14 Aprile 2024
Intervista Paolo Casolari

Ereticamente intervista Paolo Casolari

Nota biografica
Paolo Casolari, modenese, classe ’60, laurea in legge, è un giornalista professionista con esperienza trentennale di articolista in quotidiani e settimanali e di dirigente nell’emittenza televisiva e nella comunicazione pubblica. E’ stato ed è direttore di testate specializzate. Lavora a Roma.
Pubblicazioni.
Autore del volume “Roma dentro”, saggio che attraversa a 360° il costume italiano disegnando un affresco rivelatore delle molteplici tracce della Romanità presenti nel nostro quotidiano, spaziando nelle eredità meno note come la costruzione del tempo e degli spazi, le abitudini e le competenze, le professioni, gli usi e i riti, le superstizioni e i simboli. MMC Edizioni, Roma 2013.
Autore del volume storico/letterario “L’Anima muore di sera”, tratto da un memoriale inedito sulla campagna militare di Sicilia nella seconda guerra mondiale, con presentazione dell’Ufficio Storico dell’Esercito. Editore Irradiazioni – Roma, 2006.

Coordinatore esecutivo del monumentale saggio storico “A 90 anni dalla Grande Guerra – mito e realtà”. Cura scientifica: G. Accame e C. Strinati. Edizioni Viviani, Roma, 2005.
Coordinatore storico ed esecutivo del film “Una storia negata: gli esuli istriani, giuliano e dalmati nel Lazio e la tragedia delle foibe”, prodotto da Venice film,  regista: L. Gigliotti, 2003.
Cura e coordinamento di pubblicazioni per conto della Regione Lazio:
“Saturnia Tellus, il Lazio a tutto tondo”, Edizioni L’Orbicolare, Bari;
“Il Lazio nelle collezioni Alinari”,  Edizioni Alinari, Firenze; 
“I grandi d’Italia” e “Mazzini e il Risorgimento”; Edizioni Alfabook, Roma;
“Il pane e le rose. Le donne del Lazio nelle collezioni Alinari”; Edizioni Alinari,  Firenze;
Coordinamento e testi del video “Modena”, collana “Arte e Storia”, Edizioni Musicali  su concessione MIBAC, Modena, 1999.
Intervista realizzata da Steno Lamonica
A) Dottor Casolari, Lei svolge un importante ruolo nell’Associazione MTR (www.saturniatellus.com).  Questa Associazione quale attività esplica nel panorama culturale italiano?
Il Movimento tradizionale romano è una delle realtà culturali italiane più attive nel coltivare e studiare e riscoprire il paganesimo romano – che, storicamente, rappresenta l’estremo occidentale di quel grande sistema teologico indo-europeo che andava dall’indo-iranico, al vedico, al greco, per finire in Europa e nel Lazio.
Nato a metà degli anni ottanta per iniziativa di Salvatore Ruta, nel corso degli anni il movimento si è connotato per uno specifico profilo culturale e religioso che si richiama ritualmente ai culti privati della romanità prisca (più antica e repubblicana), non senza un interesse metafisico verso il neoplatonismo. Come noto, la via romana agli dei – o tradizione romana o romano-italica – è la riproposizione moderna dei sacra privata del pater della gens (non avendo, ovviamente, alcun significato riproporre oggi riti “pubblici/politici” come i sacra publica o gentilizia) ed è praticata in Italia da alcune centinaia di persone riunite in associazioni o da liberi praticanti che non aderiscono a nessun gruppo. Il Mtr, però, è l’unica realtà strutturata che da trent’anni a questa parte celebra senza interruzioni, rite ed in forma comunitaria (a Roma ma non solo, ad esempio in occasione dei Solstizi) le principali festività, avendo come faro il calendario giuliano e svolgendo opera di approfondimento con periodici e cadenzati laboratori
interni di lettura e di studio comunitario delle fonti antiche, dei carmina(inni, preghiere, poesie, formule) e con pubblicazione d’opere (basti pensare al nostro calendario o alla recente ristampa di “Pax Deorum” di Ruta), con conferenze di presentazione di saggi, con visite guidate a siti archeologici testimoni della tradizione romana e con la pubblicazione del suo sito internet
www.saturniatellus.com.
B) Il risveglio del Paganesimo nell’Europa, l’Europa dell’Est in modo particolare, è il potenziale preludio a qualcosa di importante per il Mito dell’ Europa?
In Ucraina, Ungheria, Romania, repubbliche baltiche, nella stessa Russia i “risvegli” di comunità che si riuniscono rifacendosi all’antico paganesimo o politeismo sono tangibili e sono divenuti fenomeni importanti dal punto di vista numerico. Considerando che gli antichi pagani erano in grado di articolare l’esperienza umana combinando fra loro concetti, azioni ed immagini che erano che il riflesso delle divinità, sarebbe molto interessante conoscere più da vicino il livello di consapevolezza e la capacità di riorganizzare il rapporto col divino che possiedono questi gruppi nel loro quotidiano. Occorre, infatti, fare attenzione e distinguere tra veramente autentico nella ripresa dell’antico, metafore estetiche, mero folclore o superficialità new age. Per il pagano microcosmo e macrocosmo, soggetto vedente e realtà veduta, erano un tutt’uno; l’attuale visione duale è successiva, cristiana. Ora, in Occidente (in India, ad esempio, il sistema teologico pagano indoeuropeo non si è mai interrotto) il lungo vuoto temporale dal tramonto del paganesimo ad oggi non aiuta la ricostruzione di attività cultuali con rigore “dottrinale”, con fonti di ispirazioni vive e con corretta identificazione dei diversi pantheon che i gruppi si attribuiscono.
Ciò che, comunque, qualifica il fenomeno come interessante è la sua crescita in parallelo alla rivoluzione, ancora in corso, che sta globalizzando comunicazioni e informazioni. La nascita della “rete” ha fatto letteralmente esplodere i rapporti interpersonali e impersonali, tutti a discapito del documento scritto. Questo significa il progressivo e inevitabile tramonto della scrittura come mezzo di comunicazione e convinzione di massa; il processo si svela nel vantaggio indiscusso che stanno conquistandosi le nuove sintesi comunicazionali alfabetiche e numeriche, le stessa voce, le immagini, i video, la musica, i suoni. Il fiume è inarrestabile e credo prima o poi travolgerà anche le certezze consolidate che resistono intorno al valore alto della parola scritta e dei suoi autori, per intenderci, mi riferisco alla veridicità della parola sacra, delle sacre scritture. Ciò significherà la perdita verticale (già in atto) di presa delle tre confessioni che della parola scritta hanno fatto una ragione di esistenza, di potenza, di guerre e di fortuna: cioè le religioni del libro, i tre grandi monoteismi. E, con loro, degli stessi autori che le parole scritte avrebbero ispirate. Altri linguaggi, altre azioni conoscitive, altre misure finiranno col segnare il rapporto con il divino e forgeranno le chiavi per entrare in frequenza di risonanza con il macrocosmo e con la natura. Si tratterà semmai di decodificare i passaggi e di riorganizzare un alfabeto comune, ma qui sta il varco in cui il paganesimo può “riveder le stelle”.
E se, come Lei sottolinea, qualcuno ci sta già provando con cuore puro, ben venga.
Quanto all’Europa, il suo mito e la sua potenzialità è l’essere (stata) culla della civiltà dello spirito e della metafisica delle idee. Ma è pure il motivo per cui il continente è sotto attacco sul piano culturale, politico ed antropologico.
C) Nella Roma Pagana, Dei e Stato erano in simbiosi. La Religione Italica potrà svolgere anche una azione metapolitica? Alludiamo allo Stato retto dai Migliori, gli Aristoi.
Storicamente parlando, al tempo della Roma repubblicana la religione ha svolto direttamente un’azione politica: basti pensare al ruolo avuto nella tenuta delle istituzioni al tempo delle guerre puniche: qui veramente incarnava lo stato retto dai migliori, gli aristoi, come a Sparta; basti ricordare gli ottanta (dicansi 80) senatori immolatisi a Canne. Ce li vede oggi?
Più tardi col principato, la religione è divenuta sempre più terreno d’azione metapolitico e sempre più retaggio dei (numericamente) pochi appartenenti al patriziato senatorio, pur restando i sodalizi religiosi il terreno d’elezione e di selezione della classe dirigente – il cui cursus honorum fu la vera forza di Roma. Nel terzo/quarto secolo dell’era volgare quei pochi però divennero così esigui che, quando arrivò l’ondata cristiana, non furono in grado di organizzare un argine al messaggio della “salvezza per tutti”, parole che in tempi “orizzontali” di incertezze e rivolgimenti erano molto più commestibili di quelle pagane.
Sappiamo, tuttavia, che il torrente carsico della spiritualità romano/italica non è mai inaridito e ha attraversato i secoli facendo capolino metapolitico a fasi alterne, a partire dal Rinascimento. Venendo però all’oggi, e rimanendo nel solco della sola religione, credo non ci resti che ripartire proprio dall’azione metapolitica per rilanciare un approccio pagano all’esistenza. promuovendo la diffusione della lettura e dello studio della religione dei padri, dei classici del pensiero occidentale, delle fonti autentiche (più che dei loro glossatori e commentatori), coltivando contemporaneamente una dimensione spirituale verticale, solare, trascendente e di distacco dalle miserie quotidiane. E non è facile, considerando che la forma di esistenza che oggi va per la maggiore è  il primato degli stati d’animo, cioè viltà in atto.
D) Lei ha scritto “ROMA DENTRO” recensito anche da Ereticamente. Il libro ha fornito un qualificato spaccato della Roma Classica. La Collana Paganitas delle Edizioni di AR è fortemente impegnata nella difesa della Paganitas proponendo scritti per una azione propedeutica. Un suo parere su questo progetto?
“Roma dentro” è un saggio di costume che, più che della Roma classica, riscopre le evidenze della civiltà degli antenati che ancora segnano e contraddistinguono il nostro agire quotidiano di italiani. Insomma, il volume cerca di dimostrare che ci è rimasto appiccicato addosso di Roma antica molto più di quanto pensiamo, ma lo abbiamo dimenticato. L’averlo rimesso in fila, oltre ad avermi impegnato per mesi, credo possa anche rappresentare un’iniezione di fiducia in noi stessi ed una sana trasfusione di identità, in un momento in cui l’Italia pare aver davvero perso l’anima.
Quanto alla collana Paganitas, con le proposte di testi di Celso, Porfirio, Giuliano, Sallustio, Simmaco, Plutarco Platone per citarne alcuni, ha il plauso di tutti gli amanti del sapere ed il merito di consentire ai più un avvicinamento selezionato al pensiero dei padri dell’Occidente con sguardo autentico, senza i filtri. Come dicevo, leggere oggi questi classici è in contraddizione col ritmo di vita moderno e con la vulgata eclettica che aborre il catalogo. Invece i classici, per dirla con Calvino, riescono a relegare l’attualità a rumore di fondo e persistono come rumore di fondo anche quando l’attualità la fa da padrona. Non necessariamente poi i grandi autori pagani insegnano qualcosa che non sapevamo; alle volte vi scopriamo qualcosa che avevamo sempre creduto di sapere. E anche questa è una sorpresa che dà soddisfazione, come la scoperta d’una origine, d’una relazione, d’una appartenenza. Personalmente poi, il leggere per la prima volta un opera di Platone mi dà un piacere straordinario: diverso rispetto a quello d’averlo letto in gioventù. La lettura trasmette in gioventù un particolare sapore, mentre in maturità si apprezzano significati in più e si ritrovano costanti che appartengono ai nostri meccanismi interiori, di cui avevamo scordato l’origine.
C’è dunque una particolare forza nelle opere di questa collana: lasciano il loro seme, anche se poi dimenticate.
E) La cinematografia propone, quasi sempre per non scrivere sempre, una visione edonistica e grossolana della Paganitas. Lo stesso film su Ipazia, Martire Pagana, non ha colto il vero aspetto di fedeltà  religiosa della filosofa e matematica Ipazia, dandole connotati scientifici, non spirituali. E’ dello stesso avviso?
Certamente. Nel film Agorà il solo taglio scientifico attribuito alla scuola di Ipazìa è assolutamente fuorviante. Non solo però: i romani fanno una parte penosa e pilatesca che non meritano; la figura di Sinesio di Cirene, fondamentale nell’economia spirituale della scuola di Ipazìa, è stravolta nei modi e nei tempi (è morto anni prima dell’assassinio della filosofa); i Parabolani sono tratteggiati sommariamente; la stessa morte di Ipazìa è edulcorata.
Difficile però pretendere che la cinematografia colga la visione corretta della paganitas. Accontentiamoci, per quanto possibile.
Piuttosto, sarebbe opera meritoria diffondere altri filme docufilm più filologicamente corretti.
Quanto ai film penso, ad esempio, alla “Fontana della vergine” di Bergman degli anni Sessanta, che rivive il travaglio tra cristianesimo e paganesimo nel medioevo, interpretando un’antica leggenda svedese; al “De Reditu, il ritorno” di Bondi del 2003, tratto dal poema latino omonimo che racconta la katabasi di Rutilio Namaziano da Roma alla Costa azzurra nell’Italia devastata nel quinto secolo; al “The Eagle” del 2011 diretto da Macdonald, adattamento del romanzo “L’aquila della IX legione” di Sutcliff che tratta della scomparsa della Legio IX Hispanica in Britannia.
Di docufilm invece ricordo la serie televisiva Rai in sette puntate de “L’Eneide”, per la regia di Rossi, prodotta nel 1971;  “Roma Imago Urbis”, capolavoro dimenticato e monumentale (rinvenibile in biblioteche e librerie antiquarie) composto in Rai tra il 1992 e il 1995 da storici, studiosi e tecnici qualificati: il risultato è stato un grande affresco filmato su Roma antica – dal mito, all’immortalità, agli dei, alle gesta, al diritto, agli spettacoli, al quotidiano – raccolto in 15 documentari da 60 minuti l’uno (e relativi volumi) per la regia di Bazzoni e immagini di Storaro;  l’altra produzione Rai dimenticata “La straordinaria storia dell’Italia”, primo ciclo, del 1983: per la regia di Borgonovo, fu realizzata addirittura nella curia Italia sede dell’antico senato; l’alba del passato, i nipoti di Ulisse, gli Etruschi e gli altri, una lupa e sette re, il mestiere della guerra, delenda Carthago, alle porte dell’Asia, le idi di Marzo, luci e ombre sull’impero le puntate.
F) Arturo Reghini ed il Pitagorismo Italico-Romano. Il Suo “Imperialismo Pagano” non fu accettato proprio da chi, il Fascismo, agitava Simboli e Miti del Paganesimo Romano. Si scelse la sponda guelfa. Errore irreparabile?
Come spiega lo studio a più voci ’Esoterismo e Fascismo” curato da de Turris, se l’influenza della chiesa non fosse stata così decisiva sicuramente il gruppo pagano di Ur/Krur – che oltre ai capi Evola e Reghini annoverava illustri personalità ed anime dell’esoterismo come Caetani, Servadio, Quadrelli, Colazza, Parise, del Massa, Onofri e Comi, – avrebbe continuato a sussistere e avrebbe avuto un peso specifico ben maggiore sulle dinamiche politiche di quello che in realtà ebbe dopo il concordato tra stato italiano e chiesa cattolica. Come noto, il gruppo rappresentò la punta
di diamante “plurale” del mondo della tradizione italiana ed operò come tale tra il 1927 e il 29. Dopo il concordato non riuscì più a mantenere un ruolo nel complesso magma intellettuale del fascismo (scissioni interne a parte) e in termini storici non ebbe l’esito desiderato. Solo Evola, infatti, dopo il 1929 rimase allo scoperto a criticare la deriva guelfa dalle pagine da lui curate di Regime fascista. Tutti le altre personalità abbandonarono l’attività essoterica, seguendo le orme di chi si era già chiamato fuori in precedenza, come Armentano e  Formisano (Kremmerz). In Italia, insomma, non si raggiunse mai il calore di saldatura sufficiente per fondere l’elemento mistico con quello antropologico, rimanendo l’esperienza fascista limitata al secondo, il cd. “uomo nuovo”. Se vinse la sponda guelfa è perché era preponderante e Mussolini lo certificò. Poteva forzare, gestendo poi le conseguenze? Forse sì, ma il giudizio sulla storia mal tollera se e ma. Di sicuro non si stracciò le vesti per le istanze pagane e tradizionali.
Sul più definito ambito della romanità, pure pagana, aggiungo però che continuare a sbeffeggiare, come fa la vulgata ufficiale, la riscoperta fascista di miti e simboli dell’urbe assimilandola a fenomeno da baraccone, circoscritto ad elementi vacui ed esteriori, è riduttivo.
Sul fronte simbolico e dell’immagine lo svelamento tutto d’un fiato delle vestigia, dai fori Romano, di Cesare, d’Augusto, di Nerva e di Traiano, ai palazzi imperiali sul colle Palatino, ai templi di Venere, Roma, Vesta, agli archi, ai sepolcri, alle strade etc. sepolti da secoli, muscosi e cadenti, sotto milioni di metri cubi di terra – non vanno sottovalutati. Al pari va ben compresa l’immensa opera di ricerca archeologica e di ricostruzione sul Palatino e sui fori svolta dal sovrintendente Boni, base per tutte le successive ricerche.
Così come va tenuta nel giusto conto la grande operazione di urbanizzazione, le cd. città di fondazione, che furono decine in tutt’Italia, dai capoluoghi ai borghi agricoli, e che comunque nella divisione dei relativi spazi civici si rifacevano a una idealizzata, per allora, tradizione giuridico/religiosa romana (res publica, res populi).
E pure opere minori – fors’anche nel disinteresse di Mussolini, come ad esempio il tentativo di Musmeci Ferrari Bravo di ricreare un filone drammatico su Roma antica concretizzatosi nella sola rimessa in opera della tragedia Rumon sulla fondazione dell’urbe o i tanti saggi di riscoperta dell’antichità romana tra cui spicca, per originalità, lo scritto sul “mistero” delle origini di Roma di Colonna di Cesarò, anch’egli del gruppo di Ur – rientrano in quest’opera di rigorosa ricostruzione filologica intrapresa nel ventennio da alcuni motivati pionieri.
G) La ricerca archeologica, per non parlare dei siti e musei con l’azione conservativa inesistente, vedi Pompei, ha un profilo estremamente basso  in Italia. I cui governi, tutti, sono orfani della dignità nazionale trascurando le radici degli Italici. Insomma, si profila quasi un crimine culturale.  
Crimine culturale e sociale. Manca la consapevolezza diffusa del’immenso patrimonio posseduto perché manca il possesso psicologico dello stesso patrimonio. Siamo apolidi in casa nostra, prima in testa poi nelle opere. Viviamo un rapporto di estraneità con le pietre e con l’arte quasi fossero aliene. E il mero dato economico ne è lo specchio: più visite al Louvre che in tutti i musei d’Italia.
Evidentemente, non è un problema solo di governo.
Però, ci sono anche segnali positivi sull’archeologia.
Mentre i più guardano “Amici” e pensano al made in Italy solo quando mangiano o quando all’estero gli manca il bidè, gli archeologi lavorano. Se si osserva bene, oggi è un continuo susseguirsi di nuove scoperte che sono tutte rappresentazioni e simboli della via romana agli dei: il Lupercale (l’approdo, sacralizzato e restaurato da Augusto, di Romolo e Remo), il Pomerio, le mura romulee del Palatino, la reggia dei Tarquini e l’auguraculum a Gabi, la datazione corretta della fondazione di Roma, l’oracolo dei Latini alla Solforata (antro del Fauno) etc.. E poi i grandi restauri riavviati o riavviandi, colosseo e mausoleo di Augusto, affiancati da nuovi approcci tecnologici di valorizzazione le ricostruzioni virtuali in 3d di spazi, archi e templi (ora anche ai fori) – che hanno iniziato a coinvolgere il grande pubblico e fargli vedere “com’era veramente”.
Il tutto accompagnato da una copiosa saggistica, molto più libera nell’interpretazione e più profonda nel metodo, vedi il nuovo imponente  “Atlante di Roma antica” curato da Carandini.
Non solo, anche verso siti italici preromani è riesploso un interesse archeologico e di studi: penso ai nuovi siti etruschi, ai saggi di archeoastronomia di Magli sulle città poligonali, alle scoperte della Stonehenge italiana nel bosco di Silo in Calabria, alle piramidi di Montevecchia (Lecco), etc.
Tutto questo sta timidamente riaccendendo i fari d’interesse anche nelle persone meno coinvolte. E’ cosa buona perché, non dimentichiamolo, il riavvicinamento alla weltanshauung spirituale degli antenati passa anche attraverso il rapporto visivo e sensoriale che si può istaurare con le loro “espressioni fisiche”.
H) Il Suo prossimo impegno editoriale e culturale?
Nello specifico culturale, approfondendo la ricerca sui carminae sul corollario musicale che dovevano avere: qui le fonti non ci sono (anche perché la nota musicale nasce con Guido d’Arezzo) e quindi si tratta di sperimentare soluzioni che ricostruiscano, verosimilmente, il corredo musicale dei riti, che doveva essere di grande fascino.
Più in generale, operando per rafforzare la rete dei sodali della religione romano-italica. Piacerebbe, infatti, vedere una vera coesione nel variegato mondo che vi si ispira, senza primazie e purismi da primi della classe. Si potrebbe incominciare riunendo un tavolo e ponendosi l’obiettivo di federare tutte le realtà che a vario titolo praticano la via romana agli dei e, più in generale, la religione italica. Questo sì, sarebbe il prodromo per una rigorosa strutturazione organizzativa e dottrinale che potrebbe aprire la strada a una richiesta di riconoscimento, trasformando l’attuale testimonianza in azione. In nord Europa è già successo.
Sul piano editoriale, da un lato rimarrò in tema: sto esplorando la decisiva cesura che la guerra gotica ha rappresentato per l’Italia, unitamente a un incredibile semisconosciuto evento, citato da Procopio di Cesarea, che toglie il fiato: il totale spopolamento di Roma del 546 imposto dal goto Totila; in quasi assoluta assenza di fonti, la vicenda intriga e mi sta ispirando un romanzo. Dall’altro, da appassionato di vicende militari del Novecento, pubblicherò in inglese un e-book (già edito in italiano) sulla guerra di Sicilia del 1943, una storia vera vista dalla parte dei difensori, dove gli italiani combattono gli americani e non scappano: è giusto provare a ricordarlo anche agli anglofoni.

Ringraziamo vivamente il dottor Paolo Casolari per la Sua cortese disponibilità.

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