10 Aprile 2024
Storia

Economia della misura – Rita Remagnino

La caduta, la cattura, l’abbandono, la nostalgia, l’intorpidimento, il sonno e l’ebbrezza sono motivi ricorrenti nella narrativa tradizionale eurasiatica. Uno per tutti valga l’Inno della Perla, un racconto gnostico conservato negli Atti di Tommaso e articolato proprio attorno al tema dell’amnesia che ciclicamente colpisce il genere umano.
Un Principe giunge dall’Oriente per cercare in Egitto la perla unica che si trova in mezzo al mare circondata da un serpente e protetta dal suo sibilo sonoro, ma qui viene catturato dagli uomini di quel paese e portato in una maestosa costruzione di pietra. La stanza che lo ospita è piccola e accogliente. Il letto è soffice. Dalla finestra a sei riquadri si vedono la piazza di un mercato affollato e due angoli di strada.
Ogni giorno i padroni di casa gli danno da mangiare del cibo molto gustoso e da bere del buon vino. Nessuno gli chiede di lavorare e abiti di fogge a lui sconosciute avvolgono adesso le sue forme. Non è difficile per il giovane adattarsi a quella vita agiata, e presto egli dimentica persino la sua identità.
In capo a un anno non ricorda più il volto di suo padre, né quello di sua madre, della nutrice che lo ha allevato e dei suoi servi. Dimentica anche la perla per cui è stato mandato in Egitto poiché le comodità di quel posto lo hanno sprofondato in un torpore profondo.
Per vie traverse i genitori lo rintracciano e gli scrivono una lettera che vola a destinazione come un’aquila, discendendo su di lui come una colomba. Il Principe la prende tra le mani e la bacia, com’è sua abitudine. Infrange il sigillo e lascia che quelle righe cantino per lui come un usignolo: “Da tuo padre, il re dei re, e da tua madre, sovrana dell’Oriente, e da tuo fratello, nostro secondogenito, a te, nostro figlio, salute! Risvegliati e sollevati dal tuo sonno, e ascolta le parole della nostra lettera. Ricordati che sei figlio di re. Guarda in quale schiavitù sei caduto. Ricordati della perla per cui sei stato inviato in Egitto”.
Incredulo il giovane scopre così che quel messaggio concorda con ciò che è scolpito da sempre nel suo cuore e di tanto in tanto i sogni riportano a galla. Ricorda all’improvviso di essere figlio di genitori regali. Ricorda la perla per cui è stato inviato in Egitto, e finalmente parte per la sua missione. Trova il serpente dai sibili sonori, lo ipnotizza pronunciando il nome potente di suo padre, e non appena la bestia cade in un sonno profondo prende la perla e torna a casa.
Qualsiasi origine abbia questo mito (probabilmente iranica) il suo messaggio è universale, presentando in forma inequivocabile la tendenza innata dell’uomo a cadere ciclicamente nell’oblio determinato dalla mollezza, così che l’anima dimentica la sua identità, il suo soggiorno d’origine, il suo vero centro, il suo essere eterno. Non per sempre, ma per un po’.

 

Il tema dell’eclisse del lume non interessa solo l’individuo ma riguarda qualsiasi società umana, come ben sappiamo noi cittadini di un’unione di Stati narcotizzati da mezzo secolo di comodità. Il nostro sonno secolare si chiama «liberismo», e dapprincipio anch’esso aveva dato l’impressione di favorire una condizione di pace e benessere.
Una prima missiva ci è stata recapitata dall’aquila (calva) nel 2007-8 e conteneva un verdetto inappellabile: «l’Europa ha bisogno di gravi crisi economiche per fare passi avanti». Ma non ci siamo svegliati. Consistenti parti di sovranità nazionale sono state così cedute a grossi investitori, multinazionali, fondi speculativi. Noi dormivamo e al posto nostro decidevano operatori specialistici come Goldman Sachs, Gp Morgan, Morgan Stanley, delegando ad agenzie private di rating (sempre di loro proprietà) il compito di valutare l’affidabilità economica degli Stati d’Europa sulla base di un principio truffaldino: il debito pubblico.
Increduli come il principe della leggenda un bel giorno abbiamo aperto gli occhi; giusto in tempo per assistere all’innesco del processo di «rifeudalizzazione della società» finalizzato a riportare tutti i capitali, grandi e piccoli, nelle mani dei Signori della Tecnofinanza in cambio di vitto, alloggio e precarietà.
Le linee guida del progetto sono state presentate nel 2014 al World Economic Forum di Davos dal suo ideatore, Klaus Schwab, per essere poi perfezionate dall’Agenda 2030, che al netto della melassa di cui è ricoperta prevede un futuro distopico degno del miglior film di fantascienza. La sfiducia tra governi e cittadini crescerà, il potere politico arretrerà davanti a quello economico, le piccole industrie e la piccola proprietà privata verranno abolite, ovunque ci saranno tecnologie di sorveglianza biometrica, la censura dei media e dei social media reprimerà il dissenso, il poco lavoro rimasto sarà svolto a domicilio.
In assenza di un’alternativa conclamata, che non si capisce bene da quale parte della galassia dovrebbe arrivare, l’Europa sospesa tra la memoria e l’attesa continua a rifiutare la parola, il gesto, l’azione. Si adegua alle altrui decisioni limitandosi a constatare i danni, prende le misure delle crepe sempre più profonde incise dal lungo sonno nella struttura complessiva, ma niente di più.
L’addormentamento ha ucciso la sua proverbiale audacia? Come sono arrivati a questo punto popoli di indomiti guerrieri, raffinati pensatori, geniali scienziati e fondatori d’importanti civiltà? E’ possibile fare una genesi del liberalismo, tentare una esegesi del suo farsi mondo nella contemporaneità?

 

La catena delle concause è lunga e intricata. Un’enciclopedia potrebbe solo elencarne le maglie, senza tuttavia esaminare adeguatamente gli addentellati. Ma almeno una veduta a volo d’uccello può essere colta e considerata, tenendo presente che prima di Platone e Aristotele l’«economia» era sconosciuta all’umanità, non essendovi distinzione alcuna tra la vita in generale e la cosiddetta «vita economica».
Grosso modo il tarlo s’insinuò nel corpo della società europea a partire da Paolo (Ai Romani, 9, 16), che introdusse nella discussione uno dei più esplosivi concetti teologico-filosofici che a quell’epoca si potessero immaginare: che si venga o meno salvati “non dipende né da chi vuole, né da chi corre, ma da dio che usa misericordia”.
Agostino aggiunse che non solo la redenzione ma anche ogni intelligenza razionale era atto di grazia divina, per lo meno da quando Adamo aveva sottratto all’uomo la libertà di agire innocentemente. Su questo punto Lutero si disperò, Melantone superò l’ostacolo con la diplomazia, Calvino lo elevò a verità centrale, a «terribile decreto», come lo chiamava. Ma con riserva: il principio di predestinazione era «inoppugnabile e fatale», pur tuttavia l’individuo poteva stimare quanto fosse nelle grazie del Signore dal proprio successo, o insuccesso, nella vita.
Il ponte tra le antiquate dottrine teologiche e l’ideologia economica moderna era gettato. L’Europa lo attraversò rapidamente, e oltre il guado l’invenzione della stampa a caratteri mobili contribuì a rendere l’uomo un soggetto autonomo «riflettente» in grado di chiamarsi fuori dalla comunità. Il tutto a spese dell’homo naturaliter, che fino a quel momento aveva basato la propria vita su una visione animistica.
Dalla fusione del mercato locale con il commercio internazionale nasceva intanto il mercato liberale, al quale Thomas Hobbes (1588-1679) diede dignità filosofica interpretando la Natura come il «luogo delle relazioni meccaniche tra corpi in moto». Una visione moderna sulla quale la scienza mise immediatamente il cappello, finendo per ridurre il mondo naturale a una dimensione meramente quantitativa leggibile attraverso la matematizzazione.
Si aprivano le porte (infernali) dello sfruttamento illimitato delle risorse di cui il Terzo Millennio sta pagando i salatissimi interessi. L’ambiente divenne il luogo del conflitto perenne, un campo di battaglia dal quale il singolo soldato poteva uscire solo delegando in toto la libertà individuale allo Stato assoluto.
Ma poiché la proposta era tutt’altro che liberale, John Locke (1632-1704) precisò che si trattava solo di una «delega parziale» a vantaggio dello Stato. Niente di definitivo, insomma, l’individuo e i suoi diritti non erano in discussione. Tuttavia appariva chiaro che la famiglia sociale cominciava ad essere un po’ troppo numerosa e qualcuno dei suoi membri avrebbe dovuto fare le valige e andarsene, se si voleva permettere agli altri di proseguire sulla strada dello sviluppo.
Come sempre accade in questi casi si decise di sacrificare l’elemento più anziano del gruppo, ovvero il principio di «bene comune» che per millenni aveva retto e fatto prosperare le società eurasiatiche di matrice indoeuropea. La sua dipartita favorì l’ingresso della competizione, così che la vita divenne una gara senza fine. Nulla di cui preoccuparsi, disse Adam Smith (1723-1790), perché il perseguimento dell’interesse privato (che l’etica antica giudicava un vizio) era assimilabile alla produzione del bene comune (la virtù). E anche stavolta le apparenze erano salve.

 

Le istanze filosofiche di Hobbes, Locke e Smith si coagularono attorno a tre assi portanti: l’affermarsi dell’individualismo, la creazione di danaro attraverso la ricerca tecnico-scientifica, il supporto di uno Stato Nazionale disposto ad impegnarsi nella moltiplicazione del capitale. Partendo da queste premesse la rivoluzione industriale inglese costruì una vera e propria azione politica volta al consolidamento della «ragione strumentale», o liberale, la cui ascesa fu rapida e inarrestabile.
Diligentemente gli Europei si adeguarono alle nuove regole rimuovendo dalla strada tutti gli ostacoli che si frapponevano fra l’essere profondo e l’avanzata trionfale che l’Ego individuale si riprometteva, aiutati nella digestione del rospo dall’«etica protestante del capitalismo» che giustificava teologicamente sia la ricchezza sia l’aspirazione ad essa.
Il passo successivo fu l’intronizzazione della «mano invisibile» indicata dal padre del liberismo Adam Smith come il regolatore dei mercati. Oggi gli altari di quella religione sorgono a Manhattan e sono alti da far paura, oltre che inaccessibili. Li protegge il sacro dogma dell’Economia, cioè quella cosa mostruosa che ha spinto la somma totale di denaro presente nel mondo fino a 60 trilioni di dollari, sebbene in concreto le monete e le banconote circolanti non arrivino a 6 trilioni di dollari, perché il resto esiste solo sui server dei computer.
Attualmente gran parte delle transazioni commerciali viene eseguita trasferendo dati elettronici da un computer a un altro, senza alcuno scambio di soldi tangibili né merci, e l’introduzione a tappeto della moneta digitale prevista dalla Quarta Rivoluzione Industriale porterà i movimenti virtuali all’esasperazione. Ne consegue che sotto i nostri piedi c’è attualmente un mondo finto che potrebbe sparire da un momento all’altro, e senza preavviso.

 

L’ingranaggio liberista oggi non potrebbe funzionare senza il fattivo apporto dello scientismo dogmatico, che sforna a pieno ritmo dai laboratori tecnologici e farmaceutici prodotti sempre più promettenti e accattivanti. Mente e corpo possono dormire sonni tranquilli. Altrettanto non si può dire del mondo interiore, che svuotato di ogni senso continua a riempirsi di effimero, ovvero del novum che il mercato incessantemente propone a «ottimi prezzi».
La separante avidità di beni materiali, il mito del successo e la brama di ricchezze hanno messo in ombra gli insegnamenti spirituali delle grandi civiltà europee del passato, sbriciolando un patrimonio culturale dal valore inestimabile. Ciò nonostante al capezzale dello Spirito l’accumulo mondializzato di ricchezza continua imperterrito a portare soldi nelle casse di un gruppuscolo di nababbi in perenne conflitto con il «limite interno». Resta da capire per quanto tempo ancora il capitale potrà moltiplicare se stesso.
Ipotizzando l’approssimarsi del punto di rottura, che prima o poi arriva, non sarebbe più saggio cominciare a ragionare nella prospettiva di un «dopo»? L’Europa ce la farà a soppiantare l’ordoliberismo con un nuovo socialismo? Non un marxismo vecchio stampo, che non reggerebbe ai colpi della modernità, ma una visione realmente rivoluzionaria capace di coniugare le necessità contingenti con il pensiero di Tradizione che appartiene all’Europa prima d’ogni altro paese al mondo.
Piedi radicati nella Storia e sguardo puntato sui futuri ricongiungimenti famigliari tra i popoli affini che abitano l’Eurasia. Solo in questa prospettiva si può pensare a un’azione capace di riabilitare il «lavoro vivo», che è l’unica cosa in grado di porre un freno agli eccessi e alla dismisura, quint’essenza della «ragione liberale».
Proprio la dismisura ci ha portato a considerare ogni persona, come ogni cosa, in relazione a un prezzo. Così i farmaci che dipendono da un brevetto non vengono venduti a chi ne ha bisogno ma al miglior offerente, gli spazi urbani sono regolarmente privatizzati, le strade commercializzate, e c’è persino un biglietto da pagare per sdraiarsi su una spiaggia a prendere il sole.
Le valutazioni economiche si estendono ai fiumi contenuti dalle dighe, alle foreste disboscate, ai mari lottizzati, all’acqua imbottigliata e messa sul mercato, ai sistemi di conoscenza tradizionali saccheggiati attraverso norme di proprietà intellettuale, alle scuole trasformate in imprese volte al profitto, ai luoghi di cura divenuti aziende ospedaliere. Il risultato di queste grandi manovre è assai deludente: non siamo più liberi, più ricchi, più felici. Solo più disincantati, e difatti la vita umana procede da decenni verso una generale perdita di senso.

 

E’ ora di decidere cosa vogliamo fare da grandi. Chiaramente il futuro della debole e impaurita Europa non sarà politico (sullo scacchiere internazionale abbiamo un’influenza prossima allo zero) né industriale (non siamo competitivi su scala mondiale). Altri si occuperanno di questi settori con più possibilità e migliori risultati. In compenso gli Stati dell’Unione sono ricchi di competenze poiché in molte regioni sopravvivono ancora gli artigiani in grado di fare uscire qualcosa di unico dalle proprie mani. Muratori e architetti capaci di «lavorare» sulle dimore dei vivi e dei morti in modo da creare un flusso di armonia, agricoltori e cuochi in grado di estrarre dalla terra e cucinare prelibatezze che altrove si sognano, sarti dallo stile unico, tecnici ingegnosi e propositivi.
Incredibile a dirsi ma la tecnologia non ha annientato queste figure professionali, e saremmo degli stupidi se adesso non ci concentrassimo sulle possibilità inesplorate del «lavoro vivo» derivante dalla Tecnica. Sempre meglio di perdersi in fantasticherie sulle potenzialità (tutte da vedere, e comunque non infinite) della Tecnologia.
Nel vero lavoro c’è la fonte di ogni valore aggiunto, di ogni accrescimento personale come di ogni profitto. Tutto. Non è campata in aria l’idea di edificare il prossimo modello di sostentamento su quell’Archè che a dispetto delle apparenze è sempre vivo tra noi e ancora ci parla attraverso simboli e paesaggi, profumi e sapori, afflati e slanci poetici sgorganti dall’autentica natura europea.
Già stanno tornando ad esercitare un certo fascino sull’immaginario collettivo idee sempreverdi quali «comunità» e «bene comune». In ogni angolo d’Europa unioni di giovani (pochi ma buoni) si stanno spendendo per costruire orti urbani, laboratori artigianali, banche del tempo, gruppi di acquisto solidale, centri di baratto, cucine popolari, esperienze culturali condivise.
Un domani potrebbero essere queste le «armi europee» per combattere l’assalto finale delle forze infernali dell’ordoliberismo, gettando i semi di una società capace di superare il Mercato e lo Stato. Sarebbe comunque tempo perso pensare di poter contare sull’appoggio degli eurocrati di Bruxelles, che provenendo da un’«educazione americana» neanche capiscono le potenzialità e il valore aggiunto di proposte del genere.
Toccherà ai cittadini europei riuniti in piccole comunità darsi daffare, magari rinunciando a qualcosa. Poco male, non sta scritto da nessuna parte che una vita per dirsi tale debba riempirsi di roba inutile comprata il «venerdì nero» sulla piattaforma di acquisti più famosa del mondo, che naturalmente fattura in un paradiso fiscale, con il beneplacito delle istituzioni.
Come il principe della leggenda persiana l’Europa si svegli e ricordi la sua vera identità. Se non ora, quando? Il processo di desacralizzazione e reificazione del mondo è in flessione e prima o poi cederà, perché tutto finisce. Meglio portarsi avanti cominciando ad ammettere che il modello culturale denominato «civiltà tecnologico-industriale» ha fallito nell’impresa di diffondere la pace e il benessere nel mondo.
Il sogno è finito, come hanno già capito alcuni popoli europei che prima di addormentarsi se la passavano piuttosto bene ed ora sono a bordo del Titanic: una nave enorme sta colando a picco ma la paura (della morte) suggerisce di ignorare la gravità della falla nello scafo affinché i passeggeri possano continuare a ballare nel salone delle feste, con i camerieri sorridenti che cercano di rendere l’ultimo viaggio il più confortevole possibile. Può anche darsi che l’Italia non rientri nel novero dei sopravvissuti al disastro, ma non c’è dubbio che i più svegli saliranno sulle scialuppe di salvataggio e toccheranno terra da qualche parte.

 

Rita Remagnino

Fonte immagine copertina: web

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (ed. Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (ed. Audax Editrice). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

4 Comments

  • Manuele 30 Novembre 2021

    L’attacco al Neoliberismo è un tentativo mal riuscito di trovare un capro espiatorio, di semplificare una realtà complessa.

    Eppure se abbiamo infrastrutture, ospedali, strade, corrente elettrica, acqua potabile, pancia piena e natiche al caldo lo dobbiamo proprio al sistema di libero mercato.

    È proprio grazie a questo che possiamo filosofeggiare su internet e proiettarci nel futuro, proprio perché le nostre necessità primarie sono state abbondantemente soddisfatte.

    Se provassimo a vivere una settimana in Congo cambieremo idea, e ci renderemo conto di quanto siamo fortunati.

    Chi decide quando un bene è superfluo? In base a quale criterio se non il proprio personale punto di vista? Che cos’è l’inutile?

    Tuttavia il sistema capitalistico, così come non è il male assoluto, non è neanche una panacea in grado di risolvere i problemi del mondo come avevano ipotizzato i suoi teorici ed economisti.

    Ad esempio, le guerre come afferma il generale Fabio Mini nei suoi saggi continuano ad esistere ma vengono solo spostate e cambiano la loro forma.

    Il problema è quasi sempre individuale, la personale avidità umana, la voglia di autoaffermazione a discapito degli altri, il tentativo di giocare a fare Dio. Ma questo non c’entra niente con il Neoliberismo.

    Anche il socialismo ha partorito menti deviate.

    Se analizziamo con sguardo anti ideologico la situazione attuale ci renderemo conto che viviamo una situazione paradossale. Non è il mercato a governare il mondo, ma l’unione tra il potere politico e i più importanti attori della finanza.

    Non solo le case farmaceutiche a imporre trattamenti sanitari obbligatori con ricatti vaccinali, ma gli stati.

    Uomini politici ai vertici della finanza e finanzieri in politica.

    Socialismo, dunque, o neoliberismo?

  • Rita Remagnino 30 Novembre 2021

    Caro Manuele, sono d’accordo: alcune “comodità” di cui godiamo sono figlie del liberismo e della libertà data a ciascuno di arricchirsi lecitamente con i frutti del suo ingegno. Personalmente, apprezzo molto chi lavorando migliora la sua e altrui condizione.

    La misura è diventata però dismisura e oggi siamo approdati all’ordoliberismo, cioè alla spasmodica brama (neanche tanto celata) di “ritirare” tutte le libertà precedentemente distribuite per concentrare ogni ricchezza nelle mani di un gruppuscolo di arci-ricchi. I Signori del Castello 4.0. Per questo motivo ho parlato di rifeudalizzazione della società.

    Il loro progetto, tanti come siamo, avrebbe conseguenze devastanti, soprattutto per le ultime generazioni. Il sistema va ripensato integralmente. Personalmente non credo che sia la strada giusta quella di abolire la piccola-media impresa, la piccola proprietà, il piccolo commercio, eccetera, per aprire le porte al gigantismo economico delle multinazionali prive di ogni etica/morale che agiscono solo ed esclusivamente per interessi privati. E la società? Che fine farà la società? Siamo sicuri che la Quarta Rivoluzione Industriale così come l’hanno pensata i teorici del Grande Riassetto non sarà anche l’ultima? Nel senso che distruggerà tutto, e fine della storia.

    Forse non sembra ma qui siamo proprio al “primum vivere deinde philosophari”, stiamo parlando del pane quotidiano della stragrande maggioranza dell’umanità. Questi non sono discorsi oziosi, non è filosofia scolastica bensì vita di tutti i giorni. Urge produrre un cambio di prospettiva parlando e confrontandosi. Molte cose gettate via andrebbero recuperate, per questo motivo è importante la Storia.

    Dimmi se non mi sono espressa chiaramente. Posso riprovarci.

  • Kami 30 Novembre 2021

    Domanda controversa per Manuele: siamo sicuri di vivere nel migliore dei mondi possibili? Ovvero, siamo sicuri che le comodità che abbiamo oggi siano un bene? Personalmente ho notato come gli abitanti del cd terzo mondo siano di gran lunga più rilassati e sereni di quelli del primo, ovviamente fintanto che vivono in maniera tradizionale e semploce, e non quando si trovano ammassati nelle periferie di qualche grande città (che è quello che facciamo noi). Siamo sicuri che una settimana in Congo, non a morir di fame (sarebbe un grosso errore pensare che Africa=bambini malnutriti dello spot dell’Unicef, da cui lo spauracchio “vai una settimana in Congo e mi ridici”) ma a scaldarsi col fuoco, a mangiare un piatto semplice di legumi e selvaggina, magari pure con una montagna di tempo libero per filosofeggiare, sarebbe poi tanto peggiore delle nostre case con riscaldamento centralizzato? Siamo sicuri che esser mantenuti in vita fino a 90 anni per vivere come zombie (non mi riferisco a quei pochi fortunati, come la mia bisnonna, campata fino quasi a 100 anni in salute, ma alla gran maggioranza di farmacie ambulanti troppo deboli anche per salire le scale) sia meglio che andarsene con dignità a 65? Lo so che questo pensiero è Eretico, ma dato che siamo su Ereticamente spero di non venir giudicata. Amici, se non si esce dal concetto di progresso non si va da nessuna parte, secondo me..socialismo o liberismo..comunismo o capitalismo..solito brodo, sempre secondo me. Cambiano gli attori, ma non la trama. Penso e credo fermamente che un ritorno “indietro” ci sarà, gioco forza, perchè il progresso è solo un mito congeniale ad un determinato periodo storico limitato. Alternativa, come lo chiama Rita, il “grande riassetto” che i grandi capi tribù hanno individuato come soluzione per salvare quasi tutti i cavoli e quasi tutte le capre. Ma ci va di adeguarcisi? A me no personalmente, ma non giudico chi vorrà perchè ancora crede in questa società. Io vedo solo un grande Aut-Aut all’orizzonte.
    Lascio il link ad un articolo pubblicato da “L’intellettuale dissidente” ben scritto, che ho trovato molto interessante ed onesto; parla di pandemia, ma le implicazioni sono molto più ampie.
    https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/societa/unico-no-vax/
    Un saluto!

    • Rita Remagnino 1 Dicembre 2021

      Cara Kami, hai ragione: gli spot delle varie Ong che raccolgono soldi sulla pelle dei bambini sono gli stessi da almeno 50anni e non è affatto vero che nei cosiddetti paesi del Terzo Mondo (ma dov’è, oggi, il Terzo Mondo?) si vive peggio che nel Primo e Secondo. Ancora non abbiamo imparato a diffidare del mainstream?

      Non puoi immaginare quante volte mi sono sentita dire da donne appartenenti ad altre etnie (anche loro oggetto di spot) “io come te non vivrei mai”. Oggettivamente non è invidiabile alzarsi alle 6:00 del mattino, fare di fretta le prime faccende domestiche, preparare la colazione per tutti, immergersi nel traffico cittadino, portare i figli a scuola, andare ad affrontare tutti i problemi del lavoro e dalle !7:00 rifare il percorso inverso per finire addormentate sul divano davanti alla scemenza serale trasmessa dalla tv.

      Abbiamo i caloriferi e l’aria condizionata, è vero, ma ormai queste cose le hanno dappertutto. Non tutti sono però sottoposti ai ritmi dettati dall’ordoliberismo, che a dispetto delle promesse ha addirittura amplificato l’impegno del lavoratore, incessantemente lanciato all’inseguimento del moto frenetico della tecnologia. Se ai tempi di mio padre per riparare un motore meccanico ci volevano poche ore, oggi per ripristinare il programma deteriorato di un sistema elettronico possono volerci giorni, oppure non c’è più niente da fare.

      Le regole del vero lavoro sono di gran lunga precedenti ai dettami di una classe ex-mercantile divenuta finanziaria che usa da decenni l’individuo come se fosse uno dei suoi oggetti di produzione. Non dimentichiamo da dove veniamo. La nostra concezione del lavoro risale alla grande saggezza della vita monastica europea, “ora et labora”, emblema del profondo legame esistente da sempre fra la genuina spiritualità e il lavoro manuale.
      Innumerevoli sono le immagini bibliche impresse come cicatrici nell’immaginario collettivo dell’Europa. Dio padre è un vignaiuolo e suo figlio è il buon pastore. Lo stesso Verbo ad un certo punto si fa carpentiere, anzi, qualcosa di più, perché la parola greca “tekton” che lo designa nel Vangelo secondo Matteo indica proprio il «tecnico» nel senso del «saper fare». Oltre l’ordoliberismo c’è questo. Il “socialismo” di cui ho parlato non è certo quello novecentesco, appartenuto sia alle destre che alle sinistre e ormai consegnato alla Storia, bensì una nuova concezione dello “stare in società”. Dobbiamo re-imparare a stare insieme, perché non ne siamo più capaci. L’obbligo di “distanziamento sociale” è solo la ciliegina sulla torta.

      Interessante l’articolo che hai linkato, grazie.

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