13 Aprile 2024
Controstoria Spengler

Alcuni spunti e riflessioni per una rilettura di Oswald Spengler

Da oltre quarant’anni l’amico e camerata Alfonso De Filippi, ligure di Arenzano (Genova), arricchisce con i suoi contributi sempre originali e stimolanti la scena culturale della destra tradizionale e identitaria in Italia. Collaboratore sin dai primi anni ’70 del Centro Studi Evoliani e poi delle riviste “Arthos”, “La Cittadella” e del “Centro Studi La Runa”, De Filippi ha saputo abbracciare con il proprio sguardo le problematiche relative all’origine e alla morfologia delle più antiche civiltà, stimolato in questo dai frequenti e numerosi viaggi e che lo hanno condotto nei luoghi più disparati dei cinque continenti.

Lo studio attento e competente di autori come il Conte De Gobineau, Vacher De Lapouge, Oswald Spengler, Evola e altri, hanno fatto maturare in lui una compiuta adesione a una visione storica incentrata sul problema della decadenza della stirpe europea e sull’accerchiamento di questa da parte delle popolazioni “di colore”. Una breve e incompleta bibliografia dei suoi scritti, rappresentati da articoli e saggi brevi, dà una sommaria idea della vastità e poliedricità degli interessi del De Filippi: “A proposito di un “mini-Spengler” italiano”, “Alla ricerca della Patria Artica” (1997), “Verso il crollo del mondo moderno?” (1998), “Caste e stirpi guerriere della Mesoamerica precolombiana”, “Gli Arii nell’Oceano Pacifico” (2000), ” “Razze a caste in India”, “”Werwolf”. Gli ultimi guerrieri del nazional-socialismo” (2002), “Il Celso anticristiano di Louis Rougier”, “Monoteismo e dintorni”, “Gerusalemme contro Roma” (2003); “”Romani” in Cina (loro malgrado)” (2004), “Fascismo e nazionalismo in Gran Bretagna dal 1914 alla nascita del National Front”, “Stirpe-nazione-impero. Appunti sul razzismo fascista”, “Francis Parker Yockey e il destino dell’Europa”.
Con questo scritto riguardante Oswald Spengler, Alfonso De Filippi inizia la sua collaborazione indipendente con il sito www.alicedemo.net/ereticamente.
Luca Cancelliere
 
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di Alfonso De Filippi

 

Se ben ricordiamo, nella prima metà del secolo scorso, un ormai obliato filosofo nonché “santone” dell’antifascismo liberale, avrebbe ritenuto di poter liquidare il messaggio de <Il Tramonto dell’Occidente> di Oswald Spengler con una qualche sorta di atto scaramantico partenopeo. Il lettore che, ai nostri giorni, volesse chiedersi se nel mondo si parli più di Oswald Spengler o di Benedetto Croce, crediamo non avrebbe dubbi nel darsi una risposta favorevole al filosofo tedesco.(1).
A dimostrazione che, ancor oggi, anzi soprattutto oggi, sia utile leggere e riflettere sulle opere dello Spengler (e non solo sulla più nota) vi è un bel libro edito negli USA nel 2001, ma, secondo chi scrive, reso ancor più interessante dagli avvenimenti successivi alla caduta delle Torri Gemelle ( considerando anche lo stato critico dell’economia mondiale negli ultimi anni). (3). Si tratta dell’ opera di John Farrenkopf <Prophet of Decline-Oswald Spengler on World History and Politics>(Lousiana University Press, USA,2001)(4)
Nel volume di cui non vogliamo dare qui un sunto, ma solo toccare alcuni punti che ci paiono particolarmente atti a suscitare le nostre riflessioni, dando per scontata nei lettori una conoscenza seppur a grandi linee del pensiero dello Spengler, troviamo innanzi tutto uno schizzo della biografia del filosofo e soprattutto della “evoluzione”del suo pensiero. Com’è noto, Oswald Spengler, che il grande Francis Parker Yockey ebbe a definire “il filosofo del XX secolo”, non riuscì mai a dare forma compiuta al suo pensiero in un’opera”definitiva”, in effetti, nelle sue opere cosiddette “minori”, posteriori alla principale, si possono trovare punti di vista diversi da quelli espressi ne <Il Tramonto dell’Occidente>. ad esempio riguardo al problema dell’impermeabilità delle varie civiltà rispetto ad influssi da parte di altre culture, la cui possibilità veniva praticamente ed ingiustamente negata ne <Il Tramonto…>
Possiamo ricordare, a codesto proposito, che nella sua prefazione ad <Anni Decisivi>Ed. del Borghese, Milano, 1973(pag. 9)Scriveva Julius Evola “Vi è una sensibile divergenza di visuali fra lo Spengler della sua opera più nota, il Tramonto dell’Occidente, e lo Spengler di Anni Decisivi. La prima opera ha uno sfondo deterministico in quanto la storia vi viene considerata nei termini di diversi cicli fissi, con strutture corrispondenti o almeno omologabili nelle varie civiltà, con processi necessari da cui ci si deve lasciar guidare o da cui si sarà trascinati: fata volentem ducunt, nolentem trahunt. Nel secondo libro il determinismo vien meno nel senso che è ammessa la possibilità di prender posizione, di reagire, soprattutto di fronte alla minacciosa realtà di due rivoluzioni mondiali: quella bianca e quella dei popoli di colore”.(5)
Su un piano più generale, come scriveva Piero Ottone in un libro ispirato al pensiero dello Spengler (<II Tramonto della nostra Civiltà>Mondadori, Milano, 1994) “E’significativo… che Spengler non abbia mai portato a termine la costruzione di un suo sistema” (pag. 50). Inoltre (pag. 55) “Lui stesso si rese conto, col tempo, di contraddizioni e di errori nella sua opera”(principale).
Come sarà noto ai lettori, meriti principali dello Spengler, rilevati anche dal Farrenkopf (e ancor prima da Julius Evola), sono quelli di aver limitato un ingiustificato eurocentrismo che dominava la storiografia europea e, soprattutto, di aver potentemente contribuito a minare quel “mito del progresso”che, per molti decenni, ha grandemente contribuito a quell’inarrestabile processo di rincoglionimento dei popoli europei che li ha portati sull’orlo dell’estinzione. Leggiamo a pag. 18 del libro del Farrenkopf “Spengler, forse più che ogni altro intellettuale della prima parte del XX secolo, contribuì a demolire quell’illusorio ottimismo e quell’idealizzazione dell’idea di progresso che erano i cardini dello Zeitgeist del XIX secolo”.
Un primo punto che prendiamo in esame è quello dei “maestri”e “precursori”del filosofo, il Farrenkop lo inserisce in una serie di “pessimisti” che comprende Vollgraff, Lasaulx, Burchardt e Brooks ed Henry Adams. Tra questi segnala particolarmente Karl Vollgraff ed Ernst von Lasaulx sui quali diamo qualche cenno basandosi soprattutto sull’indispensabile <La Dècadence>di Julien Freund (Sirey, Paris, 1984).
Karl Friedrich Vollgraff (1794/1863) fu professore di giurisprudenza a Marbur dove morì. Per lui i popoli e le civiltà sono degli organismi e quindi soggetti alle leggi che regolano la vita di tutti gli organismi. Anzi, come quella degli individui, la vita delle civiltà si svolgerebbe in quattro fasi: infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia, ed egli si dedicò soprattutto alle due ultime fasi in quanto riteneva che la civiltà occidentale fosse ormai pervenuta alla sua fase autunnale, credendo di poter giudicare il grado di decrepitezza dei vari popoli europei, in testa a tale classificazione vi sarebbe stata, grazie alla rivoluzione, la Francia. (6)
Per il Vollgraff la decadenza era sia fisiologica che morale, la storia della civiltà umana era la narrazione di un deperimento morale dell’’umanità, una discesa dall’alto verso il basso. Dopo aver raggiunta la maturazione piante, animali ed uomini si riproducono e poi muoiono. “E’ quando i popoli di rango superiore sono pervenuti al fiore dell’età che essi trasmettono i loro semi maturati a quelli di rango inferiore, così anche noi dopo deperiremo”. Come ricorda il Freund, per il Vollgraff tale legge vale anche all’interno dei vari popoli dato che la decadenza inizia nelle sfere superiori della popolazione per contaminare a poco a poco anche quelle inferiori.
Ora, prosegue il Freund, “Dato che gli altri popoli della terra hanno imparato a gustare i frutti della civiltà occidentale essi sono condannati a seguirne le sorti anche senza che abbiano raggiunto la propria maturità. al mondo non vi sono più civiltà in ascesa”. Emerge un tal modo, una concezione della fine della storia umana, di ciò non si dà una valutazione morale: la vecchiaia è una malattia invitabile, ma anche una necessità organica per cui non esiste cura. “Codesta malattia della vecchiaia è quella dell’egoismo, nel senso, che esso, come la vecchiaia, sacrifica i valori oggettivi della vita a quelli soggettivi dell’individuo. I sintomi di codesta malattia sono di tre sorte. Per primo vi è la perdita del senso religioso e del senso dell’umanità che ne deriva”. Gli uomini abbandonano gli Dei e gli Dei abbandonano gli uomini, la perdita del senso del divino comporta anche quella della fede negli altri. Secondo segnale è lo sviluppo della tecnica e del macchinismo che modificano sempre più il lavoro finendo per consegnare gli uomini a condizioni artificiose e, infine, alla fuga nelle droghe. “Così l’umanità perde le sue virtù creatrici nella letteratura, nella scienza e nell’arte per degradarsi in un pensiero Secondo segnale è lo sviluppo della tecnica e del macchinismo che modificano sempre più il lavoro finendo per consegnare gli uomini a condizioni artificiose e, infine, alla fuga nelle droghe. “Così l’umanità perde le sue virtù creatrici nella letteratura, nella scienza e nell’arte per degradarsi in un pensiero eccitante e ripetitivo. Segno di questo declino è la confusione del linguaggio, le parole perdono il loro senso preciso-Infine, il terso sintomo lo si vede nella crescente preponderanza del sistema parlamentare che apre la via al declino dello Stato, mentre la società civile è in procinto di essere asservita dal veleno burocratico che minaccia la libertà degli individui”.
Per il Volgraff, la decadenza dell’occidente si manifesterebbe nei suoi tempi nella lotta tra Germanici e Russi, questi ultimi potrebbero giungere a dominare l’Europa, ma ben presto, prevedeva, sarebbero stati infettati dallo stesso cancro che rodeva l’Europa. Unica speranza di una estrema resistenza la si sarebbe trovata nell’Inghilterra se questa fosse riuscita a rimanere fedele alle sue strutture aristocratiche”. Ma(pag. 139) “Il declino dell’Occidente costituirebbe la <fine>del mondo. (in fondo, leggendo il Vollgraff verrebbe da pensare che non si trovi nella storia mondiale che una sola civiltà appunto quella definita “occidentale”, nata nel Medio Oriente e poi sviluppatasi in Grecia e a Roma e, in seguito, in tutta l’Europa che, però, ha ormai raggiunto la vecchiaia ed è prossima a decomporsi”. Il Vollgraff: giunse a chiedersi: “Che cosa è l’attuale umanità?”e si rispose “un colossale campo di rovine”. Tutto il pianeta, per lui, era ormai entrato nella fase ultima quella della vecchiaia.
Concezioni simili ebbe anche Peter Ernst von Lasaulx (1805-1861), costui fu professore di Filosofia ed Estetica all’Università di Monaco, eletto nel 1848 all’assemblea nazionale di Francoforte si schierò con i conservatori. Anche lui fece sua la concezione organicistica propria del romanticismo germanico e paragonò le fasi della storia a quelle della vita degli individui, anche per lui la civiltà occidentale era ormai giunta alla sua vecchiaia. Parlando nel Novembre 1848 al Landtag della Baviera ebbe ad affermare che i popoli erano mortali al pari degli individui e che forse non rimaneva che preparare loro una bella tomba. Egli non condivideva l’idea del Vollgraff di una prossima morte della civiltà che non permetteva di nutrire alcuna speranza di una eventuale rinascita. Scrive il Freund (pag. 140), “Crede anch’egli che il declino delle civiltà risponda ad una legge di natura che regolerebbe la vita dalla nascita alla morte in un senso che richiamo ciò che diceva Plotino (che egli citava) riguardo all’anima individuale che è parte di quella universale del mondo, destinata ad una continuità nell’eternità, Continuità che egli così spiegava: “Dove un periodo culturale declina, un altro sorge sulle sue rovine.”Pertanto egli ammetteva una certa continuità tra le varie fasi della storia, soprattutto sul piano religioso. Continua il Freund, sunteggiando le concezioni del von Lasaulx (ibidem) “Una civiltà può cadere nella decadenza, ma può anche rivivere in seguito grazie ad una sorta di restaurazione che si attua in una civiltà posteriore, come la Rinascenza ha fatto rivivere il Mondo Antico… Ogni civiltà ripete lo stesso ciclo dall’infanzia fino alla vecchiaia, ma arricchendo ogni volta l’apporto ereditato dalle precedenti: Questo è il fondamento della continuità tra le civiltà. A quelle decadenti succedono delle civiltà in ascesa che cadono poi anche loro in decadenza e così di seguito. Egli spiegava sul piano metafisico codesto processo rimarcando che la vita è infinita ed eterna, ma che essa comporta ciò nondimeno, delle fasi temporali concluse dalla morte(Freund cit 140-141). “Per il Lasaulx, comunque, il succedersi delle civiltà non significa che l’una ripeta la precedente. Il ripetersi è solo nel quadro delle età di ogni ciclo organico, in quanto ogni civiltà porta…. un suo contributo originale” (ibidem) Tra le varie civiltà vi è dunque quella che potremmo definire “analogia”. Secondo codesta “analogia”, la civiltà occidentale è minacciata da un processo di decadenza analogo ha quello che ha colpito l’Impero Romano. Per lui gli Slavi saranno gli eredi della civiltà occidentale nel quadro di una propria visione del cristianesimo, religione che secondo il Lasaulx dovrebbe sopravvivere alla fine della nostra civiltà. In seguito egli rivolse le sue speranze verso il Nord America. In complesso si può dire che per il Lasaulx, a differenza del Vollgraff, la fine della civiltà occidentale non significherebbe la fine della storia umana, ed è proprio la sua concezione ciclica che si oppone ad una conclusione di totale pessimismo: la Storia é una tragedia ma è pur sempre ricca di sorprese.
Da parte sua, lo Spengler, com’è noto ebbe a scrivere (Cfr <Il Tramonto dell’Occidente>Longanesi .Milano 1957 pagg. 29 e 30)di dovere molto al Goethe e al Nietzsche: “A Goethe devo il metodo, a Nietzsche il modo di impostare i problemi-e se dovessi condensare in una formula il mio rapporto col secondo direi: dai suoi sprazzi di luce ho tratto una visione d’insieme”. Possiamo trarre dalle pagine del Farrenkopf alcune considerazioni sui rapporti tra l’autore del <Tramonto dell’Occidente> e quello del <Così Parlò Zarathustra>.
A pag. 89 del libro del Farrenkopf leggiamo “L’intenso studio di Nietzsche gli fornì (a Spengler) molte munizioni intellettuali per l’attacco all’idea di progresso.”Rendendo omaggio a Nietzsche nelle prime righe del <Tramonto>(pag. 93 e segg) Spengler dichiarava di “aver portato il pensiero di Nietzsche ad un più alto livello grazie al proprio culto della conoscenza storica, in contrasto al fatto che Nietzsche avesse messo in guardia contro quella che definiva la <malattia della storia>. Inoltre Nietzsche aveva nutrito una bassa opinione di ogni tentativo di giungere ad una formulazione sistematica del pensiero filosofico, e non aveva mai formulato sistematicamente la propria filosofia. Disapprovando il rifiuto del Nietzsche di giungere ad una tale sistematizzazione e la sua scarsa considerazione nei riguardi dello studio della storia, Spengler pensava di aver posto rimedio a queste ed altri punti deboli della filosofia di Nietzsche.
Spengler era animato dallo stessa potente urgenza di scrivere <per il futuro> e di fare filosofia <con il martello>che aveva ispirato Nietzsche. Egli nutriva l’ambizioso disegno di sistematizzare in forma di filosofia della storia mondiale l’embrionale diagnosi della crisi del moderno Occidente tracciata da Nietzsche) inoltre il<Tramonto dell’Occidente> è un tentativo di realizzare il proposito di Nietzsche, annunciato nelle prime pagine de <La Volontà di Potenza>(7), di scrivere <la storia dei prossimi due secoli>. Il <Tramonto dell’Occidente>incorpora alcuni temi fondamentali di Nietzsche: il relativismo epistemologico, la distinzione tra civiltà e civilizzazione, il tema della decadenza, la trasmutazione di tutti i valori, la volontà di potenza, il culto dei grandi uomini, l’amor fati, l’avere visto il XX secolo come un’epoca di conflitti per il dominio del mondo”
Sia Martin Heidegger che Thomas Mann vollero vedere nello Spengler solo un imitatore del Nietzsche, anzi il secondo giunse a definirlo “la scimmia astuta di Nietzsche”, tuttavia come nota il Farrenkopf lo Spengler si distanzia in vari punti dall’autore dello Zarathustra. Leggiamo a pag. 95 “In primo luogo, in netto contrasto con Nietzsche, l’atteggiamento di Spengler verso il cristianesimo rimane ambiguo. Pur rigettando la pretesa del cristianesimo di essere “verità assoluta”, Spengler, ciò nondimeno, lo rispettava come una delle espressioni fondamentali della cultura occidentale(8)
In secondo luogo, mentre Nietzsche espresse una netta opposizione allo Stato, Spengler vedeva, invece, come la più alta responsabilità etica dell’uomo fosse quella di servire nel modo migliore lo Stato nella terribile arena delle politiche di potenza. Terzo, in netto contrasto con Nietzsche che esaltava la forza della volontà umana, Spengler considerava che l’individuo fosse soggetto alle imperiose mosse di forze storiche a lui trascendenti. Inoltre, lo Spengler rifiutava, come utopistico, il concetto, centrale nel Nietzsche, dell’Ubermensch sia quello dell’<eterno ritorno> e riteneva ristretto il “cosmos” storico in cui il filosofo della volontà di potenza si era mosso, indubbiamente meno ampio di quello da lui stesso esposto nel <Tramonto dell’Occidente>.
Ma ora ritorniamo al pensiero dello Spengler come viene esposto dal Farrenkopf. Che la civilizzazione occidentale liberal democratica, capitalista e giudeo-cristiana sia in profonda, irreversibile, crisi ben pochi ormai lo potrebbero negare, ciò nonostante essa si sia estesa a tutto il pianeta(9) sebbene un pluralismo di civiltà abbia caratterizzato la storia mondiale, l’epoca moderna ha alquanto attenuato tale costante caratteristica”(pag. 43). In effetti, vi sono due aspetti da considerare che vanno oltre la visuale del <Tramonto>: la civilizzazione occidentale si è inesorabilmente diffusa in tutto il mondo e, soprattutto, i ritmi degli avvenimenti di questi anni più recenti hanno assunto una velocità che il filosofo, almeno in un primo tempo, non aveva potuto immaginare.
Come si sa lo Spengler, basandosi sull’esame delle civiltà del passato, aveva previsto una ultima fase “imperiale” di quella occidentale. A lungo, ottimisticamente, aveva sperato che sarebbe stata la Germania, per lui l’ “ultima nazione dell’Occidente” ad edificare codesto impero e che la Prussia sarebbe stata la Roma della civiltà faustiana occidentale. I due giganteschi sforzi compiuti in questo senso dalla Germania nelle guerre mondiali fallirono e, com’è a tutti noto, si conclusero nel rogo di Berlino della primavera del 1945.
(10). Qui il Farrenkopf non ha dubbi e può scrivere (pag. 162) “Io sostengo l’idea che la Pax Americana, che gli Stati Uniti hanno instaurato nel 1945, sia l’imperium Mundi faustiano previsto da Spengler” In effetti, nota giustamente il nostro, lo Spengler, salvo alcuni cenni specialmente nelle ultime opere, ebbe sempre a sottovalutare le potenzialità degli Stati Uniti, purtroppo, in Europa, egli non fu il solo a commettere tale fatale errore!Anzi, pag. 163 “L’Occidente, creatore e perfezionatore di una civilizzazione che ha dominato politicamente, culturalmente e tecnologicamente il globo, fin dall’Età delle grandi Scoperte, ha raggiunto con l’Imperium Americanum la sua forma finale a livello mondiale.Lo sbalorditivo collasso dell’Unione Sovietica nel 1991non ha creato, ma ha accentuato la supremazia dell’impero universale americano per il prossimo futuro.” A pag. 164 leggiamo: “…riflettendo oggi su <Il Tramonto dell’Occidente> non ci si può non meravigliare di quanto profetico sia stato tale libro riguardo alla crisi della civilizzazione occidentale. La Prima Guerra Mondiale fu lo spartiacque che sdegnò il declino della supremazia politica e culturale dell’ Europa preannunziando il dominio politico e di civilizzazione del potere americano,il “secolo americano”, che raggiunse la sua piena espressione con la vittoria degli USA nella Seconda Guerra Mondiale. Osservando a volo d’aquila lo svolgersi della storia nel secolo XX, si può plausibilmente sostenere che gli Stati Uniti riuscirono a forgiare nel 1945 un imperium mundi – Con il <castigo> inflitto sul piano militare e su quello politico alla Germania e al Giappone, la massiccia mobilitazione attuata durante il conflitto, e il monopolio in campo nucleare, gli USA assunsero una supremazia globale economica, politica e militare indiscutibile. Inoltre la supremazia americana fu confermata dal trionfo nella Guerra Fredda”.
Ma dalla stessa filosofia dello Spengler emergerebbero elementi che farebbero pensare (sperare) che tutto ciò possa essere transitorio, infatti l’<accelerazione dei tempi> e molti fattori inducono il nostro a ritenere che l’imperium mundi statunitense avrà una vita molto più breve di quello romano. “…il declino del potere egemonico americano è inevitabile e il tramonto incomincia a stendere le sue ombre sulla Pax Americana. Questo ordine neo imperiale americano mostrerà nel XXI secolo di essere un fenomeno transitorio. Nella sua patria i sintomi di una decadenza sociale sono già evidenti nel crollo delle strutture familiari, nelle crescenti patologie sociali, nella diffusione del pacifismo e negli eccessi sfrenati di una cultura sensualistica” A tutto ciò si aggiungono i problemi economici che noi abbiamo potuto vedere aggravarsi negli ultimi anni Tutto ciò farebbe pensare che “L’erosione della capacità americana di esercitare una leadership negli affari questioni mondiali e gestire un ordine mondiale è solo una questione di tempo. La fragile Pax Americana non avrà l’impressionante capacità di durata della Pax Romana”(pag. 165)
Tra i fattori di decadenza degli USA il Farrenkopf elenca giustamente anche la crescente “ diversificazione etnica senza precedenti”
In effetti si prevede che entro il 2050 i “bianchi”(o perlomeno coloro che passano per tali)saranno negli USA una minoranza.(11).
In ogni caso le cronache politiche, sociali, economiche ed anche militare di questi giorni non mancano di dare l’impressione che il declino degli Stati uniti d’America sia ormai iniziato.
In tutto questo ci sarebbe per noi “buoni europei” di che rallegrarsi, se non che al di là del tramonto di quella che venne definita la “Nuova Cartagine d’oltreoceano” si erge sempre più minacciosa la possibilità di un’egemonia mondiale cinese: il trionfo finale e totale non solo delle “rivolta mondiale delle razze di colore”, ma anche di quel “pericolo giallo”che venne già, a suo tempo, denunciato anche dal Kaiser Guglielmo II, e meraviglia trovare, nel “campo nazionale”chi giunge ad auspicare tale sviluppo in odio al sistema di potere sionista americano, per chi scrive sarebbe solo un cadere dalla padella nella brace.
Ma ciò porta ad un altro problema riguardo alla filosofia dello Spengler, già ne <Il Tramonto…> questi aveva parlato di popoli “fellaheen”(Farrenkopf pag. 63) “già creatori di magnifiche civiltà ora senescenti”. Codesti popoli fellaheen, tra i quali, per il filosofo, sarebbero stati da annoverare indiani, cinesi ed egiziani, sarebbero condannati ad una perdurante situazione di debolezza nel campo della politica mondiale. Commenta il Farrenkopf (pag. 63) “Codesta argomentazione della senilità riguardo alla potenza politica dei popoli<fellaheen> è alquanto problematica. Da una parte, essa riflette…  il fatto che dei popoli creatori di antiche civiltà siano stati spesso privi di potere nelle relazioni tra gli stati in fasi successive della loro storia. Dall’altra, alcuni di essi, nel XX secolo, paiono aver acquisito una nuova giovinezza grazie al nazionalismo e hanno raccolto le loro energie creatrici in reazione all’imperialismo occidentale. Così Spengler ha probabilmente sottostimato le capacità di alcuni popoli già ridotti al rango di <fellaheen> a ricostituirsi come protagonisti di primo piano nel campo della politica internazionale nella seconda metà del XX secolo ed oltre.”(12).
Noi potremmo notare che nell’attuale dinamismo politico, economico e demografico di Indiani Cinesi etc ci pare ben poco sopravviva delle antiche culture di quei popoli e che quel poco si stia rapidamente disintegrando.
Da parte sua il Farrenkopf scrive (pag. 259) “Le riflessioni sul futuro potere politico della Cina e dell’India mostrano quanto sia problematica la concezione spengleriana dei popoli <fellaheen>. Egli prevedeva che la Cina e l’India si sarebbero liberate dal colonialismo occidentale. Ma d’altra parte, riteneva popoli non – occidentali quali gli Indiani e i Cinesi, che avevano creato grandi civiltà ed erano poi decaduti nell’ abietta condizione di rimanere per secoli soggetti ad altri, incapaci di risorgere. Egli riteneva che essi non potessero sviluppare le forze interiori capaci di ricostruirli come potenti fattori autonomi nella storia mondiale” Codesti popoli per il filosofo tedesco sarebbero rimasti per sempre incapaci di tornare a svolgere un ruolo indipendente nell’ambito delle grandi potenze.
Tuttavia, continua il Farrenkopf “Considerando brevemente il caso della Cina, sarebbe imprudente liquidare il giudizio dello Spengler, riferendolo all’epoca in cui venne formulato, come una pura idiozia. Non si dovrebbe, infatti, dimenticare che se gli Stati Uniti non avessero liberato l’Asia Orientale dal militarismo nipponico durante la Seconda Guerra Mondiale, la Cina continentale avrebbe ancora le sue più importanti città sotto il dominio straniero con la Manciuria persa definitivamente a favore del Giappone”.
Il Farrenkopf accenna alle nubi che paiono iniziare a gravare sull’economia. Noi ci chiediamo che cosa potrebbe accadere in tale gigantesco paese qualora si allentasse la “mano di ferro” con cui il Partito Comunista continua a guidarlo (certo non secondo i principi del marxismo leninismo ormai relegati nelle cantine di qualche museo).
Peraltro l’esaminare il pensiero dello Spengler nel suo sviluppo, specialmente riguardo alle sue ultime opere, ci porta a riflessioni se possibili ancora più inquietanti di quelle, già di per se stesse paurose riguardo ad una possibile egemonia mondiale cinese con il relativo dilagare nel mondo delle masse dei discendenti dei sudditi del defunto <Celeste Impero>. Se nelle polemiche seguite alla pubblicazione del <Tramonto…> il filosofo aveva respinto l’accusa di pessimismo che gli venne da più parti rivolta, tale difesa gli sarebbe diventata sempre più difficile con il passare degli anni. Se nella sua opera principale aveva visto la Russia come la creatrice della civiltà destinata a succedere a quella “faustiana –occidentale>, aveva poi dovuto considerare l’Unione Sovietica come punta di lancia della rivolta delle razze di colore, anticipando in ciò alcuni aspetti della <Guerra Fredda>, infine parve essere giunto a considerare quella occidentale come “l’ultima dclle civiltà”.
Scrive il Farrenkopf (pag. 215) che se nella storiografia occidentale l’idea che la tragedia sia una parte dell’esperienza storica è alquanto diffusa “Spengler è il primo pensatore a proporre la provocante tesi secondo cui l’intera esperienza storica dell’umanità formi una tragedia di proporzioni catastrofiche.In un’epoca di potenziale apocalisse, sarebbe imprudente rigettare sbrigativamente tale concezione solo perché ci turba e sconvolge.”Nei suoi ultimi scritti appare l’idea che quella occidentale possa essere “forse quella finale”della storia mondiale.(pag. 221).
E a pag. 202 “Fondamentale per ogni filosofia della storia è la concezione del tempo storico; quella di Spengler cambiò radicalmente- Nel <Tramonto dell’Occidente> egli raffigurò la storia mondiale come virtualmente eterna. Le civiltà sorgevano e declinavano nell’ambito di una grandiosa processione apparentemente senza fine. Poi egli, invece, guardò al tempo storico come se sembrasse raggiungere la sua fine dato che terribili crisi sovrastavano il mondo moderno.”.
Il filosofo sarebbe giunto a codesta conclusione, anticipando argomentazioni divenute oggi di tragica attualità, anche prevedendo gli effetti dell’azione umana sull’ambiente naturale. Leggiamo a pag. 201 di <Prophet of Decline>: “Nell’ultima fase della sua vita Spengler prese ad interessarsi ai problemi dell’ambiente naturale e alle reciproche relazioni tra questo e l’umanità. La seconda fase della sua filosofia della storia ci  fornisce una utile base per osservare la crisi ecologica globale, un fenomeno del quale il visionario pensatore merita di essere riconosciuto un profeta. Spengler, che considerava la moderna civilizzazione occidentale come particolarmente dinamica, espansiva e volt a trasformare l’ambiente, non aveva già ignorato il problema del suo impatto con l’ecosistema già ne <Il Tramonto dell’Occidente>. Nelle sue pagine finali egli sosteneva che la civilizzazione moderna stava esaurendo le risorse del pianeta e avrebbe lasciato, dopo il suo declino, il volto del globo irrimediabilmente alterato per sempre.”. Egli considerava che nulla avrebbe potuto impedire alla civilizzazione occidentale di condurre una vera e propria guerra all’ambiente fino alle estreme conclusioni.
Così “Per Spengler, nelle sue ultime opere, la storia umana diventa il racconto del tragico, e in ultima istanza disastroso, tentativo dell’uomo di avere il sopravvento sul mondo naturale”.(pag. 203). E’la tragedia che si sta svolgendo sotto i nostri occhi “Le conclusioni dello Spengler hanno una duplice valenza. In primo luogo, egli avvertì la gravità della minaccia all’ambiente da parte dell’industrializzazione. In secondo luogo, intuì la centralità della lotta tra l’uomo e la natura in tutta la storia mondiale e non solo in quella della civilizzazione occidentale moderna in cui codesta lotta ha raggiunto il livello massimo.”(Farrenkopf pag. 205).Inoltre (ibidem) “La crisi ecologica globale ha posto la questione se la rivoluzione industriale abbia in se stessa un lato oscuro e profondamente irrazionale”, cosa che nessuno pare avesse intuito in precedenza. Continuiamo a citare dal Farrenkopf (pag. 206) “L’idea della ’incompatibilità tra la moderna civilizzazione industriale e l’ambiente terrestre è implicita nel tragico quadro spengleriano della lotta tra l’uomo, fin dalle sue origini, e la natura. Questa idea costituisce un notevole contributo alla tradizione del pessimismo culturale europeo. Nell’odierno dibattito sulla crisi ambientale globale, si possono distinguere due posizioni di base. Secondo una delle due visuali la moderna civilizzazione industriale è incompatibile con un ambiente sano. Essa non potrebbe essere modificata in modo sufficiente da prevenire la distruzione a lungo termine dell’ecosistema, considerata anche l’interazione sinergetica tra la crisi ecologica e l’esplosione demografica. Tale perdurante esplosione nei paesi in via di sviluppo. Unita all’imperativo di promuovere una robusta crescita economica, incrementa il consumo di materie prime e di risorse energetiche, ponendo ulteriori pesi sull’ambiente. Secondo un’altra prospettiva, gli stessi strumenti che hanno causato la crisi ecologica, cioè la scienza e la tecnologia moderne, offrono motivi di speranza. Esse potrebbero venire perfezionate ed usate in modo da rendere in ultimo la civilizzazione industriale e l’ecosistema compatibili. Non si può non avvertire un qualcosa di paradossale in codesta rassicurante ipotesi”.( 13).
Sarebbe lo stesso “ethos” faustiano della civilizzazione occidentale, da un punto di vista “spengleriano”a far precipitare reversibilmente questa verso una catastrofe. “Il futuro, secondo la nostra Cassandra- comporta non solo la fine della civilizzazione come noi la conosciamo ma probabilmente la fine di qualsiasi forma di civilizzazione pienamente sviluppata.”(pag. 225).
Indubbiamente il Farrenkopf ci presenta un quadro avvincente e “aggiornato”del pensiero dello Spengler nel suo sviluppo, qui abbiamo voluto solo coglierne alcuni aspetti per noi particolarmente interessanti. Chi scrive ha iniziato anni fa a riflettere sulle possibilità di una crisi globale grazie soprattutto all’agile, ma denso volumetto di Silvio Waldner <La Deformazione della Natura>(AR, Padova, 1997)(14), per poi prendere in considerazione la concezione della “convergenza delle catastrofi”formulata da G.Faye, soprattutto riguardo alle lotte che l’immigrazione in massa delle razze di colore potrebbero scatenare in Europa. (15).Ciò soprattutto per verificare se le previsioni che si possono fare sul futuro giustificassero il mantenersi su un fronte, se non altro culturale, di rigida opposizione al sistema imperante. E tutto ciò ci pare lo giustifichi al di là di ogni previsione.
Spengler non si limitò mai ad inveire contro la Zivilization in favore di una inutile nostalgia per la Kultur, egli cercò nei tempi suoi delle possibilità di azione, e tale dovrebbe essere il nostro atteggiamento. A codesto proposito ci pare utilissimo suggerire ai lettori di approfondire la concezione di “rigenerazione della storia” formulata da Giorgio Locchi (cfr.<Definizioni>Società Editrice Barbarossa, Milano2006). In conclusione lo stesso <”tramonto dell’Occidente”e la “convergenza delle catastrofi”come campi di battaglia, per lotte dalle quali, e qui lasciamo Spengler per “ripartire” da Nietzsche, potrebbe anche sorgere una possibilità di rinascita(16).

ALFONSO DE FILIPPI

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(1) Cfr. Claudio Quarantotto ad Oswald Spengler Il Borghese, Milano, 1970, pag. 12.
(2) Ricordiamo che nella pubblicazione delle opere minori dello Spengler si sono rese benemerite le Edizioni di Ar, si spera che si decidano alla stampa del III volume degli
(3) Accettando come vera la
(4)“In realtà, Spengler è uno di quegli autori che non tramontano. Anzi, gli avvenimenti più recenti, in quanto contribuiscono a confermare le sue profezie, ingrandiscono il significato della sua opera, sì che essa attraversa l’orizzonte del nostro tempo come quelle stelle il cui fulgore ci giunge più chiaro quando la loro scaturigine è spenta.”Adriano Romualdi G.Volpe, Roma, 1973, pag. 5 Soprattutto “.la morfologia spengleriana della , e la sua analisi delle forme senili delle culture, resta lo strumento più utile per una adeguata valutazione della nostra epoca.”Ibidem pag. 6)
(5) Da codesta opera dello Spengler si sarebbero potuti trarre utili spunti per l’elaborazione di un Nella sua introduzione ad Oswald Spengler Bompiani Milano 1934 così V.Beonio Brocchieri sintetizzava il pensiero del filosofo: “Prepariamoci dunque a sparire dalla faccia del mondo. Contro il destino è impossibile andare. Questione di battersi con onore nell’ultima battaglia. Questione di raccogliere le forze supreme e di mostrare in faccia ai negri, ai gialli, che c’è ancora gente, che ci sono ancora popoli e razze, e nazioni in questa vecchia, schifosa, marcia, decomposta, incancrenita Europa, capaci di sentire con orgoglio, con fierezza, con dignità, con titanico stoicismo l’impegno assunto di fronte alla tradizione avita”. In questo senso “La principale funzione che sembra rimanere alla realpolitik sarebbe quella di indicare la necessità per una civilizzazione destinata alla distruzione di realizzare una strategia rivolta a prolungare una resistenza da assediati contro la marea crescente del caos interno e delle pressioni esterne”Farrenkopf pag. 211 Di questa opera dello Spengler si veda l’edizione come Ar, Padova, 1994
6)Notiamo che per il Vollgraff anche gli USA, considerati un popolo giovane e dinamico, sarebbero stati destinati a “degenerare rapidamente”. Anche il Conte De Gobineau, dal suo punto di vista, era giunto ad analoghe conclusioni. Forse nei prossimi anni vedremo se costoro non avessero avuto del tutto torto.
(7) Cfr F. NietzscheBompiani, Milano1992, pag. 3 e dello Spengler in Sugarco, Carnago, 1993 pag. 87-103
(8)Vi sarebbe qui da aprire una lunga discussione, comunque “..non è stata la religione cristiana la scintilla che ha dato origine alla civiltà occidentale: ma ..la civiltà occidentale si è impossessata della religione cristiana per rielaborarla e per trasformarla a modo suo” Piero Ottone Mondadori, Milano, 1994, pag. 162
(9) Pino Romualdi ( T.E.R. Roma, 1962 pago 262):
“La civiltà dei bianchi, è evidentemente alla fine. Essa è ormai rassegnata
a morire senza difendersi, senza più lottare, abbandonata ad una dolce
follia suicida, che non consente rivolte, ma vuole e chiede soltanto pace e
benessere.” Riguardo al declino dell’Occidente, Gianfranco De Turris nella sua premessa alla ed. 1998 de di Julius Evola citava quanto aveva scritto a proposito dei critici radicali dell’attuale civilizzazione Michela Nacci nel suo (Loescher, 1982): per costoroComunque, “L’ottimismo è viltà. Siamo nati in questo tempo e dobbiamo percorrere coraggiosamente sino alla fine la via che ci è destinata. Non abbiamo alternative. Il nostro dovere è di tener fermo sulle posizioni perdute, anche se non c’è più speranza né salvezza”Oswald Spengler Il Borghese, Milano1970, pag. 123
(10 )Si possono qui ricordare, con simpatia, alcuni gruppi isolati che auspicano una riscossa “imperiale”dell’Europa, si veda ad esempio il curioso articolo della nota enciclopedia on line Wikipedia. Lo Spengler aveva anche previsto l’apparizione di figure , dopo i “duci”della prima metà del secolo scorso non ne abbiamo viste, “Oggi, l’ipotesi del cesarismo nei paesi avanzati dell’Occidente appare assurda. Ma acquisterebbe consistenza se la pressione del Terzo Mondo, in un modo o nell’altro, sconvolgesse gli equilibri; se creasse situazioni pericolose”P.Ottone cit .pag. 271.
(11) Già lo stesso Spengler in sottolineava, esagerando, la mancanza di omogeneità del popolo americano”Come ricorda il Farrenkopf “… un processo di frammentazione etnico- culturale con potenziali gravi conseguenze è diventato sempre più veloce a partire dal 1965”(pag 248). E’ interessante vedere quali forze e “gruppi di pressione”abbiano operato, e tuttora operino, nel Nord America ( e non solo!) per far cadere la segregazione tra le razze e allargare l’immigrazione ad elementi non bianchi, il lettore non si meraviglierebbe di ritrovare delle vecchie anzi “antiche”conoscenze. Cfr fra gli altri David DukeFree Speech Press, USA, 2003
(12) Ci pare qui utile riportare come i popoli , quelli “usciti dalla storia”vengano descritti nel già citato libro di Piero Ottone pagg. 37-38: “Oggi, vaste masse di una umanità indistinta conducono—- in Egitto o in Anatolia, nell’Arabia o nel Magreb, un’esistenza altrettanto semplice e primitiva quanto i popoli che nella storia non sono mai entrati; e vivono e si muovono fra rovine alla quali non fanno caso, perché quelle rovine non significano più niente per loro. Che cosa prova un contadino greco quando vede i resti di un antico teatro invaso dalle erbacce? Non prova nulla, perchè qual che rimane della civiltà antica, quel che rimane di quella grande storia che ormai si è chiusa, per lui non esiste più-…… Ci sono modi diversi di uscire dalla storia. L’Egitto è un caso estremo: gli egizi che crearono il loro giardino incantato sono scomparsi dalla faccia della Terra, i loro discendenti sono stati sopraffatti dagli arabi, la loro civiltà sopravvive solo in scarse testimonianze, splendide e misteriose….. Altrove è rimasto in vita molto di più; come in India, come in Cina. Ma quel che sopravvive ha perso ogni significato a sua volta, ha perso ogni capacità di evoluzione; picché è vero delle comunità sopravvissute quel che si è detto di tutte le comunità primitive:l’immobilità nel tempo, la ripetitività, il movimento orizzontale attraverso centinaia d’anni, né verso l’alto né verso il basso. Che cosa ha prodotto di nuovo la civiltà indiana, negli ultimi secoli?che cosa ha prodotto la civiltà cinese?I relitti del passato sono ormai immobili, gelidi, pietrificati come le caste in India; sussistono solo perché nessuno ha avuto il tempo e la voglia di distruggerli…” Ci pare di poter dire che analoghe considerazioni potrebbero venire fatte a proposito di una altra civiltà: quella islamica. Naturalmente si dovrebbe anche vedere se vi sia una continuità etnica tra il popolo edificatore di una data civiltà e quello che vive oggi tra le sue rovine.
(13)Oggi sappiamo che sarà inevitabile un vero e proprio che probabilmente non potrà fare a meno di attuarsi in circostanze più o meno catastrofiche. Su del 14 X 2010 sotto il titolo Antonio Cianciullo scrivevaLiving Placet Report, il rapporto realizzato da Wwf, Zoological Society di Londra e Global Footprint Network. Se tutti adottassero lo stile di vita di un abitante degli Emirati Arabi ci vorrebbero 6 pianeti, con quello degli Stati Uniti 4,5.L’Italia è a quota 2,8, l’India a 0,5,il Bangladesh a 0,3. Ma l’equivalenza tra benessere e iper consumo si sta indebolendo: la bancarotta ecologica fa venir meno servizi che la natura offre gratis, come la depurazione dell’acqua e la stabilità del clima. Per questo Mathis Wackernagel, presidente del Global Footprint Network, avverte: “I paesi che riescono a garantire la migliore qualità di vita con la minore pressione sulla natura saranno leader in un mondo dalle risorse sempre più ristrette”>.
(14) A pag. 11 vi si legge: “I problemi razziali e quelli ecologici ormai configurano le due ganasce di una immane tenaglia che- irreversibilmente a quanto sembra- sta stritolando il mondo della modernità contemporanea”.
(15) “Non esiste un solo esempio storico di società plurietnica non conflittuale e che non sia stata crudelmente gerarchizzata e oppressiva” G. Faye > SEB, Milano, 1999 pag. 160.
“Nell’impossibilità di selezionare o bloccare l’immigrazione non vi è altra prospettiva che quella di uno scontro etnico interno”Carlo JeanLaterza, Bari, 1995 pag. 100.
“Nei conflitti tra civiltà a differenza di quanto avviene con quelli ideologici, si sta sempre dalla parte della propria razza. “(Samuel Huntington ( Garzanti, Milano, 1997, pag .319.) (16) F. Nietzsche “.. auspicava per l’Europa un’ultima catastrofica decadenza, affinché essa possa rinascere ”Giorgio Locchi< Wagner- Nietzsche e il Mito Sovrumanista>(Akropolis-Lede, Roma. 1982, pag. 179) E a pag. 202 dello stesso testo: “Per Nietzsche….l’Europa è destinata a morire ed anzi deve morire, per potere rinascere- totalmente diversa- dalle proprie ceneri. La , la e comanda dunque di accelerare, con ogni mezzo possibile, il processo fatale di disintegrazione delle società europee cristiano –egalitaristiche: soltanto allorquando gli europei saranno diventati una massa di schiavi docilmente rassegnati(che l’ di prefigura mirabilmente), è potrà sorgere infine, come chiamata dal vuoto, la che saprà edificare un’Europa e fare della massa lo strumento capace di assicurarle la , per il bene dell’umanità intera, innalzata verso un ”.
Alfonso De Filippi

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