14 Maggio 2024
Approfondimento

Risorgimento, rinascimento, rinascita pagana

abba
Di Fabio Calabrese
Come tutti sappiamo, la ricorrenza del 150° dell’unità italiana è stata occasione di discussioni piuttosto arroventate.
Forse non varrebbe nemmeno la pena di rilevare il fatto che la sinistra, dopo aver denigrato, deriso, screditato, sputato addosso a tutto ciò che sapesse anche vagamente di nazionale per sessant’anni, si è impadronita della celebrazione in modo del tutto strumentale per infastidire la Lega Nord. Semmai il dato interessante è constatare che i “compagni” hanno cambiato idea nel giro di una notte e in blocco, non solo si sono scoperti patrioti, ma si sono persuasi di esserlo sempre stati.
“Contrordine, compagni!”. Forse quando Giovanni Guareschi ha superbamente disegnato la figura del trinariciuto, era convinto di aver fatto una caricatura, invece ha solo riprodotto la realtà. In più, in questa capacità di alterare il ricordo del passato e di persuadersi in maniera spontanea delle proprie falsità, non è possibile non vedere qualcosa di orwelliano.
Per noi, almeno per quelli fra noi che non rinunciano a usare il cervello, il discorso è un tantino più complesso, per non dire che ci dibattiamo in una contraddizione: da un lato il riscatto del nostro popolo tornato a essere nazione dopo secoli di divisioni e di dominazioni straniere non può non coinvolgerci emotivamente, dall’altro il risorgimento appare inserito a livello europeo in quel complesso movimento antitradizionale, sovversivo, “liberale” che ha portato all’affermazione planetaria della democrazia, alla vittoria dell’oro sul sangue, alla fine della centralità planetaria europea, a portare il nostro continente prima sotto il tallone doppio della dominazione americano-sovietica, poi unicamente sotto quella americana.
   In realtà però la contraddizione è solo apparente. Una cosa, infatti, è stata l’insorgenza spontanea del nostro popolo contro la dominazione straniera, un’altra molto diversa l’azione di uomini che di essa si sono impadroniti per tutt’altre finalità, e non c’è alcuna contraddizione fra l’essere e il sentirsi italiani e l’essere e il sentirsi europei. L’ho spiegato con ampiezza nel mio saggio Il grande equivoco pubblicato sul n. 70 de “L’uomo libero” a cui vi rimando.
Il punto di vista cattolico, invece, non è difficile da capire. Al di là delle dichiarazioni buoniste degli alti esponenti del clero (per tutti, il cardinale Bertone che lo scorso settembre 2010 ha partecipato nientemeno che ai festeggiamenti per l’anniversario della presa di Porta Pia), che non riflettono altro che la tradizionale, inveterata ipocrisia ecclesiastica, il vero animo del “popolo dei credenti” si scopre andando a visitare i siti cattolici sul web, e qui troviamo un astio e un veleno che un secolo e mezzo non sembrano aver affatto attenuato. Che gli Italiani si siano ripresi ciò che era stato loro sottratto con la violenza e con l’inganno, per costoro continua a essere un’intollerabile usurpazione (Parlando di inganno, sarà bene ricordare che non solo la presunta donazione di Costantino con cui si pretese l’imperatore avesse donato alla Chiesa l’impero occidentale, è un falso di età medievale come dimostrò nel XV secolo l’umanista Lorenzo Valla, ma altrettanto fraudolenta fu la donazione di Sutri con cui venne costituito il primo nucleo effettivo del “Patrimonio di Pietro”, quello che sarebbe poi divenuto lo Stato della Chiesa. Il re longobardo Agilulfo intendeva restituire ai precedenti proprietari il castello di Sutri e altri possessi occupati dalle sue truppe; gli fu fatto credere che essi appartenessero alla Chiesa, ma in realtà erano bizantini).
Scopriamo con sorpresa che dei momenti della nostra storia nazionale, l’odio cattolico non si riversa solo sul risorgimento, ma risale indietro fino al rinascimento visto come un periodo di risorgenza pagana che ha messo il cristianesimo gravemente a rischio.
Ora accade che nei nostri ambienti, mentre del risorgimento si è parlato molto in tempi recenti, del rinascimento non si è parlato quasi per nulla.
E’ ovvio che il rinascimento presenta una differenza basilare rispetto al risorgimento, quella di essere stato un movimento culturale, letterario, filosofico, religioso, artistico, ma non politico; tuttavia fra questi due momenti della nostra storia c’è un rapporto, se non di continuità, d’implicazione logica, perlomeno nel senso che la grande fioritura intellettuale, culturale, artistica del rinascimento fu stroncata dalle invasioni e dominazioni straniere, diretta conseguenza della mancanza di quell’unità politica che il risorgimento doveva realizzare tre secoli più tardi.
Ora, quando i cattolici integralisti accusano il rinascimento di essere stato una rinascita di uno spirito pagano mai cancellato nell’antico ecumene romano-classico, non si potrebbe fare altro che ammettere che hanno pienamente ragione, e il discorso potrebbe finire qui.
Senonché sarà il caso di spendere qualche parola per questa rilevantissima stagione della nostra storia oggi così poco conosciuta al di là di qualche reminiscenza scolastico-libresca, e che rappresenta l’ultima volta in cui la cultura italiana è stata egemone a livello europeo.
Chiariamo subito che la distinzione fra umanesimo e rinascimento non ha in realtà molto significato. Con “umanesimo” ci si riferisce al periodo quattrocentesco e con “rinascimento” al cinquecento, oppure il primo termine indica il quattro-cinquecento in campo culturale, letterario e filosofico, mentre s’impiega preferibilmente il secondo nelle arti figurative, ma in realtà fra le due cose non c’è nessuna discontinuità.
Convenzionalmente, si fa iniziare l’umanesimo con il 1438. In quell’anno si tenne il concilio di Firenze che sancì la riunificazione della Chiesa ortodossa con la Chiesa cattolica. Si trattava in sostanza di una mossa dell’imperatore bizantino nella speranza di ottenere aiuto dalla cristianità occidentale contro la dilagante minaccia ottomana, e non era destinato a produrre effetti di rilievo né in campo politico né in campo religioso. Gli occidentali, infatti, si guardarono bene dal prestare aiuto a Bisanzio, e Costantinopoli cadrà in mano ai Turchi nel 1452.
Sommersa dalla catastrofe la Chiesa ortodossa dipendente dal patriarca di Costantinopoli, si riorganizzarono su base nazionale le diverse Chiese ortodosse greche, serba, russa e via dicendo, vanificando in concreto le decisioni del concilio del 1438.
Era già a quei tempi un dejà vu, una vicenda già vista, e trova strani parallelismi in tempi molto più vicini a noi. Tutte le volte che la cristianità, ma dovremmo dire l’europeità, orientale ha dovuto lottare per la propria sopravvivenza contro la montante marea islamica, e ha avuto la malaugurata idea di chiedere aiuto all’occidente, non ha trovato la mano fraternamente tesa ma la pugnalata alla schiena. Era successo nel 1204 quando i crociati, invece di muovere contro il nemico islamico, posero sotto assedio, espugnarono, saccheggiarono e incendiarono Costantinopoli; è successo di nuovo nella nostra epoca quando la NATO ha aggredito la Serbia in appoggio ai mussulmani della Bosnia e del Kossovo, dimostrando con chiarezza solare di non essere altro che un burattino nelle mani dei nemici dell’Europa.
Il concilio di Firenze ebbe tuttavia grande importanza in campo culturale, i bizantini, infatti, rimisero l’Europa occidentale, soprattutto l’Italia, in contatto con la tradizione culturale classica che in età medievale era andata in gran parte perduta, e in particolare col pensiero di Platone di cui l’occidente aveva perso memoria. Non a caso, a Firenze nacque quell’accademia platonica che ebbe in Marsilio Ficino la sua anima e nella corte medicea il suo mecenate.
Tutto questo è vero, ed è storicamente ben risaputo, tuttavia io azzarderei l’ipotesi che all’origine dell’umanesimo e del rinascimento vi sia una componente autoctona maggiore di quanto generalmente non si pensi, e una minore discontinuità con il medioevo comunale.
Occorre premettere che la cristianizzazione aveva coperto una linea di faglia dell’Europa perché un conto era dove essa, si era affermata su popolazioni fin allora barbariche, e un conto del tutto diverso là dove si era insediata sui resti di un’antica cultura fra le più elevate che l’antichità abbia conosciuto, in parte assorbendola e distorcendola per i propri scopi, in parte distruggendola e cancellandola; distruzione e cancellazione non così complete come sembrava a una considerazione superficiale.
Sotto il manto cristiano si celavano due Europe fra le quali esistevano importanti differenze, e non è un caso che l’antica linea di faglia segnata dal limes romano riapparirà con chiarezza con la Riforma. Questo è un punto che occorre avere ben chiaro per capire cosa è realmente successo in Europa dalla metà del cinquecento in avanti. Per il mondo latino e in particolare per l’Italia, il rifiorire di una cultura laica – e vedremo che non esistono stacchi significativi fra l’età comunale e il quattrocento umanistico – significò in maniera del tutto naturale riscoprire la cultura classica (e le sue innegabili componenti pagane), una cultura a cui invece l’Europa centro-settentrionale era rimasta estranea.
La Riforma protestante fu una reazione contro l’autoritarismo verticistico e la corruzione della Chiesa “romana” (romana, s’intende sempre nello stesso senso in cui un cancro appartiene alla persona che ne è affetta) ma fu anche un movimento anti-umanistico e anti-rinascimentale ispirato da un odio genuinamente cristiano per la cultura, e non a caso attecchì presso popoli che erano rimasti fuori dall’ecumene romano.
A sua volta, la Chiesa cattolica di cui l’umanesimo e il rinascimento avevano intaccato l’egemonia culturale ma non certo quella politica e la possibilità di pervadere la società dei Paesi non riformati con un brutale potere costrittivo, reagì imponendo la sua ortodossia con estrema violenza. Il movimento umanistico-rinascimentale si trovò attaccato e soffocato da due parti, da entrambe le branche in cui il cristianesimo si era diviso.
Uno dei più prestigiosi storici della letteratura italiana, Giuseppe Petronio, ha parlato di rinascimento “strozzato”. Strozzato, soffocato, schiacciato non soltanto dalle invasioni straniere che hanno saccheggiato e immiserito l’Italia (un’alta cultura non può sopravvivere quando la società che l’ha espressa s’impoverisce), ma anche dal fanatismo simmetrico, dalla persecuzione da parte della Riforma e della Controriforma, con la riemersione in entrambe dell’odio cristiano verso la cultura di San Paolo ci aveva già dato testimonianza.
La grande frattura storica non si situa probabilmente fra il medioevo e il quattrocento umanistico, ma fra l’età del feudo e quella del comune. L’età feudale era un’epoca in cui la Chiesa aveva letteralmente il monopolio della cultura, addirittura dell’alfabetismo con le masse contadine tenute nell’ignoranza e il ceto nobiliare-cavalleresco del pari incolto e refrattario all’alfabeto, pago di essere il braccio armato della Chiesa stessa.
Con l’età comunale rinascono le città, i commerci, un ceto borghese. Il mercante, figura che ha una grande espansione nell’età comunale, non solo ha bisogno di conoscere la scrittura e il calcolo per condurre i suoi affari: è un uomo che viaggia, la sua esperienza lo mette a contatto con luoghi e con genti diverse, è uno il cui stile di vita affina la curiosità intellettuale, e ben presto trova angusta la gabbia in cui il clero tiene strette la cultura e la società europee. Il XII e il XIII secolo sono l’epoca della grande fioritura dei movimenti ereticali: catari, valdesi, patarini, gioachimiti, dolciniani.
Questi movimenti sono molto diversi dai movimenti pauperistici altomedievali; questi ultimi  erano moti di ribellione di masse di contadini sfruttati; nei “nuovi” movimenti ereticali, invece è forte non solo la coscienza dell’ingiustizia dei privilegi degli ecclesiastici e dei signori feudali, ma anche di quell’altra ingiustizia consistente nella confisca della cultura e del pensiero da parte del clero. Più che essere “ereticali” debordano fuori dal cristianesimo. Si pensi solo a cosa sono stati i catari o albigesi, e alla violenza, fra le più bestiali che l’Europa avesse fin allora visto, messa in atto per sradicarli.
Il catarismo fu una vera e propria rinascita pagana, forse la più importante dell’Età di Mezzo; e per quel che ne sappiamo, univa insieme idee del tardo paganesimo, sommerse ma non del tutto cancellate dalla cristianizzazione: idee neoplatoniche, manichee e gnostiche. Dal manicheismo, il catarismo derivava l’idea del mondo come terreno di scontro radicale fra il bene e il male, la luce e la tenebra, lo spirito e la materia. Probabilmente attraverso la tradizione pitagorica e quella platonica, i catari recepirono dall’orfismo l’idea che il mondo della materia è un carcere nel quale le anime sono imprigionate, e il Dio degli ebrei e dei cristiani, creatore di “questo mondo” fu identificato con il principio negativo. Ancor più opposta al cristianesimo, era l’idea mutuata dal pensiero gnostico, che ciò che salva non è né “la grazia” né la fede ma la conoscenza.
Davvero non stupisce che fra tutte le tendenze ereticali, lo gnosticismo sia sempre stato quella che la Chiesa ha combattuto con maggiore determinazione. Se la ragione umana e la conoscenza sono “ciò che salva”, allora la “rivelazione” e l’istituzione ecclesiastica incaricata di trasmetterla attraverso i secoli, diventano del tutto inutili. Non sorprende che la Chiesa in combutta con i re di Francia abbia stroncato il movimento cataro con estrema brutalità, indicendo una crociata che non ebbe nulla a che invidiare per violenza a quelle condotte in Oriente.
Che la vera frattura non si situi fra l’età umanistico-rinascimentale e il medioevo comunale ma fra quest’ultimo e il feudalesimo, lo dimostra anche una figura di intellettuale notissimo e assurto a simbolo della civiltà comunale stessa, ma assai poco compreso, ignorato nel suo aspetto più “scomodo”, Dante Alighieri.
Che nella Divina Commedia vi sia un insegnamento esoterico, Dante è il primo ad affermarlo invitando a cogliere la verità celata “sotto il velame delli versi strani”. Per quanto molti si siano soffermati a fantasticare di un “esoterismo cristiano” o di un “cristianesimo esoterico”, l’idea dell’esoterismo, di una verità per pochi eletti che è pericoloso rivelare alle moltitudini, va di per sé contro il cristianesimo, religione plebea quant’altre mai.
Di quale esoterismo si trattasse, in realtà non è molto misterioso, sono noti i legami di Dante e dei poeti del Dolce Stil Novo con il movimento esoterico dei Fedeli d’Amore (Amore che si può intendere sia in senso carnale sia in senso mistico), e i legami di questi ultimi con il movimento ghibellino e con la corte palermitana, così com’è noto che il ghibellinismo fu un movimento inteso a contrapporsi allo strapotere ecclesiastico.
In diversi punti della Divina Commedia, Dante sembra volerci indicare di non prendere troppo sul serio la sua ostentazione “ufficiale” di cristianesimo: ad esempio nel Paradiso i santi hanno la stessa saccenteria degli ecclesiastici dei suoi tempi (e di quelli di oggi). Avendo rivolto una domanda a uno di loro, si sente rispondere:
“Or chi sei tu che vuoi sedere a scranna
E giudicar lontano mille miglia
Con la veduta corta di una spanna?”
Altro fatto risaputo, è che i cavalieri templari offrirono protezione a molti albigesi durante e dopo la crociata scatenata contro questi ultimi, ed erano poi destinati a loro volta a cadere vittime della spietata macchina di distruzione formata dalla “santa” alleanza fra il papato e il re di Francia, anche se è puramente leggendario che i templari sarebbero stati custodi del Santo Graal dopo i catari-albigesi.
Non a caso nella Divina Commedia Dante ha parole infiammate contro la distruzione dell’ordine dei templari:
“Veggio lo novo Pilato sì crudele
Che ciò nol sazia, ma sanza decreto
Porta nel Tempio le cupide vele”.
Che ci mostrano il re di Francia Filippo il Bello, distruttore dell’ordine templare (lo novo Pilato) che porta nel Tempio (nelle capitanie templari) le vele avide alla maniera di un vascello saraceno venuto per distruggere e saccheggiare.
Più oltre troviamo un’allusione spregiativa al re francese, che morì aggredito da un cinghiale durante una battuta di caccia, e che egli descrive come “Quei che morrà d’un colpo di cotenna”.
Ma soprattutto la Divina Commedia, a saper ben guardare, è costellata di allusioni che ci fanno capire che il cristianesimo di Dante è una vernice esteriore che doveva coprire tutt’altro. Ad esempio, parlando della Fortuna:
“Et ella giudica et persegue, Fortuna suo regno,
Come il loro li altri dei”.
Ancora, egli attribuisce la litigiosità e bellicosità dei fiorentini all’influenza del dio Marte sotto il cui segno la città era stata fondata, e i resti di una statua del nume erano ancora visibili ai tempi del poeta.
La cosa che personalmente trovo più sorprendente sono le parole che il poeta immagina incise sul frontone della porta della città infernale di Dite:
“Fecemi la Divina Potestate
La Suprema Sapienza,
Il Primo Amore”.
Potere, Sapere, Amore: guarda caso, sono i tre principi cosmici della religione druidica simboleggiati nella triplice spirale del triskell. Chi era veramente Dante Alighieri? Un druido riemerso da un buio di secoli?
Noi capiamo a ogni modo che se il concilio di Firenze del 1438 e il rinnovato contatto con la cultura greca sono stati importanti per l’avvio del moto umanistico-rinascimentale, i semi così gettati andavano a cadere su di un terreno che era già molto fertile di suo.
La scienza che gli umanisti svilupparono fu la filologia, lo studio delle lingue e dei testi allo scopo di riportare questi ultimi alle versioni originali nel quadro di una corretta interpretazione storica. Questo, per la Chiesa che aveva sempre nutrito il proprio potere di falsificazioni ed equivoci, non poteva significare altro che brutti mali di pancia, e così fu.
La famosa donazione di Costantino, documento con il quale si riteneva che l’imperatore avesse donato alla Chiesa l’impero occidentale, si rivelò un falso di età medievale, ma la cosa non era certo finita lì.
La fine del quattrocento è l’epoca dell’umanesimo civile, dell’impegno politico di Machiavelli e Guicciardini. Costoro reagiscono alla crisi iniziata nel 1494 che apre la serie delle invasioni straniere. Entrambi individuano con chiarezza le cause della debolezza italiana nella presenza della Chiesa cattolica e del suo staterello, lo “Stato della Chiesa” che interrompe l’unità della Penisola. Machiavelli osserva che il papato è sempre stato la causa delle disgrazie italiane perché non abbastanza forte per unificare l’Italia, è sempre stato sufficientemente forte per impedire che qualcun altro lo facesse.
Le pagine di Francesco Guicciadini meritano di essere annoverate fra i classici dell’anticlericalismo: egli scrive di aver riscontrato nei preti così tanti vizi e così opposti “che non possono stare insieme che in un animale ben strano” e che il suo sogno sarebbe di vederli ridotti “o senza vizi o senza seguaci” o, come scrive in un altro punto, di vedere “l’Italia libera dalla tirannia dei preti”.
Altrove precisa che la familiarità che ha avuto con vari pontefici lo ha spinto ad amare la loro grandezza per il proprio interesse, e non fosse stato per questo, avrebbe amato Martin Lutero come se stesso.
Probabilmente Machiavelli non avrebbe invece provato nessun amore verso Martin Lutero. Al riguardo, il tema della corruzione della Chiesa, già allora vecchio e scontato, era ben poco originale, e il protestantesimo non era che una nuova varietà dello stesso male cristiano. (In altri articoli ho già espresso il concetto che il protestantesimo certamente non ha la struttura piramidale della Chiesa cattolica né il suo potere condizionante sulle strutture politiche, ma vi supplisce con il fanatismo e l’ossessione biblica, sicché delle due varianti del cristianesimo è ben difficile o impossibile dire quale sia la peggiore).
Machiavelli va ben più in là di Guicciardini, il male non è la Chiesa più o meno corrotta, ma la dottrina stessa del Discorso della Montagna.
“Il cristianesimo”, egli afferma, “Ha effeminato il mondo e l’ha dato in mano ai malvagi, perché gli uomini preferiscono sopportare le offese per guadagnarsi il paradiso, piuttosto che vendicarle”.
Allo stesso tempo, Machiavelli manifesta tutta la sua simpatia per le religioni antiche che cementavano il senso di appartenenza degli uomini alla comunità invece di distruggerlo come fa il cristianesimo. Una critica che per la sua lucidità e la sua radicalità rimarrà a lungo insuperata, almeno fino a Rousseau e a Nietzsche.
Bisogna però notare che anche riguardo al problema della debolezza dell’Italia conseguente alla mancanza di unità, che la rendeva facile preda di qualsiasi invasore straniero, non c’è una vera discontinuità fra medioevo comunale e umanesimo-rinascimento. Lo avvertiamo nella dolorosa consapevolezza sottintesa alle parole di Dante:
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
Nave sanza nocchiero in gran tempesta,
Non donna di province, ma bordello”.
L’Italia che non è più come al tempo di Roma, signora (“donna”) di province, ma a disposizione di chiunque voglia approfittarne.
Parole che viene da chiedersi se abbiano mai perso attualità, e che certamente ne hanno riacquistata parecchia dopo il 1945. Parole che sono anche una bruciante sconfessione di quegli storici, soprattutto di ispirazione marxista, che pretendono che gli uomini dell’Età di Mezzo non avessero il senso della nazionalità (o quest’ultima viene ridotta a invenzione borghese dell’età romantica). Ma a ben guardare, la differenza fra cristiani e marxisti e scarsa o minima.
A Dante fa eco altrettanto accorato Francesco Petrarca con la canzone All’Italia, che però è illuminata da una speranza di riscatto:
“Virtù contra furore prenderà l’armi e fia il combatter corto
Che l’antico valore negli italici cor non è ancor morto”.
Se vogliamo rinascere, noi Italiani dobbiamo essere consapevoli di ciò che veramente siamo, gli eredi della grandezza di Roma e ispirarci a questa consapevolezza. Credo che anche questo non sia meno vero oggi rispetto ai tempi di Petrarca.
A guardare bene, tra il medioevo comunale di Dante e Petrarca e l’umanesimo civile quattro-cinquecentesco, non c’è nessuno stacco.
Il concilio di Firenze del 1438 portò alla riscoperta del pensiero di Platone, e non è un caso che proprio a Firenze nasce l’Accademia platonica guidata da Marsilio Ficino. L’opera più nota di Ficino è la Theologia platonica che è un tentativo di dimostrare, con metodi invero alquanto grotteschi, la perfetta concordanza fra filosofia platonica e religione cristiana anche attraverso supposizioni del tutto infondate, ad esempio là dove immagina che Pitagora sarebbe stato discepolo di Mosè. Ciò sa fortemente di excusatio non petita, e platonismo e cristianesimo sono effettivamente inconciliabili, perché se attraverso la ragione e il mito l’uomo può penetrare nella dimensione trascendente, allora la “rivelazione” cristiana è inutile e si disegna una prospettiva nulla affatto diversa da quella dello gnosticismo.
Se l’uomo può, come sostiene Ficino, “indiarsi”, ricongiungere alla (alle) divinità la scintilla divina che è in lui, non ha bisogno di essere redento, ma può diventare il redentore di se stesso.
Ficino non mostrò mai di essere consapevole del fatto che la via che andava tracciando usciva del tutto al di fuori del cristianesimo. Giordano Bruno, muovendosi sulle sue orme, mostrò di aver raggiunto questa consapevolezza, e sappiamo che la Chiesa gliela fece pagare in maniera atroce, ma abbiamo anche la testimonianza di Giorgio Vasari che riguardo a Leonardo Da Vinci ci dice che “era platonico al punto di non essere cristiano”.
Il platonismo si fonde con il naturalismo rinascimentale; quanto meno Giordano Bruno e Leonardo Da Vinci sono partecipi di entrambi, e se Tommaso Campanella, il maggior esponente del naturalismo assieme a Bernardino Telesio, evitò il rogo, fu solo fingendosi pazzo e scontando comunque lunghi anni di detenzione. La Chiesa controriformata non tollerava alcuna originalità di pensiero in nessun campo. Analogamente solo la tarda età, la sua fama di scienziato e una pronta abiura salvarono dal rogo Galileo Galilei, che fu però condannato al carcere a vita poi commutato nel confino nella sua villa di Arcetri.
C’è qui un problema complesso a cui per le finalità di questo articolo non si può accennare altro che per sommi capi: il rapporto fra l’eredità di Platone, il platonismo rinascimentale e le origini della scienza moderna.
Lo storico della scienza Alexandre Koyré ha sostenuto che la rivoluzione scientifica moderna inizia grazie al recupero rinascimentale dell’eredità di Platone, in particolare la riscoperta della centralità della matematica, applicata da Galileo all’indagine del reale. Koyré è arrivato a dire che la scienza moderna è “una rivincita di Platone”. E’ una concezione che si può avallare solo in parte, perché per Platone la matematica non era, come per Galileo, lo strumento per la conoscenza del reale, ma l’oggetto di una conoscenza “più alta” di quella riguardante il mondo fisico.
Se la scienza moderna è la rivincita di un pensatore dell’antichità, lo è piuttosto di Archimede. Su ciò, si veda il mio articolo Leggende manualistiche pubblicato sul Bollettino della Società Filosofica Italiana.
D’altra parte lo stesso aristotelismo insegnato nelle università era andato incontro a un’importante evoluzione; ad esempio nel campo della fisica la teoria della vis impressa che prelude alla scoperta galileiana del principio d’inerzia. Qualcosa è opportuno dire anche dell’aristotelismo rinascimentale e di Pietro Pomponazzi che lo “rimise a posto” dopo le alterazioni compiute da Tommaso D’Aquino per trasformarlo in una propedeutica alla teologia cristiana.
Pomponazzi, che era molto consapevole dei pericoli insiti nell’urtare contro l’intolleranza ecclesiastica, elaborò la teoria della “doppia verità”: una è la verità della fede, altra cosa è quella della ragione, che in definitiva riguarda solo i dotti.
E’ curioso che questa teoria, diventata oggi “dei magisteri non sovrapponibili”, che un tempo era una specie di scudo dei liberi pensatori contro le persecuzioni ecclesiastiche, sia diventata oggi una scappatoia per il cristianesimo per sottrarsi alle brucianti sconfessioni della ragione e della scienza.
E’ da notare anche l’odio manifestato da Martin Lutero, inteso a riportare il cristianesimo al fanatismo distruttivo dei tempi antichi, verso Aristotele che egli definiva un “morto idolatra” che avrebbe a suo dire corrotto tutta la religione cristiana; un’avversione che è forse l’espressione più lampante dell’odio cristiano verso la cultura, al punto tale da mettere voglia di essere aristotelici per ripicca.
E’ dubbio che Galileo possa essere considerato in qualche modo un platonico, ma fu certamente un frutto, il più tardivo, della cultura rinascimentale, del rinascimento “strozzato” dalle invasioni straniere ma soprattutto dal pugno di ferro della Chiesa controriformata. Con il processo a Galileo, la Chiesa tolse all’Italia l’ultima possibilità di esercitare un ruolo egemone nella cultura europea, mentre l’eredità galileiana veniva raccolta da Newton in Inghilterra e da Huygens in Olanda, ossia nelle parti dell’Europa maggiormente imbevute di spirito protestante-calvinista e massonico. Il “pensiero massonico” a sua volta non è che una sorta di cristianesimo razionalizzato sostituendo “Il Grande Architetto dell’Universo” a Dio Padre, unito a cascami di esoterismo.
Questo spirito calvinista-massonico che si impadronì della rivoluzione galileiana, è poi all’origine di tutti i fenomeni patologici della modernità, o se vogliamo della modernità come fenomeno patologico.
 Il dibattito sull’umanesimo-rinascimento ha avuto una “coda” novecentesca con la Lettera sull’umanesimo di Martin Heidegger, forse una delle poche opere in cui il filosofo esistenzialista non si sia nascosto dietro la solita cortina fumogena di neologismi, termini incomprensibili, violenze alla grammatica. L’umanesimo, argomenta Heidegger, non è cosa che possa interessare un cristiano, il cristiano non ha fiducia nell’uomo, ha fede in Dio.
Fatto abbastanza singolare, il discorso di Heidegger viene a sovrapporsi quasi perfettamente con quello dell’ultimo dei “Nouveaux Philosophes” francesi, Emmanuel Levinas. Quest’ultimo osserva che “la filosofia cristiana” costituisce un equivoco bimillenario perché l’atteggiamento fideistico del credente è incompatibile con quello del filosofo che vuole innanzi tutto capire, e propone niente di più e niente di meno che il ritorno alla “semplice fede” degli “antenati”.
Quale fede e quali antenati? I suoi, a giudicare dal cognome, dovrebbero avere una non tanto remota provenienza mediorientale, cosa che non si può dire della maggior parte di noi, specie quelli che non accettano di essere “spiritualmente semiti” secondo le parole di un non certo rimpianto pontefice.
Chiarito l’equivoco, ognuno si prende il suo. Noi che siamo figli di Roma, dell’umanesimo, del rinascimento, noi che alla fede che in teoria dovrebbe smuovere le montagne ma nella pratica non produce risultati apprezzabili, preferiamo la volontà che le scala, sappiamo cosa scegliere, non possiamo avere il minimo dubbio su quale sia la nostra eredità.
La Chiesa che oggi condanna il risorgimento e il rinascimento, probabilmente sopravvaluta il seguito di cui ancora dispone, e non si avvede che denigrando i momenti più alti della nostra storia degli ultimi due millenni, si tira per così dire la zappa sui piedi. Qualsiasi rinascita politica, culturale o altro, italiana, non può non guardare al modo il cui il cristianesimo ha fatto precipitare in basso la nostra Italia (da “donna di province” a “bordello”), ma soprattutto non può non guardare alla grandezza di Roma di cui noi siamo gli eredi, e non essere animata dalla volontà di recuperare quel tesoro politico, culturale e spirituale di cui il cristianesimo e la Chiesa ci hanno derubati.

10 Comments

  • Aretè 21 Novembre 2011

    Con questo scritto il professor Calabrese fa capire cosa emerge dietro il fronte anti Risorgimento: il Cristianesimo,movimento politico cosmopolita che si vide tolte le terre e le ricchezze dalla Bandiera Italiana. Pochissime ed ininfluenti le eccezioni contro il Risorgimento da parte Pagana il che offre un quadro di desolante piagnisteo clericale per la Vittoria del Risorgimento. Il Rinascimento,la pagina più bella degli Italici assieme all’Impero Romano è stato il segno tangibile della rinascita degli Dei Autoctoni Indoeuropei. Il suo messaggio è vitalissimo,costruire l’Europa con i Miti e Simboli dell’Ellade,Roma Imperiale,Celtismo che dall’Arte espressa nel Rinascimento dovrà raggiungere la Politica. Quella Politica non più avvilita dal cosmopolitismo pre marxista del Cristianesimo, ma vivificata dalle Origini Politeiste della Civiltà Europea. Che l’Iliade,l’Eneide,l’Odissea tornino ad essere i Libri Sacri degli Indoeuropei d’Occidente. Arete776@libero.it

  • Aretè 21 Novembre 2011

    Con questo scritto il professor Calabrese fa capire cosa emerge dietro il fronte anti Risorgimento: il Cristianesimo,movimento politico cosmopolita che si vide tolte le terre e le ricchezze dalla Bandiera Italiana. Pochissime ed ininfluenti le eccezioni contro il Risorgimento da parte Pagana il che offre un quadro di desolante piagnisteo clericale per la Vittoria del Risorgimento. Il Rinascimento,la pagina più bella degli Italici assieme all’Impero Romano è stato il segno tangibile della rinascita degli Dei Autoctoni Indoeuropei. Il suo messaggio è vitalissimo,costruire l’Europa con i Miti e Simboli dell’Ellade,Roma Imperiale,Celtismo che dall’Arte espressa nel Rinascimento dovrà raggiungere la Politica. Quella Politica non più avvilita dal cosmopolitismo pre marxista del Cristianesimo, ma vivificata dalle Origini Politeiste della Civiltà Europea. Che l’Iliade,l’Eneide,l’Odissea tornino ad essere i Libri Sacri degli Indoeuropei d’Occidente. Arete776@libero.it

  • Riccardo Marzola 24 Novembre 2011

    Pregevole come sempre questo articolo del prof. Calabrese. In effetti non sempre è stata colta in tutta la sua portata la continuità fra il Rinascimento e il Risorgimento. Una continuità invero evidenziata fra le altre cose dalla Filatelia: si pensi ad esempio alla serie “michelangiolesca” dei francobolli emessi nel 1961 in occasione del 1° centenario dell’unità nazionale o a quelli del 1911 (cinquantenario) con soggetti esplicitamente pagani come quello da 10 centesimi con una iconografia classica e la dicitura IVTVRNAI SACRVM o quello da 15 centesimi intitolato niente meno che alla DEA ROMA.

  • Riccardo Marzola 24 Novembre 2011

    Pregevole come sempre questo articolo del prof. Calabrese. In effetti non sempre è stata colta in tutta la sua portata la continuità fra il Rinascimento e il Risorgimento. Una continuità invero evidenziata fra le altre cose dalla Filatelia: si pensi ad esempio alla serie “michelangiolesca” dei francobolli emessi nel 1961 in occasione del 1° centenario dell’unità nazionale o a quelli del 1911 (cinquantenario) con soggetti esplicitamente pagani come quello da 10 centesimi con una iconografia classica e la dicitura IVTVRNAI SACRVM o quello da 15 centesimi intitolato niente meno che alla DEA ROMA.

  • Riccardo 21 Dicembre 2011

    Testo molto interessante ed esaustivo. Non solo ammette il collegamento tra l’Età Classica e le età rinascimentale e poi risorgimentale (in Italia), ma afferma che questa continuità, chiamiamola così, di sangue, di tradizione romana tutt’oggi non è dissolta, anzi…
    La ringrazio infinitamente per avermi concesso questa lettura. oreste_pnf@yahoo.it

  • Riccardo 21 Dicembre 2011

    Testo molto interessante ed esaustivo. Non solo ammette il collegamento tra l’Età Classica e le età rinascimentale e poi risorgimentale (in Italia), ma afferma che questa continuità, chiamiamola così, di sangue, di tradizione romana tutt’oggi non è dissolta, anzi…
    La ringrazio infinitamente per avermi concesso questa lettura. oreste_pnf@yahoo.it

  • sinwan85Gmail.com 2 Gennaio 2012

    IL CRISTANESIMO COSIDETTO E^ UN’ASTRAZIONE-ANTRAZIONE DEMOCRATICA E NON UNA CONCRE(A)TEZZA POLITEICA !!!!!! LA CAPIONE COMPREHENSONE DEL KHRISTOS NULLA HA A CHE FARE CON LA SUPERSTIZIONE CRISTIANA O PAGANA O EBRAICA CHE SIA URGE IL RELIGIO POLARE PRIMORDIALE DEL PALLADYON-PALLADIUM CHE SI RIVERBERA IN TUTTE LE RELIGIONI VARIE ACCONCE NEI MODI AL METHODO !!!!! Sinwan Lanwan Orioneo

  • sinwan85Gmail.com 2 Gennaio 2012

    IL CRISTANESIMO COSIDETTO E^ UN’ASTRAZIONE-ANTRAZIONE DEMOCRATICA E NON UNA CONCRE(A)TEZZA POLITEICA !!!!!! LA CAPIONE COMPREHENSONE DEL KHRISTOS NULLA HA A CHE FARE CON LA SUPERSTIZIONE CRISTIANA O PAGANA O EBRAICA CHE SIA URGE IL RELIGIO POLARE PRIMORDIALE DEL PALLADYON-PALLADIUM CHE SI RIVERBERA IN TUTTE LE RELIGIONI VARIE ACCONCE NEI MODI AL METHODO !!!!! Sinwan Lanwan Orioneo

  • Michele Simola 15 Aprile 2023

    La chiesa di Roma è da due millenni il cancro che attanaglia il continente Europeo e che ha ridotto gli eredi della grande Roma repubblicana prima e imperiale poi, ad un paese del terzo mondo. Con la protervia dei suoi rappresentanti rappresentanti che ficcano il naso negli affari della politica Italiana, il loro ecumenismo non è altro che odio per aver perso il potere temporale l’unica cosa che interessava loro. Non è bastato avere impedito l’unità nazionale per quasi due millenni, il loro infinito odio e il falso buonismo li porta a richiamare nel nostro paese un soverchiante numero di diseredati provenienti dal continente nero che nei prossimi anni ammorberanno quello che è stato il bel paese con le loro usanze e i loro costumi, che di civile non hanno nulla. Se si continua sulla strada della cosidetta “accoglienza”, inutile accoglioneria i cui costi sono a carico degli autoctoni, fra vent’anni non ci saranno più Italiani veri, ma un manipolo subumano di meticci e islamici vari.Le nostre città da Roma a Milano saranno più simili a metropoli africane, piene di cenciosi accattoni e venditori ambulanti. Tutto ciò mi fa ribrezzo, la Roma che conquistò il mondo conosciuto “conquistata da falsi profughi, che una volta installatisi a casa nostra credono, grazie a politici e magistrati, di poter fare ciò che vogliono e avanzano diritti che non spettano loro: già oggi sono privilegiati nell’edilizia popolare e in tante altre cose in cui sopravanzano i nativi autoctoni.
    E’ disgustoso vedere che padre Dante che tanto si è speso per il nostro paese, non trovi credito presso i contemporanei. Dante, forse mi sbaglio, a mio avviso era tutt’altro che cristiano, lo credo più gnostico, un druido dei suoi tempi ma non cristiano. Senza l’aura di credente di sicuro sarebbe finito al rogo, con le parole di Foscolo è più un “ghibellin fuggiasco” che guelfo.
    Non credo che possa scindersi età dei comuni, umanesimo e rinascimento, senza l’uno non avremmo avuto l’altro, la luminosa età umanistico-rinascimentale, permeata da una grande luminosità artistica, filosofica, architettonica, poetica. E’, a mio parere molto sottovalutata l’opera poetica, narrativa e saggistica del tardo quattrocento e del cinquecento, che ha visto poeti e scienziati, ingegneri, artisti del calibro di Leonardo, di Michelangelo, Tiziano, Raffaello, Machiavelli e Guicciardini. Ricordo che a scuola nei primi anni 70 del novecento erano considerati artisti minori e di Machiavelli addirittura si studiava a malapena la vita. Machiavelli lo studiammo meglio in filosofia che non in letteratura! Mi sento di dire che sono tutti autori fondamentali che un liceo classico dovrebbe assolutamente non sottovalutare.
    La nostra storia dovrebbe essere maggiormente valorizzata e appresa, per disgrazia la scuola di oggi in mano ad una sinistra scriteriata e antinazionale, vuole essere “inclusiva” e pertanto tanti di questi autori cadranno nel dimenticatoio assieme alla grandezza di un tempo che fù.

  • Michele Simola 15 Aprile 2023

    La chiesa di Roma è da due millenni il cancro che attanaglia il continente Europeo e che ha ridotto gli eredi della grande Roma repubblicana prima e imperiale poi, ad un paese del terzo mondo. Con la protervia dei suoi rappresentanti rappresentanti che ficcano il naso negli affari della politica Italiana, il loro ecumenismo non è altro che odio per aver perso il potere temporale l’unica cosa che interessava loro. Non è bastato avere impedito l’unità nazionale per quasi due millenni, il loro infinito odio e il falso buonismo li porta a richiamare nel nostro paese un soverchiante numero di diseredati provenienti dal continente nero che nei prossimi anni ammorberanno quello che è stato il bel paese con le loro usanze e i loro costumi, che di civile non hanno nulla. Se si continua sulla strada della cosidetta “accoglienza”, inutile accoglioneria i cui costi sono a carico degli autoctoni, fra vent’anni non ci saranno più Italiani veri, ma un manipolo subumano di meticci e islamici vari.Le nostre città da Roma a Milano saranno più simili a metropoli africane, piene di cenciosi accattoni e venditori ambulanti. Tutto ciò mi fa ribrezzo, la Roma che conquistò il mondo conosciuto “conquistata da falsi profughi, che una volta installatisi a casa nostra credono, grazie a politici e magistrati, di poter fare ciò che vogliono e avanzano diritti che non spettano loro: già oggi sono privilegiati nell’edilizia popolare e in tante altre cose in cui sopravanzano i nativi autoctoni.
    E’ disgustoso vedere che padre Dante che tanto si è speso per il nostro paese, non trovi credito presso i contemporanei. Dante, forse mi sbaglio, a mio avviso era tutt’altro che cristiano, lo credo più gnostico, un druido dei suoi tempi ma non cristiano. Senza l’aura di credente di sicuro sarebbe finito al rogo, con le parole di Foscolo è più un “ghibellin fuggiasco” che guelfo.
    Non credo che possa scindersi età dei comuni, umanesimo e rinascimento, senza l’uno non avremmo avuto l’altro, la luminosa età umanistico-rinascimentale, permeata da una grande luminosità artistica, filosofica, architettonica, poetica. E’, a mio parere molto sottovalutata l’opera poetica, narrativa e saggistica del tardo quattrocento e del cinquecento, che ha visto poeti e scienziati, ingegneri, artisti del calibro di Leonardo, di Michelangelo, Tiziano, Raffaello, Machiavelli e Guicciardini. Ricordo che a scuola nei primi anni 70 del novecento erano considerati artisti minori e di Machiavelli addirittura si studiava a malapena la vita. Machiavelli lo studiammo meglio in filosofia che non in letteratura! Mi sento di dire che sono tutti autori fondamentali che un liceo classico dovrebbe assolutamente non sottovalutare.
    La nostra storia dovrebbe essere maggiormente valorizzata e appresa, per disgrazia la scuola di oggi in mano ad una sinistra scriteriata e antinazionale, vuole essere “inclusiva” e pertanto tanti di questi autori cadranno nel dimenticatoio assieme alla grandezza di un tempo che fù.

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