13 Aprile 2024
Controstoria Futurismo Storia

11 gennaio 1919: serata futurista a Milano (parte seconda)

di Giacinto Reale

La serata assume così toni vagamente goliardici, per i potenti “amen” – sul tipo di quelli intercalanti certe filastrocche universitarie – che Marinetti lancia ad ogni pausa del mezzo discorso che Bissolati riesce a tenere, mentre parte del pubblico in sala chiede a gran voce l’intervento di Mussolini. L’impresa, nel complesso, riesce alla perfezione: Bissolati raccoglie le sue carte e lascia il palcoscenico; i suoi fischiatori, minacciosamente tallonati dai “maddaleni pentiti” seguaci dell’oratore, escono dal teatro e si riversano sulla piazza, dove trovano radunata una folla di Arditi e futuristi che, per la mancanza di biglietti non sono riusciti ad entrare.

Con loro si forma un corteo che si dirige, per una rumorosa fischiata, alle sedi del Secolo e del Corriere della Sera, giornali che hanno fin qui appoggiato le tesi bissolatiane. Una delegazione raggiunge il Popolo d’Italia e chiama a gran voce Mussolini, che si affaccia ad un balcone per dire alcune parole di circostanza. Da un punto di vista politico, egli è il trionfatore della serata: l’episodio dell’11 gennaio, infatti, se favorisce il suo rilancio, dà in pratica il via, nel capoluogo lombardo, ad una serie di manifestazioni e raduni, più o meno importanti, che lo vedranno sempre in posizione di primo piano.
Al primo di questi raduni, i bissolatiani rendono pan per focaccia ai loro avversari: infatti, in occasione del programmato comizio antirinunciatario del giorno 14 alla Scala, oratore proprio Mussolini, fanno stampare migliaia di biglietti di invito falsi, che diffondono negli ambienti neutralisti. La cosa preoccupa il Prefetto, che rinvia la manifestazione: all’annuncio del rinvio, che viene dato da Mussolini stesso alla folla raccolta nelle vicinanze del caffè Biffi, in Galleria, si ripetono le manifestazioni di protesta (con relative fischiate) al Secolo ed al Corriere della Sera.
Tutto contribuisce a far crescere l’attesa: alla fine il comizio si tiene la sera del 17, con grande, entusiastica partecipazione di tutti i settori dell’interventismo milanese. Mussolini non parla, anzi non è neppure presente in teatro, forse per evitare che la sua presenza possa scaldare troppo gli animi; è, però, certo che il direttore del Popolo d’Italia ripropone sempre più efficacemente, giorno dopo giorno, il suo ruolo di leader di tutto l’interventismo non rinunciatario e non allineato ai nazionalisti.
Chi esce sconfitto, più di quanto non lasci intravedere la semplice mancata riuscita di una manifestazione di propaganda, è Bissolati e quel filone interventista “democratico”, sia pure ridotto di numero, che a lui guarda con fiducia, ma che è destinato a liquefarsi nei mesi a venire. Esagerato, comunque, parlare, per la serata alla Scala, di “prima spedizione punitiva del dopoguerra”, certo più realistica la definizione defeliciana di “serata futurista”, considerato il carattere assolutamente incruento e “burlesco” dell’intervento “protofascista”.
La risonanza dell’episodio non è però solo milanese, ma si estende a tutta l’Italia, e chiarisce agli ultimi incerti l’utopia di atteggiamenti come quello del leader socialista riformista; è chiaro che è altrove che va cercata la possibilità di realizzare le aspirazioni che hanno mosso l’interventismo di sinistra nel maggio 1915: chi vuole ora rivendicare l’intervento, esaltare la vittoria, e nello stesso tempo, rifiutare le degenerazioni del socialismo marxista, deve indirizzarsi altrove, magari dando vita ad una nuova forza politica. In parte, proprio dall’insuccesso bissolatiano sarà favorita la presenza massiccia di tanti interventisti “democratici” nei primi Fasci, che di qui a qualche mese darà ai medesimi quegli indiscussi caratteri “di sinistra”, a Milano, ma anche altrove, e che faranno parlare a Tamaro e, in genere, a tutti i commentatori più “moderati” di “errore iniziale” del fascismo; quale rilevanza avranno questi caratteri è stato ben sintetizzato da Piero Bolzon, uno dei protagonisti di quelle giornate. Ben noto era da che filone provenivano duci e gregari: erano globuli rossi, rossissimi che circolavano nella rivolta degli eresiarchi, senza infezioni linfatiche di nessuna tendenza. Le vampe di quel fuoco facevano vermigli i volti e i cuori.
Le bandiere del futurismo, del sindacalismo interventista e dell’irridentista repubblicanesimo erano inondare addirittura dal fiammeo colore. Ed anche quando si ripiegarono nei mirabili “Statuti della reggenza del Carnaro” crearono, nella sintesi dannunziana, una valorizzazione e non un annullamento.” (fine)

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