17 Luglio 2024
Società

Togli mascherina metti bandierina – Roberto Pecchioli

Gira nelle chat alternative una vignetta in cui una manona fuoriesce dal televisore e aziona una chiave per caricare orologi a molla, posizionata sulla schiena di un telespettatore dagli occhi sbarrati. La didascalia è: togli mascherina metti bandierina. Libri interi non avrebbero potuto essere più pregnanti di quella semplice immagine per descrivere la condizione di dipendenza da cui siamo avvolti.

Non intendiamo qui prendere posizione nel merito. Ciascuno, in libertà, abbia le sue opinioni sulla pandemia – un po’ dimenticata da quando la comunicazione si è concentrata sul conflitto in Ucraina – e sulla guerra. Quel che preme sottolineare è il clima sempre più pesante, l’indottrinamento, la manipolazione continua che cala come una mannaia e interrompe il circuito della razionalità e della libertà di giudizio. Uno dei padri della Chiesa, sant’Ireneo di Lione, nel II secolo dopo Cristo scrisse: l’uomo è una creatura razionale e per questo somigliante a Dio; fu creato libero e padrone dei suoi atti. Oltre il significato trascendente, colpisce la vigorosa difesa del libero arbitrio, così attuale all’alba del totalitarismo del secolo XXI.

Che cos’è, infatti, se non totalitarismo, l’impressionante catena di messaggi a senso unico provenienti dal potere, una possente macchina globale di diffusione di verità preconfezionate che invera l’affermazione di Marshall Mc Luhan, il mezzo è il messaggio. Max Weber un secolo fa indicava nel “politeismo dei valori” il tratto caratteristico della modernità. Quel giudizio è oggi superato: siamo tornati al più rigido monoteismo, nel senso che il libero Occidente possiede tutte le verità, le prescrive e le impone insieme con i comportamenti che ne derivano. E’ così da due anni per la narrazione epidemica, è diventato fulminea macchina della comunicazione dal 24 febbraio, giorno dell’attacco militare russo. Impossibile avanzare dubbi o porre domande: ogni eccezione è rimossa.

Weber rivendicava all’ analisi sociologica il criterio di avalutatività, ossia la capacità di studiare fatti, ragioni e motivazioni senza parteggiare, “sine ira et studio”, senza ira né pregiudizio, le parole dello storico latino Tacito. Difficile programma, specie se si è immersi nei fatti che si descrivono, tuttavia l’unico “politeismo” rimasto è quello delle pulsioni e dei gusti, beninteso se sfruttabili sul mercato. Quanto alle idee o ai giudizi di merito, semaforo rosso. Dissentire sta diventando un fatto psichiatrico. Non canti nel coro? Sei fuori di testa.

Hanno fatto della paura lo strumento più efficace del potere, allontanando la libertà e bypassando le procedure giuridiche dello stato di diritto. José Ortega y Gasset sosteneva che il merito del liberalismo era di accettare la convivenza con l’avversario, anche il più debole. La società sedicente aperta si è chiusa inesorabilmente, pur mantenendo le forme della democrazia. Campioni nel rivoltare la frittata: a Genova una lapide ricorda l’omicidio da parte delle Brigate Rosse del funzionario di polizia Antonio Esposito, con la dicitura fuorviante “ucciso dai nemici dello Stato democratico”.

Una scorsa ai sussidiari e ai manuali scolastici mostra un livello di indottrinamento di bambini e ragazzi che lascia senza fiato. Formano soldatini, sbracati e senza uniforme in ossequio ai tempi, non personalità libere, critiche e informate. I frutti più copiosi stanno nell’ultimo, terribile biennio. La violenza totalizzante delle verità precostituite sull’epidemia, il vaccino, la costruzione di nemici sempre nuovi, si è riprodotta con estensione maggiore nel racconto della guerra, centrato sull’ odio rabbioso per una parte in causa, la Russia.

L’esito delle campagne del potere, tuttavia, è un successo fulmineo. Un po’ per celia e un po’ perché ne siamo persuasi, osiamo affermare che se venisse avviata a reti unificate una campagna per promuovere l’uso del vaso da notte come copricapo, la moda si diffonderebbe in un baleno, con tanto di foto soddisfatte sulle reti sociali.  Da qualche parte, hanno davvero installato all’omino con gli occhi sbarrati della vignetta una chiave invisibile che il potere carica a piacimento. Dal governo si vanta l’implementazione dell’identità digitale, attraverso la quale passeranno, dicono, i “benefici sociali”. A pochi viene in mente che la tecnologia del green pass è identica. Basta un “guadagno di funzione”, come negli esperimenti su virus e batteri condotti in laboratori riservati, in spregio alla decantata trasparenza. Il direttore dell’Agenzia delle Entrate si schiera per la totale digitalizzazione del denaro: nessun sospetto su che cosa ha davvero in mente il capo del sistema fiscale? Evidentemente no, l’animale uomo è stato addomesticato a dovere.

Siamo gli unici evocare Kafka? Gregor Samsa, protagonista della Metamorfosi, si trasforma in scarafaggio; il suo omologo contemporaneo in pecorella impaurita di un gregge bramoso del pastore, o in uomo senza qualità, come nel romanzo di Robert Musil, l’altro capolavoro di fine impero, una lunga stagione storica al tramonto. Kafka fu anche autore del Processo, la storia di Joseph K. arrestato e perseguito senza un’accusa precisa, ostaggio di un potere incombente e nemico.

Una caratteristica dell’uomo occidentale contemporaneo è l’incapacità di sopportare e addirittura concepire dolore e sofferenza. Ovvio che sia tanto vulnerabile alle paure, reali o indotte, e sia così sensibile alle cure, ai palliativi che rendono sopportabile la vita. Accetta tutto in nome del di un minuto in più di benessere psicofisico. E’ per il tuo bene, sussurra il potere materno, mentre gli fa ingoiare pozioni sempre nuove. In qualche supermercato pretendono di misurare la temperatura dei clienti. E’ per il nostro bene. E la libertà, la riservatezza, il diritto alla proprietà di noi stessi? Stupidaggini di filosofi. Non esitiamo ad accettare pesanti limitazioni alla libertà in cambio della promessa della sopravvivenza. Abbiamo accettato il controllo e siamo disponibili al tracciamento per evitare il dolore e vivere “comodamente”. Non si tratta solo del dolore connesso con la malattia, ma anche di quello della frustrazione e del conflitto. La maniera più efficace di abolire il conflitto è vietare il pensiero, renderlo impossibile nel baccano unidirezionale, il frastuono di mille voci che proclamano la stessa cosa. La libertà è faticosa, talvolta dolorosa: meglio la neutralizzazione, lo spartito predefinito.

Nello stabbio, il gregge non discute, attende la distribuzione della razione quotidiana e si rallegra di vivere al coperto. Nella notte delle libertà il sonno della ragione genera mostri. Mostri che si piacciono e si compiacciono. Riflettere genera emicrania, meglio un analgesico. Il pensiero unico è un unico pensiero, tutto uguale, colore grigio. Occorre fare presto a svegliarci. Il vecchio Hegel ammoniva che la nottola di Minerva – la dea della sapienza – inizia il suo volo sul far del crepuscolo: ci si rende conto delle cose quando è troppo tardi. Ecco perché, tra mascherine e bandierine obbligatorie, bisogna rivendicare il dovere e il diritto al pensiero, che è conflitto e confronto.

Non ci sono eretici, ogni idea è legittima, dal campo vanno espulsi solo coloro che agiscono attraverso la violenza, diretta o psicologica. Questo non significa neutralità, indifferenza, solo reciproco riconoscimento. Chi scrive ha sperimentato da sempre il disagio di essere in minoranza, di far parte dei cattivi, i proscritti, quelli a cui non è permesso “dire bene di se stessi”. Il conformismo è la condizione naturale dell’uomo; facile transitur ad plures, è facile passare alla maggioranza, scriveva Seneca nelle Lettere a Lucilio. Basta bandierine e mascherine d’ordinanza. Abbiamo il diritto di discutere il futuro che ci viene preparato, tra intelligenza artificiale, tecnologie di sorveglianza, poteri sempre più invasivi. Osservò un grande del Novecento, Jorge Luis Borges, che il più urgente problema del suo tempo era la graduale intromissione dello Stato negli atti dell’individuo. Oggi è peggio, poiché allo Stato si è aggiunto (e in buona misura si è sostituito) il dominio di enormi agglomerati privati: Big Tech, i Gafam, il Mercato misura di tutte le cose. Tecnica e tecnologia sono diventati l’”impianto”, l’ l’involucro totalizzante  che Heidegger definì Gestell.

L’individuo particella elementare ha sostituito la comunità con la community. Il contrario di communitas è immunitas, secondo Roberto Esposito. Immunità dai doveri, dai legami sociali. L’individuo ossessionato dall’immunitas si protegge dagli altri, chiude gli occhi e si tappa le orecchie. Vuole essere immune da ogni virus, anche quello del pensiero. Per avere un’opinione, aspetta il telegiornale della sera, infastidito da ogni complessità. Non è più in grado di decifrare un ragionamento complesso, spesso neppure di comprendere un testo di media difficoltà. Perfino i signori degli algoritmi sono preoccupati: siamo diventati troppo stupidi, la soglia di attenzione – parola di Microsoft-è simile a quella del pesce rosso.

Nell’era della velocità – dromocrazia – viviamo di frammenti. Come in certi quiz televisivi, la prima risposta è quella che conta, fornita, guarda caso, dal sistema. C’è una guerra: ecco i buoni e i cattivi, il pacchetto delle domande e delle risposte è pronto ed esaustivo, le FAQ dei siti Internet. Se avete altre domande c’è un numero di telefono dedicato. La voce elettronica risponderà, non riattaccate: perdereste “la priorità acquisita”.  E’ tale il terrore del contagio che la possibilità di togliere la mascherina all’aperto, ovvero di riacquistare la proprietà del nostro volto, non convince almeno la metà del gregge.

Frasi pronte, luoghi comuni da sala d’aspetto assurgono a pensieri filosofici: signora mia, la guerra nel 2022! Come se l’uomo cambiasse natura secondo il calendario, e il conflitto non fosse, ci piaccia o meno, un elemento innato della condizione umana. La sociologa Ida Magli, nel suo libro estremo, Figli dell’uomo, dimostrò che per la nostra specie uccidere è l’atto più facile, soprattutto nei confronti dei più deboli. Al tempo di dèi capovolti, è più vero che mai: oltre alle guerre e agli omicidi, i paradisi artificiali, l’aborto banalizzato, la normalizzazione della soppressione di vecchi e malati.

Su tutto, una singolare banalità del bene. Lo notò Franco Cassano, il filosofo del “pensiero meridiano” in un testo problematico, L’umiltà del male. Nella Siviglia del Cinquecento di cui parla Dostoevskij (ora cancellato perché russo) gli strumenti del Grande Inquisitore erano il miracolo, il mistero e l’autorità, l’uomo un fanciullo bisognoso di tutela. Oggi il Grande Inquisitore ha modernizzato i suoi strumenti. La passività prende la forma più sofisticata, celata dall’apparenza dell’autonomia e dal narcisismo etico, l’atteggiamento che spinge a specchiarsi nella presunzione di chi non si avvede dell’abilità con cui il male riesce ad egemonizzare la fragilità, l’ossessione del consumo, la rivendicazione della volgarità, l’esposizione impudica di sé.

Serve la ribellione, il duro esercizio della conoscenza, il giudizio critico che richiede tempo, pazienza, confronto, lontananza dal gregge. Cassano ci invita a cacciare l’homo emptor, l’acquirente di merci e idee contraffate per ridiventare homo civicus, non più dominato “attraverso mille fili, dall’industria delle seduzioni, dai piazzisti di tutto il mondo, in primo luogo dai più forti tra essi”. Quelli che caricano la molla.

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