Al corteo quattrocento tra vescovi e sacerdoti, alti funzionari dello Stato e ufficiali in uniforme, i rappresentanti delle ambasciate d’Italia e di Germania, studenti con l’abito tradizionale e icone e bandiere. Quella ritualità, religione di massa e immanente nelle forme, di cui i movimenti ‘fascisti’ intesero la suggestione il richiamo il far corpo unico, ma che voleva essere anche il cammino dello spirito della rivoluzione delle idee della trascendenza dell’uomo nuovo e rigenerato.
Riccardo ed io siamo fortunati. Dopo una notte in sala d’attesa della stazione, impossibile dormire, poltrone rigide sdrucite sporche puzzo di sudore e cipolla, sul marciapiede contadini e zingari sono stesi a terra o fumano bevendo un liquore giallo e dolce che non possiamo rifiutare sebbene siamo a stomaco vuoto. Dei ragazzi su un furgone targato Bologna ci danno un passaggio, la mattina dopo, fino a Bucarest. Alloggiamo all’università. In giro molti portano la spilla con il faccione sornione di Mao, a cui il regime romeno guarda per tentare di spezzare i vincoli troppo stretti con l’Unione Sovietica. Non è difficile. I romeni si sentono un’isola di latinità circondata dal mare slavo. Il regime, con il popolo ridotto alla fame alla borsa nera a ogni possibile traffico, gioca la carta del nazionalismo. Quale patina di fango s’è raggrumata sull’ideale di Codreanu e  sul suo sogno di rigenerazione, attraverso la romanità,  della razza dalle contaminazioni slave e giudaiche?
Alle elezioni del ’37 la Guardia di Ferro supera il 16% ottenendo così una brillante affermazione. Una minaccia. Incarcerato per un articolo contro il governo, Codreanu viene condannato dalla corte marziale a dieci anni di lavori forzati nelle miniere di sale. Equivale a una condanna a morte, essendo egli affetto da tubercolosi. L’esecuzione va, però, affrettata. Nella notte tra il 29 e 30 novembre ’38, insieme a diciasset
te legionari, viene prelevato dalla prigione con il pretesto del trasferimento in altro carcere. Lungo una foresta saranno tutti ammazzati, corrosi i corpi con l’acido. La moglie lo riconoscerà dalla fede che portava al dito.
Ricorda Julius Evola di quando aveva incontrato Codreanu durante un suo viaggio in Romania. Una visita inaspettata il giorno stesso che egli aveva interrotto il digiuno di cui era solito sottoporsi quale atto di purificazione. Nonostante che la moglie gli avesse fatto presente come in casa vi erano solo dei fagiolini, egli aveva voluto invitarlo lo stesso a pranzo quale atto d’ospitalità. Beh, di questo tipo umano, di combattente dello spirito, parlerò il 26 prossimo. Di questi uomini che non ci hanno dato l’Europa che sognavano e di cui preserviamo inguaribile nostalgia. Ci hanno, però, donato l’essere testimoni che d’altro e di più alto può essere l’uomo, magari in piedi fra le rovine.

2 Comments

  • Carlo Tominetti 18 Gennaio 2013

    Anche per me pagano Codreano è forse la figura più ‘splendente’ del ‘nostro’ mondo.
    (Spero che Ereticamente ci presenti gli ‘atti’ del convegno del 26 p.v.)

  • Carlo Tominetti 18 Gennaio 2013

    Anche per me pagano Codreano è forse la figura più ‘splendente’ del ‘nostro’ mondo.
    (Spero che Ereticamente ci presenti gli ‘atti’ del convegno del 26 p.v.)

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