Il trascendente, la causa intrinseca, il sistema aperto
La trascendenza. Quando vi si parla di “trascendente”, siete pregati di valutare il fenomeno in sé e non respingerlo a priori solo perché rimanderebbe al Dio che sta in alto nei cieli, la trascendenza è un fenomeno che è sempre attivo nella vita di tutti i giorni. Esempio: tu puoi impugnare il martello e usarlo perché lo trascendi, se il rapporto fosse invece di tipo immanente, tutte le volte che lo impugni, quello ti darebbe una martellata! Tu puoi elaborare un pensiero, formarti un concetto perché in te c’è un qualcosa di indefinibile che è di là dal tuo pensiero e dal tuo concetto, ed è pure di là dal tuo strumento conoscitivo, se così non fosse, non potresti elaborare o usare alcunché. Il rapporto esistente tra il muratore e l’edificio che ha costruito è trascendente, se invece fosse immanente, distruggendo l’edificio si dovrebbe danneggiare anche il muratore (immanenza = rapporto interdipendente tra creatore e creatura).
Materialismo, positivismo, razionalismo, umanismo e movimenti analoghi, negano per principio ciò che è “di là dei limiti di ogni conoscenza possibile” (il trascendente) perché sarebbe inconoscibile e quindi inesistente, ma si tratta di conclusioni derivate da un tipo di coscienza relativa alla condizione individuale, perciò lasciano il tempo che trovano; ciò che è “di là dei limiti di ogni conoscenza possibile” sarà sempre possibile conoscerlo per identità (non può essere conosciuto da una mente riflessiva, né mediante un’elaborazione intellettuale). Per il vocabolario Devoto-Oli il trascendente è “ciò che non è riconducibile alle determinazioni dell’esperienza, poiché sussiste indipendentemente dalla realtà, di cui è il presupposto”.
La trascendenza riguarda sempre l’essenza dell’essere e la valenza esistenziale e realizzativa e non l’aspetto formale esteriore. Tu come essere umano cosciente, trascendi la condizione esistenziale del martello e la sua valenza realizzativa, sei di là del martello (da non interpretare in senso spaziale), esisti indipendentemente dal martello di cui sei il presupposto. Ciò che trascende non è mai riducibile né riconducibile a ciò che è stato trasceso. Tu come essere umano non puoi essere ridotto né ricondotto al martello, ne deriva una fatale gerarchia, perché il rapporto trascendente è per sua stessa natura un rapporto gerarchico. I vari gradi gerarchici stanno tra loro in un rapporto trascendente e sono soggetti al “senso unico”, nel senso che la gerarchia è stabilita partendo dall’alto e scendendo verso il basso, il contrario è impossibile. È stato l’essere umano a concepire e porre in atto il martello, non si potrà mai vedere il contrario. È stato il muratore a porre in opera l’edificio, il contrario è impossibile. La direzione opposta al senso unico può essere risalita solamente in “essenza”, ma per l’elemento inferiore questo implica mollare la presa da ciò che è come creatura e identificarsi con il creatore e questo conferma il senso unico.
Trascendenza e gerarchia sono intimamente associate e questo significa che dove ci sarà l’una ci sarà anche l’altra, e entrambi questi fattori ne implicano un terzo: l’apertura verso l’alto. I vari gradi gerarchici e la possibilità di trascendere, in alto non possono tollerare alcun limite, la trascendenza e la catena gerarchica sono continue, fino a risolversi nell’Infinito stesso. È per questa apertura all’infinito che il trascendente è stato completamente eliminato da tutte le “equazioni” del culturismo moderno, non rendendosi conto che si tratta di limitazioni di possibilità superiori e quindi di un’autentica auto-castrazione.
“Re per diritto divino”, questo segnala l’apertura all’Infinito. Re, cioè grado gerarchico, che può essere legittimato soltanto da una apertura illimitata verso l’alto, da un filo che scende dall’alto, dall’Infinito, è ovvio che questo “alto” non deve essere inteso in senso spaziale, ma in senso realizzativo.
La logica del trascendente: “Io sono “anche questo” però non sono “soltanto questo”“ là dove l’immanente dice: “Io sono “soltanto questo”. Il trascendente è anche ciò che ha trasceso ma non è riducibile né riconducibile a questo, perché egli è anche “altro”, cioè possiede una valenza realizzativa intrinseca propria che non è rimandabile ad altro, nemmeno a ciò che ha proiettato o ha trasceso, ed è proprio questo “altro” che lo distingue dall’immanente, che invece è solamente ciò che pone in opera (che si tratti di soggetto o oggetto, idea astratta o forma concreta).
Una differenziazione qualitativa verticale è gerarchica, perciò è governata dalla trascendenza e soggetta a un senso unico, tutti fattori che l’immanentista non può tollerare, pena suicidare sé stesso. Gli immanentisti sono infastiditi dal fatto che ciò che trascende è autonomo e indipendente da ciò che ha trasceso, e accusano per questo i trascendentali di essere separativi, ma questo dimostra solamente la loro ignoranza a riguardo della natura dei fattori in gioco, perché se trascendere significa essere “anche questo ma non soltanto questo”, non può esserci alcuna separatività, è che costoro interpretano il trascendere in senso spaziale; in realtà è l’elemento inferiore che, chiudendosi in sé stesso, si isola e si separa da ciò che lo trascende.
Per quale motivo un leggero battito di ali di farfalla qui dovrebbe scatenare un uragano laggiù, solo per compiacere il concetto morboso e malsano che gli immanentisti hanno della unità? Un sistema dove questo si verificherebbe sarebbe in condizioni patologiche. Si potrebbe ribattere: “Non saranno certo i ragli degli asini a scardinare le stelle”, nel senso che nessuna manipolazione di un ordine di realtà inferiore potrà mai alterare un ordine di realtà gerarchicamente superiore. Nessuna manipolazione dell’edificio potrà mai ripercuotersi sulla natura dell’essenza del muratore.
L’unità immanentista basata sul “soltanto questo”, a ben vedere, esclude ogni possibilità di libero arbitrio, come è ben dimostrato dall’attuale Unione Europea, dove le singole Nazioni sono obbligate ad “assentire spontaneamente” alle direttive del potere centrale. Il singolo individuo è obbligato ad essere il tutto collettivo umano, secondo la formula immanentista del “soltanto questo”, che implica la rinuncia al diritto di primogenitura in cambio del classico piatto di lenticchie, perché questo obbligo implica la rinuncia al proprio principio spirituale, che trascende anche la semplice condizione umana.
Sistema aperto e sistema chiuso – Causa intrinseca e causa estrinseca
La trascendenza implica una apertura illimitata verso l’infinito perciò i sistemi a base trascendentale sono detti “aperti”, questo è di enorme importanza perché questa apertura è ciò che farà si che ogni cosa manifestata sia dotata di una “causa intrinseca”. Nel sistema aperto ogni cosa ha in sé la propria ragion d’essere o ragione sufficiente, che deriva dalla causa intrinseca, la quale a sua volta è indotta da quell’asse centrale aperto verso l’infinito in cui si muove la possibilità della trascendenza, asse che si potrebbe chiamare il “Sé” (che fa si che ogni cosa sia dotata del proprio sé). La causa intrinseca rende autonoma “in essenza” la cosa manifestata, che sarà interdipendente solamente “in manifestazione”. Il soggetto (ciò che si manifesta) è autonomo “in essenza”, mentre la sua azione (il manifestarsi) interdipende da altra azione di sé stesso o di altri. Nel senso che tu non puoi pretendere di manifestarti in un certo modo proibendo a chicchessia di fare altrettanto, il tuo manifestarti in quel certo modo interdipende, per quanto riguarda il manifestarsi, dalla possibilità di poter manifestarsi in qualsiasi altro modo (che sia tu o altri che lo facciano), però l’essenza di ciò che si manifesta rimane autonoma, perché dipende solamente dall’asse centrale dell’infinito. Quindi interdipendenti in manifestazione ma indipendenti in essenza, là dove la concezione immanentista mira a rovesciare tale formula, stabilendo un’interdipendenza in essenza (io sono maschio perché tu sei femmina – negazione della legge dell’essere), e una indipendenza in manifestazione (atomismo, individualismo, anarchismo). In realtà tale capovolgimento è solo accennato ma non è realmente possibile, è solamente una tendenza che finisce per dilaniare coloro che ne sono vittima.
Un sistema chiuso è appunto il tipico sistema immanentista dove manca quell’asse centrale aperto all’infinito, perciò manca anche la causa intrinseca, sostituita dalla causa estrinseca. Ogni cosa ha una causa che è al di fuori di sé e questa causa esterna finirà per coincidere col suo contrario. Invece di limitarsi a dire: “Il mio manifestarmi come maschio ha senso solamente se si manifesta anche la femmina” (interdipendenza in manifestazione), il dialettico immanentista dice: “la ragion d’essere del maschio sta nella femmina, che equivale a dire: “il mio essere maschio dipende dalla femmina” (interdipendenza in essenza). Noi vediamo che la causa di una cosa (la mascolinità) è posta al di fuori di sé e finirà per coincidere col suo opposto (la femminilità). La femmina sarebbe la causa del maschio che a sua volta sarebbe la causa della femmina. Da una simile impostazione ha avuto origine la strana credenza della dialettica idealista, secondo la quale, porre una determinazione equivale a isolarla dal tutto e concepirla come un assoluto, in tal caso quella determinazione coinciderà con la sua negazione. Questo sarebbe senz’altro vero solo se la determinazione posta, poniamo che sia “maschio”, avesse il suo contrario nella checca, e non nella femmina, che è invece l’opposto complementare che, come tale, non può negare il maschio. La distinzione tra opposto complementare e contrario dialettico è fondamentale, si spiegherà più avanti tale differenza, anche se si può già intuirla da quanto detto sopra. Concepire una determinazione (che è finita) come un assoluto, significa pretendere di completarla in sé stessa e con nient’altro che sé stessa dando così luogo alla coppia maschio-antimaschio, il quale antimaschio è la checca e non la femmina, che è invece l’opposto complementare del maschio e lo conferma. Sostenere che se non esistesse il male il bene non avrebbe senso e noi non saremmo liberi, questa è un’autentica assurdità. È come dire: “Sai perché sono libero? Sono libero perché posso darmi una mazzata sul piede e spararmi un colpo in testa”. Bravo, furbo, dopo che hai fatto una simile affermazione, sarai costretto a tenergli fede, nell’unico modo possibile, dandoti di tanto in tanto una mazzata sul piede e sparandoti un colpo in testa! Mai identificare la libertà in una possibilità negativa, noi siamo liberi perché abbiamo a disposizione un mare di possibilità, in questo mare c’è anche quella negativa che, tra l’altro, non è né necessaria né indispensabile.
Poi intervengono altre impostazioni assurde e prive di senso, sul tipo: “il bianco è la negazione del nero”, “il mio andare a Berlino è la negazione dell’andare a Roma” “la femminilità sarebbe la negazione assoluta della mascolinità”. Tutte assurdità, che sono la fatale conseguenza logica della causa estrinseca.