11 Aprile 2024
Religione

Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?, venticinquesima parte – Fabio Calabrese

Gli anglosassoni la chiamano serendipity, un termine che non ha una traduzione precisa in italiano, che talvolta viene tradotto come “serendipità”, che non è una bella parola, ma a quanto pare, non abbiamo niente di meglio, indicherebbe la capacità di fare scoperte impreviste. Forse potremmo parlare semplicemente di fortuna, tuttavia si tratta di quel genere di fortuna che il più delle volte capita a chi si è addentrato in un campo di ricerca accumulando lavoro ed esperienza, è quanto meno una sorta di ponte tra il caso fortuito e il lavoro accuratamente preparato.

Questa serie di articoli che, anche per uno come il sottoscritto che ama le trattazioni di ampio respiro, credo sia la più ampia e longeva di quelle che ho pubblicato sulle pagine di “Ereticamente”, eccezion fatta per Una Ahnenerbe casalinga, che io penso non vada considerata tanto una serie di articoli quanto una vera e propria rubrica, si pone sotto il segno della serendipità.

Vedendo di riassumere brevemente, voi sicuramente ricorderete che da quando ho iniziato la mia collaborazione con “Ereticamente”, ho pubblicato svariati articoli riguardanti la remota antichità o quell’area preistorica-protostorica riguardo a cui la documentazione (testuale, archeologica, paleoantropologica) di cui disponiamo è veramente scarsa, tuttavia è essenziale per la comprensione delle nostre origini, e di conseguenza di noi stessi e del nostro posto nel mondo.

Oltre a Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?, dedicato appunto a confutare la leggenda di una presunta derivazione da oriente di tutti gli aspetti più rilevanti della civiltà europea, leggenda che continua ancora oggi a essere propalata da qualsiasi libro di testo o programma mediatico divulgativo (iniziano praticamente tutti con la storiella della Mezzaluna Fertile, per passare poi a raccontarci delle piramidi egizie e delle ziggurat mesopotamiche, ignorando a bella posta che le costruzioni megalitiche europee come Stonehenge e la tomba irlandese di Newgrange sono di un millennio – o di diversi millenni come l’antichissimo circolo megalitico tedesco di Gosek – più antiche), ho dedicato alcuni articoli a esaminare l’origine degli Indoeuropei e a quelli che ho chiamato i “popoli sull’orlo della storia” cioè quei popoli che la tripartizione delle popolazioni caucasiche in semitiche, camitiche, indoeuropee, collegata alla leggenda biblica di Noè e dei suoi tre figli Sem, Cam, Jafet, lascia in un indistinto cono d’ombra (la bibbia, a mio parere, non va considerata un testo né storico né scientifico), e non si tratta di gruppi trascurabili, ma di culture importanti, ad esempio, per quel che riguarda l’Italia, quella etrusca.

A un certo punto, per non complicare troppo la vita né a voi lettori né a me stesso, ho deciso di raccogliere tutti i miei scritti riguardanti le tematiche delle origini sotto un unico titolo: Una Ahnenerbe casalinga, ricordando appunto che la Società Ahnenerbe era stata creata dal Terzo Reich per ricercare e studiare l’eredità degli antenati (tale è appunto il significato di questa parola in tedesco), anche se ero ovviamente consapevole del fatto che “la mia” Ahnenerbe avrebbe dovuto avere forzatamente una dimensione ben più ristretta e casalinga, One man’s band.

A questo punto, voi capite che Ex Oriente lux sarebbe dovuta cessare, ma mi è rimasta, per così dire, attaccata alle dita. Avevo appena deciso di introdurre questa semplificazione, quando mi è arrivata la prima delle serendipità di cui vi dicevo, sotto forma di una comunicazione fortemente elogiativa di un articolo di questa serie da parte di Ernesto Roli. Ecco (testualmente) quel che mi scrisse.

“Certe scoperte (…) non sono mai state prese in considerazione dagli archeologi. Ciò in quanto molto antiche, certamente più antiche delle così dette civiltà orientali; quasi a voler ignorare una possibile Civiltà Europea risalente a diversi millenni avanti Cristo. Secondo una certa “vulgata” archeologica, non può esistere una Civiltà Europea più antica di quelle orientali, altrimenti crollerebbe il castello dei luoghi comuni, come ad esempio Ex oriente lux”.

Ernesto Roli è una persona culturalmente di rilievo della nostra Area: basti pensare che è stato amico e collaboratore di Adriano Romualdi, e assieme a lui ha scritto quella splendida introduzione che accompagna l’edizione italiana di Religiosità indoeropea di Gunther, e ben meriterebbe di figurare come saggio a sé stante. In tempi più recenti si può ricordare il contenzioso da lui avuto con l’ingegner Felice Vinci riguardo alle tesi esposte da quest’ultimo nel libro Omero nel Baltico. Io ho avuto il piacere di intervistare entrambi per “Ereticamente” ricevendo da ambedue attestazioni di simpatia e di stima.

Potevo deluderlo troncando Ex Oriente lux proprio in quel momento? Certamente no, considerando a ogni modo definitiva la mia decisione di trasferire a Una Ahnenerbe casalinga tutte le tematiche archeologiche, dovevo trovare un modo di proseguire la serie di articoli Ex Oriente, e naturalmente lo trovai.
Prima di addentrarmi nei dettagli di ciò, vorrei raccontarvi di un episodio di cui finora mi pare di non avervi fatto menzione, che è senz’altro utile a capire il quadro complessivo nel quale mi sono accinto a svolgere questo lavoro. Io vi ho già accennato, più di una volta, all’episodio che mi diede il primo impulso a concentrarmi sulla ricerca delle nostre origini: una rovente discussione che ebbi parecchi anni fa nella sala insegnanti della scuola dove allora lavoravo, con una collega fervente sostenitrice della “luce da Oriente”. Qualche anno più tardi, ebbi la ventura di incorrere in un evento in un certo modo analogo, che mi confermò ulteriormente l’esigenza di procedere sulla strada che avevo intrapreso.

Io non credo che sia necessario mantenere a tutti i costi il segreto sul fatto di essere anche un appassionato di cultura celtica. Fin quando è esistito in internet il portale celtico “Celticworld”, credo di essere stato uno dei suoi contributori più attivi, sul portale stesso e sulla sua enciclopedia “Celticpedia”, e naturalmente in quel periodo ho seguito con molta attenzione l’attività dei clan e dei festival celtici.

Bene, in quel periodo mi arrivò il programma di un festival celtico che, tra le altre cose, prevedeva una serie di conferenze, tra cui un ciclo (mi pare fossero tre) che aveva come tema Quel che l’Europa deve all’Oriente, cioè quasi tutto.

La cosa mi colpì come una vera e propria dissonanza cognitiva: i sostenitori di quello che io chiamo “lo strabismo mediorientale” sono riusciti a far rientrare nel loro schema il mondo greco-romano, sostenendo la tesi della nascita della civiltà europea come effetto di un passaparola dagli Egizi e i Mesopotamici ai Fenici, agli Ebrei (ovviamente), ai Persiani, da questi ultimi ai Greci, e infine ai Romani. In questo schema, proprio la cultura celtica, sviluppatasi in un angolo d’Europa alquanto lontano dal Medio Oriente, viene a essere la più bistrattata e ignorata. Sentire che certe tesi dovessero essere esposte proprio in un festival celtico, era, oltre che sorprendente, quanto meno irritante,

Per fare un paragone, noi possiamo certamente pensare che l’incarnazione e la resurrezione di Cristo non siano mai avvenute, e che i vangeli siano una bufala, ma non ci aspettiamo che sia il prete dall’altare a dircelo (anche se oggi con Bergoglio non si sa mai…).

Scrissi agli organizzatori del festival proponendomi per un contraddittorio con il relatore, e “naturalmente” non ottenni alcuna risposta. “Mi vendicai” inserendo sul portale di “Celticworld” un lungo articolo in cui “facevo a pezzi” la tesi dell’Ex Oriente lux, senza mancare ovviamente di riferirmi alla vicenda in oggetto, al relatore in questione, nonché al grande spirito dialettico dimostrato dall’organizzazione di quel festival. Un’esperienza, a ogni modo, che mi persuase ancor di più della necessità di profondere tutte le energie per combattere l’imperante strabismo orientale.

Torniamo però alla nostra questione: come prolungare la serie di articoli in questione senza riprendere in mano le tematiche archeologiche, cioè senza creare dei doppioni di Una Ahnenerbe casalinga? La risposta era chiara: il discorso della presunta luce da oriente non riguarda solo il passato. “La luce” può ben essere quella dell’intelletto, e al riguardo corre la voce che le popolazioni di ceppo mongolico siano più intelligenti di noi caucasici, o almeno sembrano ottenere più alti punteggi di Q I, e come se non bastasse, fra i caucasici, un popolo orientale, semitico, quello che appunto si (auto)definisce “popolo eletto” ha fama di essere particolarmente intelligente, non tanto – per quello che mi consta – in base a rilevazioni di ordine statistico del quoziente intellettivo, ma per il fatto che costoro, pur essendo una minoranza esigua, sono gli autori praticamente di tutte le idee che oggi dominano nel nostro mondo: dal cristianesimo al marxismo, alla psicanalisi, all’antropologia culturale, alla presunzione dell’inesistenza delle razze, all’arte non realistica che qualcuno chiamava “degenerata”, eccetera, eccetera.

Per quanto riguarda costoro, tuttavia, assai più dell’eccellenza intellettiva “fa gioco” la capacità di fare congrega, e l’atteggiamento per il quale ritengono che non vi sia nulla di più meritorio che fare fessi quei babbei dei non circoncisi. I “grandi intellettuali” del popolo sedicente eletto, a cominciare dai “mostri sacri” Einstein e Freud, non sono stati altro che ciarlatani e plagiari, pronti a impadronirsi di idee e scoperte altrui con estrema disinvoltura. Se c’è un “genio” dei figli di Abramo, è certamente un genio distruttore, capace di corrompere tutto quello che tocca, dalla politica alle arti figurative, passando per la ricerca scientifica.

Il caso delle popolazioni estremo-orientali è certamente diverso, e bisogna riconoscere che esse nel corso dei secoli hanno dato luogo a culture tutt’altro che disprezzabili, ma, a prescindere dal fatto che il distacco in termini di Q I non è poi così rimarchevole, il miliardo di uomini che popola la Cina, ad esempio avrebbe un Q I medio di 102, cioè esattamente uguale a quello degli italiani nativi (perché la feccia che oggi importiamo da sotto e da sopra il Sahara contribuirà certamente ad abbassare il nostro livello), è probabile che il Q I non misuri tutti gli aspetti di ciò che chiamiamo intelligenza, e che a costoro manchi quel guizzo in più dell’uomo indoeuropeo, la sua tendenza a oltrepassare sempre i limiti che gli sono posti (e al riguardo, permettetemi di rimandarvi alla lettura dell’ottantaseiesima parte di Una Ahnenerbe casalinga).

Un attento esame delle cose ci rivela poi che l’influenza sembra aver agito in direzione contraria a quella supposta dai patiti dell’oriente, cioè da popolazioni europidi a quelle mongoliche. Ad esempio, a plasmare la cultura cinese, a darle letteralmente una forma, è stato il confucianesimo, che sembra derivare dalla visione del mondo dei cavalieri nomadi in gran parte indoeuropei, messisi al servizio degli Imperatori Celesti, come dimostra il simbolismo del cavallo associato a Confucio, contrapposto al bufalo d’acqua di Lao Tze.

Il Giappone è un caso ancor più particolare, abitato da genti caucasiche, gli Jomon, di cui gli Ainu dell’isola di Hokkaido sono probabilmente l’ultimo residuo, ha subito nel corso dei secoli una progressiva mongolizzazione a livello esteriore, rimanendo forse sostanzialmente un caucasico a livello animico.

Un discorso quasi obbligato, a questo punto, era il discorso sull’orientalismo nella nostra epoca, sui molti guru orientali o pseudo-orientali che sono venuti in Occidente e in Europa a spacciarci delle semplificazioni a volte grottesche delle dottrine indiane ed estremo-orientali, sapendo spesso di rivolgersi a un pubblico, oltre che malato di esotismo, straordinariamente di bocca buona. Ho dedicato per esempio un articolo a Osho, l’ultimo per ora di questi santoni, e alla sua bella idea del “pensiero positivo” cioè del rifiutarsi di vedere le negatività dell’esistenza, è in poche parole “la filosofia” dello struzzo che nasconde la testa nella sabbia.

Un discorso a parte andrebbe fatto per personaggi come Gandhi o per “sua santità” Tenzing Gyatso, il Dalai Lama e, tratto comune a entrambi, la filosofia della non violenza. La non violenza può funzionare come prassi di lotta solo fin quando può fare appello a un fondo di umanità presente nell’avversario. Si può fermare un treno sdraiandosi sui binari, solo se chi guida il treno è disposto a fermarsi per non schiacciarci. Il tratto più tipico del comunismo, è proprio l’abolizione di questo fondo di umanità. La non violenza di Gandhi si è rivelata idonea a porre fine al dominio inglese dell’India, ma quella del Dalai Lama non solo non ha fermato l’invasione del Tibet da parte dei cinesi, ma ha spianato loro la strada.

Un punto che tengo a sottolineare con forza, è che ciò che va contrapposto a questo sopravvalutato Oriente non è “l’Occidente” e i suoi discutibili valori, ma proprio il patrimonio storico e culturale della nostra bistrattata Europa. “Occidente” un tempo significava l’Europa e le sue propaggini fuori dai limiti fisici del nostro continente: Americhe, Oceania. Nel momento in cui il ruolo di centro nevralgico e motore di questo “Occidente”, con il nefasto esito della seconda guerra mondiale, è passato dall’Europa agli Stati Uniti, ciò ha comportato un totale cambiamento di senso e significato. Oggi “occidentalismo” significa in pratica la sottomissione dell’Europa al dominatore americano, nulla in cui noi ci possiamo riconoscere.

A chi pensa – si illude – che gli Stati Uniti rappresentino qualcosa di simile alla cultura europea, consiglierei un’attenta lettura del bel saggio di Sergio Gozzoli L’incolmabile fossato, pubblicato diversi anni fa dalla rivista “L’uomo libero” ma ancora reperibile in internet. “La cultura” USA deriva da quella europea, ma si è costruita facendo proprio tutto ciò che l’Europa scartava per l’incompatibilità con la sua anima più profonda. In questo senso, possiamo dire che gli Stati Uniti sono letteralmente l’anti-Europa, l’antitesi di tutto ciò che l’Europa è stata fino al 1945.

Quella esercitata dagli Stati Uniti sull’Europa non è solo una dominazione politica, economica e militare, ma, attraverso l’imponente sistema mediatico, una vera e propria opera di inquinamento culturale. Lo scrittore di fantascienza ebreo americano Isaac Asimov, scrivendo che “l’occidente – almeno come è concepito oltre oceano – si fonda interamente su di un vecchio libro orientale, la bibbia”, ha detto qualcosa di sostanzialmente esatto. E’ la stessa non-Europa che ci guarda minacciosa da est e da ovest.

Per togliere ogni dubbio in proposito e creare una sorta di pendant a Ex Oriente lux, ho scritto e pubblicato su “Ereticamente” tre articoli dedicati alla Malattia Occidente, mettendo sempre i piedi sulle orme di Sergio Gozzoli.

Anche se sviluppato con ampiezza, tuttavia il discorso non si poteva dire neppure a questo punto realmente concluso, c’era infatti un aspetto non secondario di tutta la questione, che ho a lungo evitato di affrontare. Le realizzazioni in ogni campo dell’Europa sul piano materiale sono indiscutibilmente rilevanti: dalle costruzioni megalitiche molto più antiche delle piramidi e dei templi mesopotamici, alla scoperta europea dei metalli, della scrittura, e via dicendo, tuttavia questo è ancora poco a confronto delle conquiste spirituali: la razionalità, la solarità apollinea dell’uomo europeo a confronto del fideismo mediorientale. Tuttavia a lungo non me la sono sentita di affrontare questa sia pur importantissima tematica, avevo il timore che quel che avevo da dire suonasse troppo illuminista.

A questo punto mi sono bloccato, e il discorso è rimasto in sospeso per oltre due anni. Nel frattempo, però, ho scritto il saggio in sei parti Scienza e democrazia che mi ha permesso di fissare alcuni punti fermi. Quella che oggi passa per scienza, non rispetta minimamente il metodo galileiano della messa alla prova delle teorie attraverso l’osservazione e la sperimentazione, ma è una sofisticata forma di ciarlataneria che subisce pesantemente l’effetto deformante dell’ideologia democratica: ne sono esempi l’Out of Africa in campo antropologico, il livello totalmente stregonesco cui si trova quel che passa oggi per psicologia, la negazione a priori dell’esistenza delle razze umane, l’abracadabra ciarlatanesco che è la cosiddetta teoria della relatività nelle scienze fisiche, eccetera, eccetera.

Per l’illuminismo in campo filosofico, vale esattamente la stessa cosa: razionalismo non è razionalità: al contrario, l’illuminismo non ha portato per nulla a una visione più razionale, ma alla sostituzione dei miti tradizionali della cultura europea con una serie di favole del tutto infondate: “il buon selvaggio” di rousseauiana memoria, il contratto sociale, la volontà generale, il cosmopolitismo citoyen du monde, e via dicendo. Rivendicare la razionalità dell’uomo europeo non significa affatto accodarsi a esso, ma, attraverso la scienza galileiana e l’umanesimo, collegarsi a una tradizione di chiarezza intellettuale che deriva dall’antica Grecia.

Ho esposto questi concetti nella ventiquattresima parte, e suppongo che il mio discorso sia stato compreso, quanto meno, reazioni negative da parte dei lettori non ne ho dovute registrare.

Solo che a questo punto mi sembrava di aver davvero concluso il discorso, quando è arrivata la seconda delle serendipità di cui vi dicevo, che si lega al nome e a uno scritto di quello che oggi è uno dei pensatori più interessanti della nostra “Area”, Silvano Lorenzoni, ma penso che gli farei torto menzionandolo in poche righe in coda a un articolo già di discreta lunghezza. Il resto di questa storia ve lo racconterò la prossima volta.

NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra l’edizione italiana di Religiosità indoeuropea di Hanns F. K. Gunther che contiene l’introduzione di Adriano Romualdi cui ha collaborato Ernesto Roli, al centro, i loghi del portale “Celticworld” e della sua “enciclopedia” “Celticpedia”, a destra, Le radici e il seme, volume che raccoglie gli scritti di Sergio Gozzoli.

1 Comment

  • Nicolò 28 Gennaio 2019

    Ex oriente lux? Io la chiamerei Peste d’Oriente

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