11 Aprile 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, settantacinquesima parte – Fabio Calabrese

Ancora una volta torniamo a esaminare il lavoro dei gruppi facebook sul tema della ricerca delle origini, un lavoro complesso che punta in una grande varietà di direzioni, e con il quale è obiettivamente difficile stare al passo.

Riprendiamo da dove ci eravamo fermati la volta scorsa, ossia poco prima dell’ultima decade di maggio, un periodo in cui l’attività dei gruppi ha, come vedremo, presentato una serie di spunti davvero interessanti

Cominciamo naturalmente da MANvantara, segnalando un post del 24 maggio di Maurizio Cossu che è una brevissima recensione di un testo vecchio di vent’anni, Le colonne d’Ercole di Sergio Frau, che però solleva una questione di interesse estremo. “Il mondo si impigliò in qualcosa nel XX secolo”.erc Fuori di metafora, tutte le scoperte archeologiche che hanno determinato la nostra visione della storia antica sono avvenute tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento. Dopo di allora, scoperte importanti non è che non siano avvenute, ma sono rimaste confinate a ristrette cerchie super-specializzate di specialisti che non comunicano fra di loro né tanto meno col grosso pubblico. Perché? Eppure da allora ci sono stati cambiamenti enormi, due guerre mondiali per dirne una.

Beh, io credo che non sia tanto d ifficile capire in che cosa si è impigliato il mondo o perlomeno la conoscenza del nostro passato. Diciamo che agli inizi del secolo scorso si sono raggiunte le conoscenze necessarie a supportare “scientificamente” una certa visione del mondo e della nostra storia, mentre conoscenze ulteriori che rischiano di rimetterla in discussione, sono da scoraggiare, e se non si possono proibire, da non far uscire da una ristretta cerchia di specialisti. Tanto per fare un esempio, noi sappiamo che la scoperta della tomba di Tutankhamon fu un vero best seller mondiale, dando luogo a una vera e propria moda o mania egizia su scala planetaria. Ora, provate a domandare ai vostri vicini o alle persone che incontrate al bar, se hanno mai sentito parlare dell’arciere di Amesbury (la cui tomba, dotata di un corredo funebre estremamente ricco per una sepoltura neolitica, fu ritrovata nei pressi di Stonehenge).

Il perché di questa differenza è molto chiaro, quella della tomba dell’arciere è una scoperta avvenuta in Europa, che metterebbe in crisi la centralità attribuita al Medio Oriente dalla storiografia convenzionale che ci viene imposta.

Una persona al cui lavoro in questo ambito finora non ho probabilmente dedicato sufficiente attenzione, è Giuseppe Di Re, che è l’amministratore di ben due gruppi facebook che si occupano di queste tematiche, “L’immagine perduta” e “La scoperta delle origini della nostra civiltà”.

Non si tratta di cattiveria o di prevenzione da parte mia. Il fatto è che in mezzo a un panorama così vasto di tematiche, occorre compiere delle scelte, e l’interesse di Giuseppe mi pare centrato soprattutto sull’Oriente e il Medio Oriente, mentre io trovo che nell’affrontare la tematica delle origini, è proprio la nostra Europa a essere perlopiù negletta e sottovalutata. Questo però non significa che anche in questi altri ambiti non vi siano delle cose importanti e interessanti da dire.

Il 25 maggio, Giuseppe ha pubblicato su entrambi i suoi gruppi e anche su “MANvantara” (ci mancherebbe, data la centralità che sembra aver assunto il gruppo del nostro Michele Ruzzai), un articolo davvero di grande interesse. Di Iram o Irem, “la città delle mille colonne”, l’Atlantide d’Arabia, residuo forse di una civiltà perduta sepolto sotto le sabbie del deserto arabico, avevo sentito parlare solo nei racconti di H. P. Lovecraft, e onestamente credevo che si trattasse di null’altro che di un’invenzione dell’autore fantastico americano.

Invece, non solo la città perduta è ben presente nelle leggende arabe e nelle Mille e una notte, ma pare che la sua esistenza sia reale e recentemente gli archeologi ne avrebbero scoperto un avamposto.

“Nella provincia di Dhofar, in Oman, fu così trovata un’area identificata come un possibile avamposto della famosa “civiltà perduta”. Altri ricercatori esplorarono l’area in diverse occasioni. Essi in particolare si fermarono presso un pozzo chiamato “Ash Shisa”, e nei pressi della relativa oasi scoprirono un sito precedentemente identificato come il “Forte di Shis” (XVI sec. d.C.). Gli scavi hanno riportato alla luce un insediamaento anteriore e artefatti provenienti da altre regioni. Questo fortino più antico era costruito sopra una caverna di calcare che poteva contenere a sua volta una fonte d’acqua, rendendolo così un importante punto di ristoro e sosta lungo la via commerciale per la città di Iram. Una volta che il livello dell’acqua si fu abbassato, la struttura si indebolì e la caverna crollò distruggendo così anche l’oasi”.

Rimaniamo sul discorso di civiltà diverse dalla nostra, che però ci aiutano ad avere un quadro più chiaro di noi stessi. Sempre il 25 maggio, Alessio Longhetti ha postato su “MANvantara” una foto risalente al mitico viaggio del Kon Tiki di Thor Heyerdal all’Isola di Pasqua. Nella foto, oltre ad alcuni membri della spedizione, sono ritratti il sindaco dell’isola Hei che si definiva un isolano puro, e il figlio Juan. Di entrambi sono evidenti le caratteristiche europidi, e i capelli rossi di Juan.

E’ uh fatto che gli antirazzisti – che poi sono razzisti anti-bianchi – cercano in tutti i modi di nasconderci, eppure si tratta di un fatto incontestabile: dovunque troviamo tracce di civiltà, per quanto in aree remote del mondo rispetto a noi, troviamo sempre un’impronta antropologica caucasica. Là dove essa è assente: Africa sub-sahariana, Australia aborigena, Nuova Guinea, fino all’arrivo degli Occidentali, i nativi non si sono mai schiodati di un millimetro dal paleolitico.

Sempre il 25 maggio, Italo Iallonardi ha postato su “MANvantara”  un articolo di cui vi ho già parlato, da “Huffington Post” sulla ricostruzione dei lineamenti della regina egizia Nefertiti, a partire dallo studio della mummia. Iallonardi commenta: “Un po’ più annerita e con il naso più schiacciato di come la ricordiamo” (sulla base del famoso busto oggi conservato a Berlino).

Viene da sogghignare amaramente al pensiero che questa ricostruzione ha suscitato le ire dei cosiddetti antirazzisti perché “troppo bianca”. Costoro, in realtà come dicevo, razzisti anti-bianchi, pretendono a tutti i costi che ai neri si attribuisca a dispetto di ogni evidenza un ruolo storico e nelle origini della civiltà umana che non hanno mai avuto.

Sempre il 25 maggio (ma cosa aveva questa giornata di speciale?) c’è da segnalare un post di Pier Ferreri in cui si esaminano le dinamiche demografiche del Texas. In questo stato degli USA attorno al 1970, il 60% della popolazione era di origine caucasica. Oggi siamo intorno al 40%, che si prevede scenderà al 25% entro il 2040. Di ciò potremmo anche non interessarci se non fosse per un fatto, che la stessa cosa sta accadendo in tutti gli Stati Uniti, dove la popolazione caucasica di origine europea sta diventando una minoranza, e qualcuno ha deciso che a noi Europei debba toccare lo stesso destino, obbligandoci a subire l’invasione extracomunitaria travestita da immigrazione e la sostituzione etnica.

Ancora il 25 maggio, giornata probabilmente posta sotto la protezione di qualche divinità particolare, si può segnalare un interessante post dell’Amministratore. Alcuni antropologi sostenitori dell’Out of Africa, si sono inventati le cose più incredibili per sostenere questa falsità sulle nostre origini, supponendo che lo “sbiancamento” degli Europei sia avvenuto con il passaggio dall’economia di caccia-raccolta all’agricoltura. Si tratta di un’assurdità doppia, in primo luogo perché non si capisce come, passando dalla caccia in boschi frondosi a lavorare sotto il sole in campi aperti, i nostri avi potrebbero essersi “sbiancati” quando una maggiore abbronzatura sarebbe stata più logica, e poi perché non si capisce come mai un analogo “sbiancamento” non si sarebbe manifestato in altre popolazioni dedite all’agricoltura, quali gli amerindi mesoamericani coltivatori di mais, o quelle dell’Asia orientale o dell’India dravidica.

All’eccellente ragionamento di Cristina, io direi in aggiunta che il modo di sragionare di questi antropologi rivela una volta di più le fallacie della mentalità democratica, tendente sempre a privilegiare i fattori ambientali rispetto all’eredità genetica, che risponde all’illusione di poter cambiare facilmente la natura umana modificando i rapporti sociali o magari l’insolazione o la dieta.

Un altro post ripreso da “Siberian Times”, ci informa del ritrovamento di quelle che sembrerebbero essere fra le più antiche ossa umane sapiens conosciute, risalenti a 50.000 anni fa, sapete dove? Nel sito di Tuyana nei pressi del lago Bajkal in Siberia. Ognuno vede bene come tale collocazione geografica poco si concili con l’ipotesi dell’origine africana della nostra specie.

Il 28 maggio “La scoperta delle origini della nostra civiltà” presenta un ampio articolo, possiamo dire un saggio di Piergiorgio Lepori sul mito di Atlantide. Il mito platonico sembra avere a quanto pare una base reale, poiché in tutto il nostro pianeta sono sparsi i segni di una catastrofe di probabile origine cosmica che sarebbe coincisa con lo slittamento dell’asse terrestre. L’autore inoltre fa notare che l’eventuale storicità del mito di Atlantide smentirebbe in maniera netta l’idea cara ai progressisti, della storia come sviluppo lineare.

Sempre il 28 maggio, abbiamo un articolo di Giuseppe Di Re dedicato all’uomo leone. Questa statuetta ritrovata a Holenstein nella Germania meridionale, scolpita sin una zanna di mammut e raffigurante un essere antropomorfo con una testa leonina, risalirebbe a un’età compresa fra 32.000 e 40.000 anni fa, e sarebbe la più antica statua conosciuta.

Sempre il 28, “Manvantara” presenta un link con un articolo de “Il Gazzettino”. A Osoppo in provincia di Udine è stata trovata una seria di impronte fossili risalenti a 4 milioni di anni fa. Sono state riconosciute orme di rinoceronti, di cavalli e di un bovide, probabilmente una grande antilope. Quello che è oggi il Friuli Venezia Giulia aveva all’epoca un clima sub-tropicale.

Alla stessa data, Michele Ruzzai ha postato una recensione de I signori del pianeta di Ian Tattersall. La cosa più notevole di questo testo evoluzionista e afrocentrico quant’altri mai, è forse un refuso, dove Tattersall scrive “Tutto (l’avventura evolutiva della nostra specie) è iniziato circa sessanta (invece di sessantamila) anni fa”. Strano, io sei decenni or sono, di anni ne avevo cinque. Qualcosa dovrei ricordarmi.

Il 29 “MANvantara” presenta un link al blog “Earth before the Flood, disappeared Continents and Civilizations” del ricercatore russo Alexander Koltypin, dove si parla di civiltà scomparse e molte altre cose.

Sempre il 29, Pier Ferreri ha postato purtroppo non una recensione ma solo alcune foto del testo Archeologia proibita di Michael Cremo e Richard L. Thompson. Comunque, gli autori che sono un archeologo e un giornalista scientifico, sostengono che la maggior parte delle ricerche archeologiche in tutto il mondo, sono presentate in maniera censurata e falsata in modo da non contraddire le teorie “scientifiche” ufficiali. Il che, francamente, non abbiamo alcuna difficoltà a credere.

Il 30 maggio, ancora Pier Ferreri ha postato un link a un articolo di ANSA.it che ci parla di Oetzi, l’uomo del Similaun. Oetzi sarebbe morto all’età di 46 anni, e presentava tre calcificazioni alle coronarie che se fosse vissuto più a lungo, gli avrebbero causato l’aterosclerosi. L’aspetto importante di questa scoperta è questo certamente quest’uomo aveva uno stile di vita diverso e molto più attivo di quello dei nostri contemporanei. L’aterosclerosi e probabilmente molte altre malattie che solitamente attribuiamo a fattori ambientali, dipendono invece dalla genetica molto più di quanto supponessimo.

Il 31 in “La scoperta delle origini della nostra civiltà”, Giuseppe di Re ha dedicato un articolo a uno dei più singolari monumenti della storia egizia, l’Osireion di Abydos: si tratta di una grande struttura megalitica formata da blocchi squadrati di grandi dimensioni che si trova al disotto del tempio di Seti I (ed è dunque sicuramente anteriore a quest’ultimo), e che non somiglia a null’altro che si trovi in Egitto. E’ forse un resto di una civiltà antichissima che avrebbe preceduto quella egizia.

Sempre parlando dell’antico Egitto, il 1 giugno “MANvantara” ha linkato un articolo di Repubblica.it che riferisce di uno studio condotto dal Max Planck Institute di Tubinga e dall’Università di Buffalo sul DNA di 93 mummie egizie. Gli antichi Egizi erano di provenienza mediorientale e anatolica ma non presentavano alcuna traccia di un’origine subsahariana, come invece si riscontra negli Egiziani odierni a partire dagli ultimi 1500 anni. Possiamo tranquillamente archiviare nel regno delle favole le storie che ci hanno spesso raccontato e continuano a raccontarci, tese ad accentuare il ruolo dell’elemento subsahariano nella storia dell’antico Egitto.

Sempre il 1 giugno Michele Ruzzai ha postato alcune pagine del libro Il paradiso ritrovato di Brook Wilensky Langford, una panoramica sulle ricerche del giardino dell’Eden che, esattamente come Atlantide, è stato individuato nei più disparati luoghi della Terra.

Sempre su MANvantara, il 2 giugno Maurizio Cossu si occupa di una faccenda della quale vi ho già parlato altre volte, ossia il ritrovamento delle statue megalitiche conosciute come i giganti di Monte Prana in Sardegna. Ora, a quanto pare, lo stesso Monte Prana è una delle più estese necropoli conosciute dell’antichità, e si stenterebbe davvero a comprendere come mai questi ritrovamenti hanno destato così poco interesse negli archeologi, se non fosse per il fatto che la civiltà nuragica, come tutte le culture europee, è ingiustamente sottovalutata a confronto di quelle dell’area mediorientale.

Ovviamente, fa piacere che il periodo che abbiamo preso in esame, coincidente grosso modo con l’ultima decade di maggio, ci abbia mostrato un’attività così intensa da parte dei gruppi FB, ma questo mi comporta un problema, infatti, la mia intenzione era quella di mettermi relativamente a pari con la loro attività prima di presentarvi i tre articoli in cui ho suddiviso il testo della mia conferenza sull’Out of Africa che ho tenuto qui a Trieste a gennaio. Ora le cose diventano un po’ più complicate, e nello stesso tempo, beninteso, oltre al dibattito sulle nostre origini, non mancano certo le tematiche di politica contemporanea.

Si farà quello che si può, sapendo che è comunque impossibile pescare tutti i pesci che ci sono nel mare.

NOTA: Nell’illustrazione, le copertine di tre libri citati nell’articolo:  Le colonne d’Ercole di Sergio Frau,  Archeologia proibita di Michael Cremo e Richard L. Thompson e  Il paradiso ritrovato di Brook Wilensky Langford.

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