14 Aprile 2024
Controstoria Parma Storia

“BARRICATE” A PARMA: mito e realtà (prima parte)

di Giacinto Reale
Alcuni episodi nella Storia, per una serie di motivi spesso insondabili, assumono il valore di “mito”, che a poco a poco, ne trasfigura i veri connotati, per renderli più aderenti ad una dimensioneinconsciamente vicina al favolistico: è il caso della “battaglia di Parma”, all’inizio dell’agosto del 1922…
Il 30 luglio del 1922, il giornale “Il Lavoro” di Genova anticipa la notizia che la neo costituita organizzazione sindacale “Alleanza del lavoro” proclamerà, dalla mezzanotte del giorno successivo, lo sciopero generale, in un estremo tentativo di fermare il fascismo. (1)
È troppo tardi, come poi sarà riconosciuto da tutti gli storici, ed è un’iniziativa destinata ad avere effetto contrario, come scriverà, il 12 agosto “La Giustizia”, organo dei socialisti riformisti:
“Bisogna avere il coraggio di confessarlo: lo sciopero generale proclamato e ordinato dalla “Alleanza del Lavoro” è stato la nostra Caporetto. Usciamo da questa prova clamorosamente battuti” (2)
I fascisti non perdono tempo, e lo stesso 31 luglio, il Segretario Generale del PNF, Michele Bianchi dirama la prima circolare “segretissima, da leggere e distruggere”, con la quale dispone la mobilitazione di tutte le forze, e dà 48 ore di tempo per la cessazione dell’agitazione, trascorse le quali le squadre passeranno all’azione, secondo disposizioni che vengono già dettagliate.
In effetti, incidenti avvengono a partire dal primo agosto in varie città, soprattutto per il tentativo fascista di assicurare la circolazione dei mezzi pubblici, mentre l’adesione è inferiore al previsto, tanto che la stessa Alleanza del lavoro nel pomeriggio del 2 annuncia la cessazione dello sciopero che, nel proclama iniziale doveva essere “ad oltranza”.
Un fiasco colossale, determinato anche in gran parte dalla ignavia dei dirigenti sovversivi, come denuncia impietosamente lo stesso Mussolini sul Popolo d’Italia del 2 agosto:
“Lo sciopero odierno non ha senso, non ha giustificazione. Cosa si vuole, a cosa si mira con esso? Diamo la parola ai socialisti. Ma i socialisti sono assenti o non parlano. Gli organizzatori scappano (vigliacchi !) – I segretari amministrativi scappano (vigliacchi e furbi !) – i Deputati (oh, i Deputati !) si chiudono a Montecitorio e bivaccano lì, e fifano lì” (3)
Sembra tutto finito, ma la smobilitazione delle squadre, come se niente fosse avvenuto, non è facile: quel che resta di  Camere del Lavoro,  sedi di Partito, uffici sindacali viene dato alle fiamme un po’ dappertutto, mentre a Milano, con l’occupazione di Palazzo Marino, sede del Comune, e il discorso dal balcone di D’Annunzio, si celebra l’apoteosi delle giornate che molti sentono preinsurrezionali.
Mentre, però,  nel resto del Paese vanno esaurendosi i fuochi della reazione fascista, a Parma si accende la scintilla, con la messa in opera, nel pomeriggio del 2 agosto,  di sbarramenti stradali e rudimentali barricate sotto la guida di Guido Picelli, noto sovversivo e capo dei pochi “Arditi del Popolo” presenti in città.
La cosa inconsueta è che il tutto avviene sotto l’occhio indifferente delle Forze dell’Ordine, che, anzi,  hanno ricevuto l’ordine dal Prefetto di lasciar fare e non creare intralci.
È proprio questa improvvida decisione di trincerarsi a difesa nel popolare quartiere dell’Oltretorrente che provocherà gli avvenimenti successivi. Infatti, la mobilitazione fascista (che, tra l’altro, in città è abbastanza limitata numericamente) ha lo scopo preminente  di contrastare lo sciopero, comunque praticamente finito: l’apparizione di quelle barricate con uomini armati di presidio, prima che un’effettiva minaccia si sia concretizzata, sa di sfida e provocazione e – questo il giudizio anche dei vertici fascisti -, può costituire un pericoloso precedente.
A Parma, in verità, vi è una situazione piuttosto particolare, a partire dal fatto che la città, per quanto piccola, mostra tradizionalmente una vivacità politica di tutto rispetto ed orientata – dopo la sconfitta delle tendenze corridoniane, tradizionalmente forti in loco   a sinistra, con ben 4 Camere del lavoro e 4 giornali “sovversivi”.
Anche le autorità statali guardano benevolmente “a sinistra”: il Prefetto Palmieri, in partenza a febbraio del ’22 è stato salutato con rammarico dalla stampa antifascista, e il nuovo arrivato Fusco si dimostrerà  ben presto all’altezza del suo predecessore.
Il fascio, invece, che: “non aveva potuto avere grande sviluppo, anche per il contegno ostile della borghesia” (4) naviga in cattive acque, con i suoi maggiori esponenti sottoposti a minacce ed intimidazioni continue, tanto che uno dei più noti, il ventunenne Silvio Vaga, è costretto a lasciare la città e a trasferirsi in Liguria (dove continuerà, fino a morirne, la sua attività squadrista), per evitare inutili pericoli alla famiglia.(5)
È per questo che, quando compaiono le prime barricate (e solo allora), i pochi squadristi cittadini chiedono aiuto ai camerati di paesi e città vicini, limitandosi per il momento, con l’aiuto di alcune squadre giunte dalla provincia, ad occupare i campanili, per poter tenere dall’alto la situazione sotto controllo.
Mentre la truppa si schiera nelle immediate prossimitàdegli apprestamenti difensivi (realizzati, previo disselciamento delle strade, in gran parte con materiali di scuole e chiese, e dai quali sporgono minacciosi elmetti e moschetti), viene proibita la circolazione dei mezzi in città ed organizzato il blocco di tutte le vie di accesso.
Si tratta di misure che, nelle intenzioni del Prefetto Fusco, sono evidentemente destinate a contrastare solo l’operato fascista: mentre anarchici e social-comunisti rafforzano l’organizzazione difensiva “statica” nel quartiere dell’Oltretorrente, le squadre fasciste occupano il resto della città, dove, aggirando con vari escamotages il divieto, cominciano a confluire uomini da Cremona, Mantova, Piacenza  e zone limitrofe.
È un afflusso disordinato, che potrebbe dare origine a incidenti anche gravi e anche con le Forze dell’Ordine. Infatti, presto il Prefetto dovrà telegrafare a Roma che: “contegno fascisti che stanotte hanno sparato anche qualche colpo contro agenti Questura, si fa sempre più minaccioso” (6).
Se ne rende conto Mussolini che decide  l’immediata partenza per Parma (siamo al pomeriggio del 3 agosto) di Italo Balbo, forse in quel momento il più autorevole capo militare del fascismo.
Gli ordini dati a Balbo sono tassativi: evitare assolutamente spargimenti di sangue e conflitti con Carabinieri e Guardie Regie, trovare una soluzione alla vicenda che, di scarso rilievo di per sé, potrebbe però assumere dimensioni impreviste e configgenti, soprattutto, con la ritrovata armonia tra fascismo e classi medio borghesi (facili a nuovamente spaventarsi, per l’uso di una violenza che non abbia solo carattere “difensivo”), dopo il raffreddamento del primo semestre dell’anno.
E questa è la prima bugia solitamente accreditata sulla vicenda: Balbo non viene mandato a Parma per “mettere a ferro e fuoco la città”, ma piuttosto per ingabbiare le intemperanze squadriste e per trovare una soluzione in qualche modo “politica”
(fine prima parte)
NOTE
(1)       Per un inquadramento generale, vds: Renzo De Felice, “Mussolini il fascista, vol I, la conquista del potere 1921-1925”, Torino 1966, pagg 202-281
(2)       in: Angelo Tasca, “Nascita e avvento del fascismo”, Bari 1965, vol II, pag 355
(3)       (a cura di) Edoardo e Duilio “Opera omnia”, Firenze 1955, vol XVII, pag 176
(4)       Giorgio Alberto Chiurco, “Storia della rivoluzione fascista”, Firenze 1929, vol IV, pag 209
(5)       vds: Cesare Bocconi, “Pattuglia eroica, note sui martiri fascisti del parmense”, Parma 1931
(6)       in: Mario Palazzino, “Da Prefetto Parma a Gabinetto Ministro Interno”, Parma 2002, pag 70
nella foto: squadra d’azione fascista a Parma

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