11 Aprile 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, ottantaduesima parte – Fabio Calabrese

Come sapete, sulle pagine di “Ereticamente”, è mia abitudine – anche se non rappresenta una regola fissa – alternare questi articoli che trattano dell’eredità degli antenati (tale è il significato della parola tedesca Ahenerbe) ad altri di altra natura. E’ raro che abbia saltato qualche articolo di questa serie e ancor più raro che abbia collocato due Ahnenerbe di seguito, ma stavolta occorre proprio fare un’eccezione, perché in questo periodo in cui sto scrivendo, la fine di settembre, sono accaduti dei fatti nell’ambito che ci interessa su cui sarà bene dire la nostra al più presto senza lasciar trascorrere troppo tempo, anche se la nostra periodicità non permette di stare sugli eventi proprio in tempo reale.

Era mia intenzione questa volta tornare a considerare il lavoro dei gruppi FB che si occupano delle tematiche delle origini, un lavoro di aggiornamento che a questo punto sarebbe doveroso, visto che l’ultima volta che mi sono dedicato a esso, è stato giocoforza fermarmi agli inizi di settembre. Beninteso, lo faremo, ma solo in parte, rimandando il lavoro di dettaglio a un altro momento, perché sugli ultimi eventi occorre senz’altro dire qualcosa al più presto.
Talvolta ho l’impressione di combattere un’autentica lotta nel tentativo di riuscire a dire, a presentarvi sulle pagine di “Ereticamente” tutto quanto ci sarebbe da dire. L’articolo che costituisce l’ottantunesima parte, l’avete visto, è stato dedicato a una riflessione importante: la tematica delle origini, l’abbiamo visto altre volte, si può suddividere in più livelli: l’origine dei popoli italici, della civiltà europea, dei popoli indoeuropei, della nostra stessa specie umana, ma, come vi ho fatto rilevare, fra il penultimo e l’ultimo di essi si può situare ancora un livello, quello dell’origine delle popolazioni caucasiche di cui gli Indoeuropei sono solo una frazione, livello però che si confonde con quello delle origini stesse dell’umanità, poiché “il prototipo” della nostra specie è appunto l’uomo caucasico, NON il nero subsahariano come ci racconta la menzogna “politicamente corretta” dell’Out of Africa.
Tuttavia, vi interesserà sapere che questa parte contenente questa importante riflessione è più volte scivolata in coda di fronte a notizie che richiedevano aggiornamenti più urgenti, e d’altra parte, sapete che la tematica delle origini non è il solo discorso che sto cercando di tenere in piedi sulle pagine di “Ereticamente”, anche se è quello cui finora ho dedicato maggiore spazio.
Ciò nonostante, si vede bene che questo articolo, dove ad esempio rispondo a un’osservazione mossami da un lettore riguardo alla sessantesima parte, un’osservazione peraltro di grande interesse riguardante le piramidi bosniache di Visoko, ha fatto quasi un eanno di anticamera, sempre naturalmente per l’esigenza di dare la precedenza a cose che richiedevano una trattazione più tempestiva, il lavoro dei gruppi FB e tutto il resto, il che, se ci pensate, è davvero sorprendente, visto che non stiamo parlando di cronache politiche in senso stretto, né sportive, né di gossip o simili.
Cominciamo parlando del nostro amico Michele Ruzzai. Si tratta di una persona di una notevole cultura e competenza sugli argomenti che ci interessano. Come sapete, ho preso spessissimo spunto in questi articoli dai suoi post e recensioni pubblicati nel gruppo FB MANvantara. Si tratta però di una persona con una tendenza a sottovalutarsi, una dose di modestia che ne fa l’esatto contrario di tanti incompetenti usi a pontificare e considerarsi dei padreterni.
Ciò è bello ma poco pratico. Mi è capitato di lamentarmi del fatto che suoi nuovi contributi non comparissero da diverso tempo sulle pagine di “Ereticamente”, rincrescimento peraltro pienamente condiviso dai redattori della nostra pubblicazione. A settembre il nostro Michele ha finalmente postato su MANvantara (e l’abbiamo atteso parecchio) il testo della sua conferenza sull’origine degli indoeuropei tenuta a Trieste presso il circolo Identità e Tradizione il 27 gennaio 2017. L’occasione era troppo ghiotta: ho girato il pezzo agli amici di “Ereticamente” e ne abbiamo fatto una pubblicazione a sorpresa.
Riguardo a questo interessante articolo, ci sarebbe solo un piccolo appunto da muovere: è un peccato che Michele non abbia inserito in esso una riflessione che invece si trova nella presentazione alla mia conferenza di sabato 11 marzo, sempre presso il circolo Identità e Tradizione, Alle origini dell’Europa. Introducendo questa tematica, Michele notava che ad eccezione dell’Europa, tutti gli altri continenti presentano una tipologia razziale mista: l’Asia caucasoide a occidente e mongolide a est, ma anche con una presenza pigmoide (Negritos delle Filippine). Volendo essere pignoli (e io lo sono) si potrebbe pure aggiungere un elemento australoide, Toda dell’India, l’Africa caucasoide a nord e nera al sud del Sahara, con pigmoidi (Pigmei) al centro e khoisanidi (Boscimani e Ottentotti) al sud, l’Oceania australoide, ma anche negroide (Melanesiani, Papua) e caucasoide (Polinesiani), l’America (e parliamo di prima del 1492) che ha visto varie ondate mongolidi sovrapporsi a un originario popolamento europide (i solutreani della cultura Clovis).
L’Europa no, è sempre stata unicamente europide dal paleolitico a oggi. Io penso che sia stata proprio questa omogeneità razziale la qualità che ha fatto dell’Europa il centro e il motore della civiltà umana, perché, contrariamente a quanto asseriscono i fautori della multietnicità, il meticciato provoca soltanto decadenza, e l’immissione di grandi quantità di sangue totalmente estraneo cui stiamo assistendo negli ultimi decenni, non potrà produrre altro che la rovina del nostro continente.
Devo dire la verità: presentando la mia conferenza, Michele Ruzzai fece un’esposizione così chiara, avvincente e completa da darmi l’impressione – e lo dissi agli ascoltatori – che a me non fosse rimasto praticamente nulla da dire, ma poi non feci il ritroso e tenni la conferenza.
Come vi ho detto, un approfondimento sul lavoro dei gruppi FB di questo periodo lo rimandiamo alla prossima volta, ma occorrerà fare almeno un’eccezione. Un gruppo cui finora non ho dedicato sufficiente attenzione è “Il pianeta delle scimmie”. Per la verità, pensavo che si trattasse di un gruppo di fantascienza, il nome, infatti, rimanda al titolo del romanzo di Pierre Boulle, nonché dei diversi film ispirati a esso che hanno generato una serie televisiva e, in tempi più recenti, diversi remake, ma un esame più attento ci fa capire che le cose non stanno precisamente così, infatti notiamo il sottotitolo: “Archeologia, storia ed enigmi irrisolti”, cioè precisamente le tematiche di cui ci occupiamo noi.
Ultimamente in questo gruppo sono apparsi due link, uno a un filmato di you tube, l’altro a un articolo di accademia.edu, dedicati alle misteriose strutture megalitiche di epoca imprecisata che si trovano nei pressi del monte Gornaya Shoria in Siberia. Non c’è niente da fare, tutti gli indizi di un passato misterioso dell’umanità non considerati dalla “scienza” ufficiale, non puntano verso l’Africa, ma nella direzione opposta, verso l’alto nord dell’Eurasia.
Se vi chiedessi dove secondo voi si trova il discrimine, la barriera che separa il primate non umano dall’umano, penso che la maggior parte di voi risponderebbe “L’intelligenza e l’autoconsapevolezza”, ma se vi chiedessi poi cosa sono l’intelligenza e l’autoconsapevolezza, sono certo che avreste delle difficoltà a rispondere. Un aiuto a trovare queste risposte certo non facili, ci può venire dal più recente libro di Silvano Lorenzoni, una ricerca sulle Intelligenze collettive, vale a dire il confronto con quelle intelligenze non di tipo umano che sono rappresentate dai cosiddetti insetti sociali: api, formiche, termiti. Cosiddetti perché l’alveare, il formicaio, il termitaio non sono società come le nostre,composte da individui autonomi, ma veri e propri super-organismi di cui il singolo insetto non è che una semplice cellula incapace di sopravvivere fuori da essi. Questo confronto serve anche a mettere in luce alcuni aspetti tipici del mondo umano, l’uso o il disuso dell’intelligenza. La cosiddetta intelligenza artificiale, che in realtà non è affatto tale. Una macchina, anche il computer più potente e tecnologicamente sofisticato non può far altro che calcoli, cioè manipolazione di segnali che per essa non acquistano mai un significato, può cioè elaborare ma non capire, ed è conseguentemente incapace di prendere decisioni che non siano quelle stabilite da un programmatore umano, non può avere una volontà propria. Si comprende quindi che tutte “le speranze” del post-umanesimo diventato una sorta di religione, non sono altro che illusioni, il sogno di beneficiare dell’immortalità sostituendo ai nostri fragili corpi l’hardware di un computer, rimane una chimera irrealizzabile. Se anche riuscissimo a trasferire in un computer le registrazioni complete di ogni aspetto della nostra esistenza, sarebbero registrazioni e nient’altro, non saremmo noi.
Un aspetto per il quale nel mondo umano si può verificare una condizione che in qualche modo si avvicina alle intelligenze collettive, è la condizione di folla, la cui psicologia è stata studiata da Gustave Le Bon a cui l’autore in parte si richiama. Nella folla il singolo perde in una certa misura la sua individualità per una sorta di contagio psichico, ed essa agisce come una sorta di intelligenza collettiva più emotiva e irrazionale dei suoi componenti presi separatamente. Lorenzoni fa notare che il fenomeno della folla è tipico delle religioni monoteistiche, si pensi alle suggestioni di massa che stanno alla base di certi “eventi miracolosi”, e che certe razze umane, in particolare la nera, sono più inclini di altre a cadere sotto queste forme di invasamento collettivo. Per menzionare un episodio recente, ricordiamo come i “nuovi francesi” che oggi impestano quella che un tempo fu una delle più belle capitali d’Europa, hanno “festeggiato” la vittoria ai mondiali di calcio della “Francia” multietnica, con un’orgia di violenza gratuita.
Passiamo ora a due recenti eventi, che sono quelli che, insieme all’esigenza di “battere il ferro finché è caldo”, giustificano questa Ahnenerbe “straordinaria”. Il 26 settembre sul blog “Sempre cinque stelle” semprecinquestelle.altervista.org è comparso un video di un Matteo Renzi che sembra essersi improvvisato antropologo, che spiega che poiché veniamo tutti dall’Africa e abbiamo tutti un bisnonno africano, ci tocca accettare l’immigrazione.
Geniale, vero? Perché qui saltano tutti i distinguo tra Out of Africa I e Out of Africa II, tra africano in senso geografico e nero in senso antropologico dietro cui si nascondono gli specialisti per non rendere evidente la falsità di questa “teoria scientifica” e si evidenzia il messaggio subliminale che tramite essa si cerca di far arrivare alla gente.
La cosa ha un retroscena piuttosto buffo, perché io ho linkato su MANvantara questo video assieme a un commento non proprio tenero verso il piccolo genio di Rignano sull’Arno. Il commento mi è stato prima rimosso, poi ripristinato da facebook, con la motivazione che vi trascrivo.
“Ti ringraziamo nuovamente per averci fornito informazioni su questo post. Lo abbiamo esaminato nuovamente e abbiamo determinato che rispetta i nostri Standard della community, pertanto lo abbiamo ripristinato. Siamo spiacenti per l’inconveniente e ti ringraziamo per il tempo dedicato a contattarci affinché potessimo intervenire”.
Queste sono soddisfazioni, alla faccia del segnalatore chiunque sia stato, e della sua mammina che esercita il mestiere più antico del mondo.
Mi è stato fatto osservare che potrebbe trattarsi di una bufala, di un fake. Anche in questo caso le cose non cambierebbero un gran che. La situazione è analoga a quella di certi “protocolli” che sono certamente un falso dal punto di vista del copyright letterario, tuttavia sono assolutamente veritieri nel rivelare ciò che è stato messo in atto dopo la loro pubblicazione. Anche qui, è indifferente che si tratti di un abile montaggio o Renzi abbia realmente detto queste cose, ciò che conta, è che si mettono bene in luce i retroscena dell’Out of Africa, della suggestione che intendono inculcarci.
Il 24 settembre “Il primato nazionale” ha pubblicato un articolo di Carlomanno Adinolfi, La teoria dell’origine africana dell’uomo continua a perdere pezzi, che è un discreto riassunto delle recenti scoperte e dei motivi che rendono sempre meno credibile l’Out of Africa: i ritrovamenti di Djebel Irhoud, quello dell’uomo di Denisova nell’Altai, e di Denny, la ragazzina siberiana di 90.000 anni fa di padre denisoviano e madre neanderthaliana, e infine la scoperta l’anno scorso dell’ominide balcanico “El Greco”, tutte cose di cui io stesso vi ho parlato con ampiezza.
Ci sarebbe un solo appunto da muovere all’esposizione di Adinolfi: sappiamo che il predecessore della nostra specie a un certo punto si è suddiviso in due varietà, una, eurasiatica, si è sviluppata e ulteriormente differenziata nelle tre “famiglie” di Cro Magnon, Neanderthal e Denisova, e rappresenta la linea che porta fino a noi, l’altra, afriacana, è rimasta immutata fino a poche decine di migliaia di anni fa, quando, incrociandosi con i sapiens provenienti dall’Eurasia, avrebbe dato origine agli odierni subsahariani. Ora perché, come fa Adinolfi, chiamare Heidelbergensis la varietà africana? Heidelberg è una città europea, e fino ai tempi odierni, è inverosimile che gli africani vi siano mai arrivati. Meglio, io penso, lasciare questo termine per la varietà eurasiatica nostra precorritrice.
Come era prevedibile, l’articolo di Adonolfi ha provocato la reazione collerica di Ethnopedia, la solita Ethnopedia che altre volte se l’è presa anche con noi, “la voce del padrone”, del potere mondialista in campo paleoantropologico. Secondo l’articolo, ma sarebbe meglio dire il pistolotto di Ethnopedia, noi commetteremmo l’errore o avremmo la pretesa di rifiutare l’Out of Africa semplicemente perché non ci piace. E’ la classica storia del bue che da del cornuto all’asino. Non sono coloro che rifiutano l’Out of Africa, ma coloro che vi si attano a tutti i costi, quelli che si pronunciano in base a una pura ubbia ideologica, e questo si vede molto bene: Adinolfi cita dati, ritovamenti, fossili che sono là nella loro incontestabile fisicità, come d’altra parte ho sempre fatto anch’io. Da parte di Ethnopedia, invece, abbiamo il puro enunciato ideologico e il borborigmo livoroso del disonesto preso in castagna.
Non saranno certo questi mezzucci a fermarci, a impedirci di risvegliare la consapevolezza delle persone.

NOTA:
Nell’illustrazione: A sinistra, questa elaborata M è l’immagine del profilo facebook di Michele Ruzzai. Al centro, il relitto della statua della libertà che è l’ultima inquadratura del film Il pianeta delle scimmie, il primo della lunga serie ispirata al romanzo di Pierre Boulle, che è anche l’immagine di copertina dell’omonimo gruppo facebook (particolare), a destra, il libro Intelligenze collettive di Silvano Lorenzoni. La foto riportata sulla coperrtina del libro è quella di un apicultore vietnamita che è riuscito a stabilire con le sue api un rapporto tale da potersene far ricoprire senza subire alcun danno.

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