11 Dicembre 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga – Diciannovesima parte – Fabio Calabrese

Questa volta torniamo al tema principale della nostra ricerca dopo due digressioni peraltro, penso, pienamente giustificate: le tre fosse comuni risalenti a 7000 anni fa e gli altri elementi emersi dall’esame del fascicolo de “Le scienze” di cui vi ho parlato precedentemente (e stiamo parlando de “Le scienze”, non certo una pubblicazione “di area”) dimostrano che la propensione per la guerra non è un frutto delle società storiche, ma ha accompagnato l’uomo fin dagli albori della nostra specie, per quanto questa constatazione possa turbare democratici, marxisti e cristiani che ci vorrebbero più simili a castrati gatti da salotto che a leopardi.

Altrettanto importante il discorso sulla religione che abbiamo affrontato la volta scorsa: abbiamo visto che il cosiddetto paganesimo, la religione ancestrale dei nostri antenati indoeuropei, non si appoggia su di “un libro”, una presunta rivelazione, ma su di un’intera cultura. Parlando di religioni abramitiche, abbiamo visto che le pretese del sionismo sulla Palestina, di cui il popolo arabo palestinese paga oggi le conseguenze in maniera atroce, sono del tutto infondate, dato che la favola della diaspora ebraica non ha nessun fondamento storico. La scoperta del “Corano di Birmingham”, un testo probabilmente pre-islamico che contiene tre sure, ci permette poi di avanzare consistenti obiezioni alla presunta ispirazione divina del profeta Maometto.

Ora è però venuto il momento di tornare a gettare lo scandaglio più in profondità, rimontando più indietro la corrente del tempo. Pare strano, ma la nostra conoscenza del passato non cessa di arricchirsi, e con sorprendente rapidità. Qualcuno ha detto con un’immagine suggestiva, che la storia si espande quotidianamente, un giorno avanti nel futuro e uno indietro nel passato. Peccato che tutto ciò abbia l’imperdonabile difetto di apparire sempre meno compatibile con l’immagine del nostro passato e di noi stessi che l’ortodossia democratica ci vorrebbe imporre.

Cominciamo tuttavia con qualcosa che è sicuramente ben lontano dal rappresentare una novità assoluta.

Recentemente, un mio amico mi ha segnalato un video postato su you tube in data 3 maggio 2013 (oltre due anni fa, ma cosa volete farci: il materiale presente sul web è immenso, e si finisce fatalmente per dipendere  da collaboratori, per la cui generosità non si può comunque essere abbastanza grati), firmato Voluspa/Asatru. Il testo è in inglese, ma comunque ne vale la pena.

La nota introduttiva al video riporta (la traduzione è mia):

“Circa 40.000 anni fa, gli Europei preistorici furono il primo popolo al mondo che ha inventato l’arte: pittura, scultura, musica. Lo sviluppo di questa concezione del tutto nuova ha avuto una delle influenze più profonde sul successivo sviluppo intellettuale dei nostri antenati”.

Non ci sarebbe in sostanza altro da dire: prima di allora non si era visto nulla di simile alle grandi pitture parietali del paleolitico superiore delle grotte della Dordogna e della Spagna settentrionale, opera degli uomini di Cro Magnon, e ancora per molti millenni fuori dall’area europea non si avrà nessuno sviluppo artistico lontanamente paragonabile a esse.

L’arte e l’estetica sono invenzioni europee e sono manifestazioni dello spirito europeo. Silvano Lorenzoni faceva notare che i popoli mediorientali sono caratterizzati dall’insensibilità, da una sorta di cecità per le arti visive, che è genetica, e di cui il tabù religioso verso le immagini di ebraismo e islam, teoricamente giustificato dalla precauzione contro il pericolo dell’idolatria, è solo una copertura esteriore.

Io penso che Lorenzoni abbia pienamente ragione: si pensi, per dirne una, alla rozzezza e all’infantilismo degli idoli fenici, che non sembrerebbero proprio il prodotto di una cultura evoluta sotto altri aspetti, oppure si pensi a cosa è diventata l’arte moderna man mano che “artisti” di origine ebraica hanno eliminato il tabù verso la raffigurazione delle immagini, tipico della religione dei loro padri così come dell’islam. L’arte del nostro continente si degrada nella misura in cui in essa lo spirito europeo si diluisce e si rarefà.

Tuttavia è interessante il breve commento di tale Torin Webster (la traduzione è sempre mia): “Questo titolo è uno scherzo, molto eurocentrico!”

Questo, direi, è un esempio tipico della mentalità abramitica (nella quale il marxismo rientra in pieno, e penso si possa considerare la quarta delle religioni “figlie di Abramo”): il (pre)giudizio morale non deriva dai fatti ma li precede e li determina. La superiorità europea DEVE essere negata in nome della supposta purezza atavica dei non europei (il fantasma di J. J. Rousseau, tetragono a qualsiasi esorcismo); di conseguenza, IL FATTO INCONTESTABILE della grande arte paleolitica europea va sminuito, ridicolizzato, se possibile cancellato (orwellianamente, ciò di cui si sono cancellate le testimonianze non è mai esistito, come l’ISIS insegna). Dietro questa stupida frasetta, leggiamo il senso della tragedia della nostra epoca.

Un’altra notizia ci porta a considerare le steppe eurasiatiche che sono in ultima analisi il bordo più orientale del nostro continente se diamo peso alla continuità antropologica più che alla geografia (non dimentichiamo che il tipo antropologico dei cacciatori paleolitici denominato dai genetisti eurasiatico settentrionale è ancora oggi alla base di oltre l’80% del patrimonio genetico degli Europei), come luogo di origine della civiltà. La rubrica scientifica de “La Repubblica” on line. (anche qui “La Repubblica”, mica un sito dell’estrema destra!), riporta la notizia del ritrovamento dell’idolo di Shigir. Si tratta di una grande statua lignea, un palo scolpito con sembianze antropomorfe, che in origine era alto 5,3 metri di cui oggi ne restano poco più della metà, 2,8.

Ritrovato nel 1890 in un acquitrino della regione degli Urali, l’idolo era stato datato a 9500 anni fa, ma una più accurata analisi col radiocarbonio, ha permesso di riconoscergli un’età di 11.000 anni, ed è dunque la più antica scultura lignea conosciuta al mondo. Secondo gli scienziati dell’Università di Mannheim (Germania) che lo stanno attualmente studiando, le misteriose incisioni che si trovano sul corpo dell’idolo potrebbero costituire un vero e proprio codice. Se questo fosse confermato, si tratterebbe dell’esempio di scrittura di gran lunga più antico conosciuto.

L’idolo è attualmente esposto nel museo di Yekaterinburg.

Dell’idolo di Shigir si è occupato anche Maurizio Blondet in un articolo pubblicato il 3 settembre sul suo sito “Blondet & Fiends”, “La più antica religione vivente”. L’idolo, infatti, presenterebbe una netta somiglianza con i pali sciamanici tuttora piantati dagli sciamani siberiani, spesso terminanti in teste umane come quella che sormonta il manufatto di Shigir, e con facce umane incise in vari punti del palo. Questi pali rappresenterebbero il “collegamento con l’Alto”. Ciò ci consentirebbe di retrodatare il culto sciamanico eurasiatico alla stessa età dell’idolo (o forse maggiore), facendone in assoluto la più antica religione tuttora praticata.

Blondet rileva che tracce di questo sciamanesimo si trovano nello scintoismo giapponese, nei culti misterici e dionisiaci ellenici, e sciamani in trance sarebbero riconoscibili perfino nelle pitture parietali paleolitiche della grotta di Lascaux. Abbiamo forse raggiunto, riscoperto, un fondo molto antico della nostra storia.

Entrambi, sia l’articolo de “La Repubblica”, sia quello di Blondet fanno notare che l’idolo di Shigir è più antico del complesso templare anatolico di Gobekli Tepe.

Fermiamoci un momento a questo punto. Quella di Gobekli Tepe è probabilmente la scoperta archeologica più importante degli ultimi anni. Questo tempio o complesso di templi megalitici rimasto celato fino a tempi recenti in una collina anatolica in quella che è oggi la Turchia, risalirebbe al 9000 avanti Cristo, ben più antico quindi dei complessi megalitici di Malta e di Stonehenge, e sta mettendo in crisi molte idee finora comunemente accettate dagli archeologi, a cominciare da quella che costruzioni del genere non sarebbero state possibili prima del neolitico, cioè prima che la scoperta dell’agricoltura permettesse non soltanto un consistente incremento della popolazione, ma il fatto di avere disponibile una sufficiente quantità di braccia da lavoro di persone non direttamente impegnate nella ricerca di cibo (un’economia di caccia e raccolta non produce eccedenze, un cacciatore-raccoglitore riesce a procurarsi a malapena di che far sopravvivere se stesso e la propria famiglia). In un certo senso, potremmo dire che Gobekli Tepe è il più grande OOPART (oggetto anacronistico) conosciuto.

Nel suo articolo, Blondet ipotizza che non sia stata la scoperta dell’agricoltura ma l’impulso religioso a determinare la nascita di comunità umane sedentarie, e che, appunto, come sembra essere accaduto a Gobekli Tepe, la costruzione di grandi santuari abbia preceduto gli insediamenti agricoli. E’ un’ipotesi inverosimile, qualcosa di materialmente impossibile: dove mai una popolazione di cacciatori nomadi avrebbe potuto trovare la manodopera necessaria a costruire Gobekli Tepe o i templi maltesi o Stonehenge? E anche ammesso e non concesso, chi avrebbe potuto provvedere al sostentamento, le esigenze alimentari e il resto, delle persone che dovevano dedicare tutte le loro energie alla costruzione del santuario? Teniamo presente tutto questo ai fini del discorso che segue.

Uno dei maggiori peccati intellettuali abramitici, forse il vizio intellettuale che fonda la mentalità abramitica, lo abbiamo rilevato poco fa, è il vizio di anteporre il pregiudizio morale ai fatti, di accordare a esso questi ultimi invece di fare il contrario come sarebbe giusto. Probabilmente, avrete notato che finora in questa serie di scritti non ho menzionato una scoperta importante come quella di Gobekli Tepe, sebbene quest’ultima abbia creato parecchio rumore nel mondo dell’archeologia. Sono anch’io caduto nello stesso peccato, cioè di ignorare deliberatamente un fatto importante in contrasto con le mie tesi, che avrete certamente notato e io non ve lo nascondo, una decisa perorazione in favore dell’originalità, della creatività dell’uomo europeo, la cui cultura è a mio parere a fondamento dell’intera civiltà umana?

Personalmente, a questo riguardo intendevo semplicemente aspettare finché non mi fossi fatto un’idea di come “far quadrare” Gobekli Tepe con tutto il resto.

L’ipotesi che mi sembra di gran lunga più verosimile è questa: noi sappiamo che durante l’età glaciale il livello dei mari era considerevolmente più basso di quello attuale, perché enormi quantità d’acqua si trovavano imprigionate nelle coltri glaciali. L’innalzamento del livello dei mari che si verificò con la deglaciazione, con ogni probabilità non è stato dappertutto un fatto progressivo e tranquillo, poiché in più di un luogo, innalzandosi il mare poteva finire per superare o rompere all’improvviso gli argini naturali che esistevano, provocando allagamenti violenti e catastrofici. E’ probabile che il ricordo di alcuni di essi sia alla base della leggenda di Atlantide e del racconto biblico del diluvio.

Fabio 2

Secondo l’ipotesi esposta da Ian Wilson in I pilastri di Atlantide, ipotesi che trova un forte sostegno in dati archeologici, rilevamenti satellitari, carotaggi, rilevazioni sottomarine effettuate da piccoli sommergibili teleguidati e via dicendo, quello che oggi è il Mar Nero, in età glaciale era un lago di acqua dolce di dimensioni molto inferiori al mare attuale. Tutto attorno alle sue rive, esisteva una vasta area oggi sommersa, che non ha molto senso se considerare europea o asiatica, ma che era probabilmente popolata da genti bianche di ceppo caucasico fra cui forse gli antenati degli odierni indoeuropei, che potevano, date le condizioni favorevoli, già aver raggiunto un discreto livello di civiltà.

A un certo punto, il crescere del livello del Mediterraneo e la sua crescente pressione, avrebbero fatto crollare il ponte di terra che si sarebbe trovato dove attualmente c’è il Bosforo, che separava il Mediterraneo dal lago del Mar Nero. Le acque del mare avrebbero sommerso il lago e le terre circostanti con un’inondazione catastrofica – forse quella ricordata dal mito di Atlantide – costringendo gli abitanti alla fuga. I superstiti sarebbero fuggiti in ogni direzione; fra questi, alcuni avrebbero raggiunto l’Asia minore, e poiché provenivano da una società probabilmente già agricola, potevano avere la densità demografica necessaria a realizzare edifici come quelli di Gobekli Tepe. Probabilmente avranno realizzato anche altro di cui il tempo ha cancellato le tracce: edifici civili, abitazioni, campi coltivati. Vediamo che questa ipotesi risolve anche il mistero di cui gli archeologi non sembrano trovare il bandolo, di un complesso templare realizzato in età paleolitica.

Facciamo un esempio che dovrebbe rendere chiare le idee. Voi sapete che gli aborigeni dell’Australia sono rimasti fermi al paleolitico fino all’arrivo dei coloni europei nel XVIII-XIX secolo. Immaginate che a un certo punto i coloni europei in Australia siano scomparsi, o perché assorbiti dalla popolazione aborigena o perché migrati altrove. Ora immaginatevi gli archeologi di millenni a venire chiedersi: “Ma come avranno fatto gli aborigeni che non sapevano nemmeno levigare la pietra, a realizzare l’Opera di Sidney?”

Questa tematica, delle terre che oggi si trovano al disotto di parecchi metri d’acqua marina, ma che nell’età glaciale erano emerse, potrebbero essere state oggetto di popolamento umano, e forse le sedi più antiche della civiltà del nostro continente, è probabilmente quella che impegnerà maggiormente la ricerca archeologica nei prossimi decenni.

Una delle aree più estese che la deglaciazione ha fatto scomparire sotto i flutti, è il cosiddetto Doggerland che gli archeologi inglesi sono impegnati a studiare da decenni. I Dogger Bank è una zona di acque basse che si trova fra Inghilterra e Danimarca, rimasta emersa fino al 7000 aventi Cristo, ma l’antico Doggerland, questa vera e propria “Atlantide britannica” fosse nel remoto passato molto più estesa, comprendendo 18.000 anni fa praticamente tutta la sezione di quello che è oggi il Mare del Nord dalle Isole Britanniche, alla Scandinavia, alle coste francesi prospicienti a quella che è oggi la Manica.

Bene, corriere.it, la versione on line del “Corriere della sera” del 2 settembre, ci informa che il governo britannico ha stanziato per le ricerche riguardo a Doggerland, 2,5 milioni di euro messi a disposizione dall’Unione Europea, una cifra notevole, considerando il periodo di crisi economica che stiamo attraversando.

La stessa notizia è riportata anche da “La Repubblica” del 3 settembre con un vistoso titolo: Sommersa nel Mare del Nord c’è un’Atlantide europea tutta da scoprire.

Tuttavia, le maggiori sorprese in questo campo potrebbero non venire da lì. Noi non dobbiamo dimenticare che non solo il Mare del Nord ma anche il Mediterraneo ad essere durante l’età glaciale di un livello inferiore di diverse decine di metri, e anche qui esistevano terre emerse oggi sprofondate sotto i flutti, anch’esse oggetto di antico popolamento umano, e dove la ricerca archeologica potrebbe rivelarci notevoli sorprese.

“La Repubblica” dell’11 agosto ci informa che ricercatori dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste hanno recentemente individuato nel Canale di Sicilia approssimativamente a mezza strada fra Pantelleria e le coste siciliane un sito archeologico sommerso di età mesolitica risalente a 9500 anni fa. Il resto più evidente è  un grosso monolito di forma squadrata con fori disposti regolarmente sui lati e un foro che lo attraversa da parte a parte. Secondo i ricercatori, avrebbe fatto parte di un antico edificio, probabilmente un tempio.

Ancora siamo appena agli inizi della ricerca, così come adesso sappiamo ancora ben poco delle antiche popolazioni che avrebbero abitato Doggerland. E’ certo tuttavia che molti capitoli importanti della nostra storia remota sono ancora tutti da scrivere.

 

2 Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *