4 Dicembre 2024
Tradizione Tradizione Primordiale

Titani, Antenati mitici ed Eroi culturali – Michele Ruzzai

Il mondo psichico-intermedio, al quale si era accennato in chiusura del precedente articolo (“Il ramo boreale dell’Uomo tra Nord-est e Nord-ovest“), è una dimensione estremamente complessa, ambivalente e multiforme.

Presso molte tradizioni viene descritta come una compagine né materiale ma nemmeno del tutto trascendente: mutevole, collegata all’acqueo mondo emotivo, al fluido sanguigno (che Evola accosta all’elemento Aria), al fuoco della volontà e decisamente ambigua, in quanto sede sia delle passioni che del raziocinio; un ambito dalla natura intrinsecamente duale come, ad esempio, viene rappresentata dai due serpenti del caduceo. Probabilmente uno dei fili conduttori di tutto questo complesso intreccio è costituito proprio dal guna Rajas, che Guenon ci ricorda essere predominante nell’elemento Aria, ma che è presente anche, e a mio avviso in termini in qualche modo simmetrici, sia nell’elemento Fuoco (sotto forma della sua componente “calore”, mentre a Sattwa corrisponde la parte “luce”) che nell’elemento Acqua (nella sua componente di espansiva fluidità, mentre a Tamas corrisponde quella di pesantezza e caduta).

Con questo mondo composito e polivalente i vari gruppi umani appena materializzatisi non tardano ad entrare in relazione, complice anche la forte “permeabilità” dell’ambiente cosmico che Schuon sottolinea per l’epoca primordiale e che consentiva contatti ed interferenze reciproche. Forse può essere ancora più calzante l’immagine di un livello “sottile” del tutto parallelo a quello terreno, dove le entità ivi presenti sembrerebbero svolgere una funzione quasi “speculare” rispetto a quello più basso. Una prospettiva analoga alla visione di Scoto Eriugena, che ipotizzava la coesistenza di due stati onto-esistenziali eterogenei e corrispondenti a due tappe del processo antropogenetico; condizione duale che farebbe quindi presupporre l’idea di una “doppia fisicità” dell’Uomo dei primordi.

A conferma di ciò, si può ricordare l’accenno di Jakob Bohme sull’Adamo creato con due corpi, dei quali uno è quello dell’angelo – cioè il “corpo celeste” – mentre l’altro, almeno virtualmente, è quello dell’uomo terrestre: quest’ultimo, però, non si manifesta subito all’atto della creazione ma solo in un secondo momento, ed in effetti così avviene anche nella presente interpretazione, ovvero contestualmente alla bipolarizzazione maschio-femmina all’inizio del Secondo Grande Anno del Manvantara. Infatti Bohme aggiunge che il corpo terrestre può concepirsi solo nella dualità dei sessi, come pure che il corpo celeste viene perso con la Caduta definitiva e la perdita del Paradiso Terrestre (cioè alla fine del Satya Yuga). Forse un analogo ricordo, qui magari da interpretare nel quadro di una localizzazione più specificatamente boreale ed in una prospettica “teistica”, è costituito dall’accenno già in precedenza ricordato che descrive ora Adamo non più “in” Dio ma solo “di fronte” a lui, o al suo fianco mentre passeggia nel giardino dell’Eden.

A mio avviso accenni consimili possano trovarsi anche in Henry Corbin, il quale identifica Prometeo (che, ricordiamo, è un Titano) con Phos – archetipo degli “uomini di luce” di alcuni testi gnostici ed ermetico-alchemici – quale rappresentante dell’uomo spirituale occultato; a questo si contrappone, come polo opposto, l’Adamo terrestre, uomo esteriore, carnale e che in questo caso, evidentemente, corrisponde alla “femmina” intesa in un senso più largo (la quale, come abbiamo visto in “La bipolarizzazione sessuale, il femminile e l’avvento della corporeità umana”, si esteriorizza ed assume veste materiale). L’Adamo terrestre è assoggettato agli elementi, alle influenze planetarie ed al Destino, è archetipo degli uomini materializzati ed analogo ad Epimeteo che, non a caso, accetta incautamente Pandora, la prima donna, inviatagli “punitivamente” da Zeus (uno Zeus che in verità, come è stato rilevato, spesso viene citato in termini generici e temporalmente incongrui, dal momento che il suo effettivo regno si instaurerà solo dopo quello di Kronos). Comunque alla fine Prometeo-Phos viene con l’inganno fatto legare ad Adam-Epimeteo, perdendo così la primordiale condizione di innocenza: un episodio chiaramente parallelo a quello che, nel mito maggiormente conosciuto, ci tramanda la punizione del Titano con l’immagine dell’incatenamento alla roccia, palese simbolo della materialità più densa e compatta. Ed ancora in relazione al mito prometeico, anche dalle note di Ugo Bianchi è desumibile come l’umanità correlabile ad Epimeteo possieda ormai quella “individualità agente” della quale invece sembra essere stata priva la “pre-umanità”, aurea, indistinta e prototipica (rapportabile al Primo Grande Anno del Manvantara) che in tempi precedenti si era ritrovata a Mecone con gli Dèi.

Sempre nella stessa direzione di una contemporanea doppia corporeità, a mio avviso si potrebbe interpretare anche Esiodo. La prima delle sue cinque razze, ovvero quella aurea, beata ed immortale (già posta in analogia alla supercasta unitaria Hamsa), al termine del suo tempo venne mutata in una compagine di demoni epictonii, figure che però non devono essere interpretate nell’accezione esclusivamente negativa veicolataci dal cristianesimo, dato che nell’antichità greca il termine “Demone” rappresentava piuttosto un’entità dalle caratteristiche ambivalenti; tali presenze divennero invisibili per gli uomini delle ere successive – ma non furono costrette ad un soggiorno sotterraneo – e vengono descritte, da un certo punto di vista, con tratti benigni e, in qualche modo, “protettivi” nei confronti di un’umanità dalle caratteristiche più ordinarie. Julius Evola identifica queste entità ai già incontrati Veglianti, evidentemente anch’essi considerati non nel loro aspetto “infero”, bensì in quello positivo (già precedentemente si era infatti accennato al collegamento logico tra il concetto di “veglia” e l’aspetto solare del piano sottile). Un ricordo che mi pare fondamentalmente analogo si riscontra anche tra i Dogon del Mali, i quali narrano che nei tempi primordiali gli uomini non morivano, ma al termine del loro ciclo terreno si addormentavano (come nel mito greco) e si trasformavano in “geni-serpenti”; una dimensione, quella dei “geni”, che effettivamente Burckhardt identifica con quella psichico-intermedia e che Guenon, più nello specifico, attribuisce proprio agli enigmatici Veglianti.

Di conseguenza questi demoni epictonii, che nascono tra la fine del Primo e l’inizio del Secondo Grande Anno, potrebbero ben rappresentare l’entità incorporea che, ora, si qualifica proprio nella sua relazione con un’umanità nel frattempo manifestatasi anche sul piano materiale: “Numi” a mio avviso identificabili con quella che nel mito esiodeo è proprio la seconda razza, cioè la generazione argentea. Se è vero che Esiodo non afferma esplicitamente che questa discenda da quella aurea, è stato rilevato che neppure lo escluda, né nell’episodio specifico né nella vicenda generale di tutta la successione tra le varie razze; Ugo Bianchi anzi osserva come un esempio di continuità genetica tra una stirpe e quella successiva può essere fornito dal caso di Deucalione che, sopravvissuto alla fase precedente, dà l’inizio ad una nuova umanità. In tal senso, sembrano quindi particolarmente significative anche le considerazioni di Vernant che sviluppa un’analisi delle razze esiodee “a coppie”, cioè collegando più strettamente la razza aurea a quella di argento (ed analogamente, come vedremo in futuro, quella di bronzo agli Eroi): in particolare, la coppia oro/argento esprimerebbe la funzione della sovranità considerata nel suo duplice aspetto, positivo/oro e negativo/argento. Della razza argentea è infatti stato notato come le caratteristiche da essa presentate non possano comunque essere considerate umane nel senso corporeizzato ed odierno, tanto che al termine del suo ciclo verrà, allo stesso modo dei Titani, sospinta sottoterra, inaugurando così la seconda stirpe dei demoni, quelli ipoctonii. Ma la presenza, ad un tempo, di un’umanità materiale e di una schiera di entità poste sul livello sottile sembra desumersi anche dalle note di Mircea Eliade, il quale segnala come sotto il regno di Kronos le due categorie – uomini e “Dei” – apparivano ormai chiaramente distinte, tuttavia ricordando anche la definizione esiodea degli Dei come coloro che furono “fratelli potenti” degli uomini: una differenza che quindi non sembrerebbe irriducibilmente ontologica, ma piuttosto legata alle diverse modalità di manifestazione di uno stesso impulso antropogenetico, che a partire dal Secondo Grande Anno si estrinseca contemporaneamente su un doppio piano.

Una di queste entità è sicuramente costituita dal titano Kronos, il reggente primordiale per eccellenza, che oltretutto presenta delle caratteristiche chiaramente ambivalenti, tipiche di certe figure del dominio intermedio. Abbiamo già visto che vari rimandi hanno evidenziato il nesso esistente tra il manifestarsi della femmina ed il sorgere dell’elemento temporale, del quale Kronos è notoriamente la figura-simbolo; è stato inoltre osservato come la stessa esistenza del tempo sia da porsi in stretto collegamento con quella della dimensione psichica, cosa che confermerebbe il legame esistente tra l’entità saturnina ed il mondo polivalente della manifestazione sottile. Tale idea sembrerebbe trasparire anche dalla significativa immagine, presente nella mitologia indiana, che rappresenta il tempo sotto forma del drago Rahu nell’atto di divorare se stesso, come anche in un’altra, similare, ricordata in una teogonia ellenica che Atenagora attribuisce ad Orfeo, nella quale Kronos appare sotto forma di Serpente alato: in entrambi i casi non può certo sfuggire il fatto che il rettile rappresenti chiaramente uno dei simboli dell’intermundia posto tra il piano “spirituale” delle idee pure e quello della bassa materia. Il collegamento tra l’ambito psichico e Kronos trova, a mio avviso, un’ulteriore conferma nei “tortuosi pensieri” che nel mito vengono attribuiti al Titano, e che peraltro Renè Guenon pone in relazione all’ambito sottile dove si colloca quell’elemento così caratteristico dell’individualità umana che è “manas”, cioè “il mentale”, la cui la radice “men” è indicativa di tale rapporto.

Dagli elementi sopra indicati, a mio avviso emerge la possibilità di modificare in parte la classica attribuzione delle razze esiodee ai vari periodi del nostro Manvantara: secondo la presente interpretazione la prima razza, quella aurea, potrebbe quindi non coprire tutto il Krita Yuga ma solo la sua metà e cioè il Primo Grande Anno, mentre quelle successive, analogamente, andrebbero fatte corrispondere a ciascuno dei successivi quattro grandi anni, seguendo così una prospettiva quinaria piuttosto che una quaternaria legata agli Yuga. In effetti si può dire che già una certa incongruenza tra età mitiche e razze esiodee sia ravvisabile nel loro numero, dal momento che le età sono quattro (Krita-Treta-Dvapara-Kali), mentre invece le razze sono cinque; Esiodo infatti, tra la razza bronzea e quella di ferro, ne pone una quarta, quella degli eroi (stirpe che peraltro Robert Graves colloca sempre nel periodo bronzeo e quindi evidenziando una certa incongruenza tra i due concetti).

Possiamo quindi provare a fare alcune considerazioni generali basate su una suddivisione di tipo quinario, ricordando che oltre ad Esiodo vi è qualche altra tradizione che ne parla: Julius Evola ad esempio segnala come nei miti aztechi, invece di una suddivisione in quattro età, si ponga piuttosto l’accento sulla successione nella storia umana di cinque cicli solari.

Innanzitutto, per meglio definire la posizione cronologica della razza argentea e prima di andarne ad approfondire le specifiche caratteristiche, credo che alcuni spunti interessanti possano esserci forniti dall’analisi e da una più precisa collocazione temporale della successiva razza di bronzo. Mi pare infatti significativo che, come ricorda Ugo Bianchi, nel mito esiodeo, se le prime due razze – oro ed argento – furono entrambe create dagli Dei, solo per la terza si dice esplicitamente che fu prodotta da Zeus, e che questa si pone chiaramente nel periodo del suo pieno dominio; siccome la reggenza di Zeus si instaura solo dopo quella di Kronos (quindi non più nel Krita, ma nel Treta Yuga), potrebbe quindi conseguirne che la razza argentea si collochi ancora nella prima età e non nella seconda.

Inoltre, su quella che dovrebbe corrispondere alla razza di bronzo, anche Julius Evola fornisce qualche contributo interessante. Il pensatore romano segnala infatti come, dal punto di vista della degenerazione spirituale, nell’alta preistoria vi fu un momento nel quale, al fenomeno della materializzazione del virile corrispose come controparte la femminilizzazione dello spirituale: a mio avviso, la materializzazione del virile dovrebbe implicare una casta guerriera ormai in aperta discordia con l’elemento sacerdotale, e quindi, per le caratteristiche evidenziate, identificarsi con la razza bronzea di Esiodo. Non sembrerebbe appropriato porre tale evento nel Krita Yuga, perché qui le due caste si polarizzano ma non appaiono ancora in chiaro conflitto tra loro (come vedremo, ciò avverrà solo alla fine), mentre il momento “spiritualmente femminile” ricordato da Evola sarebbe palesemente riconducibile alla seconda età, il Treta Yuga. Questo dato, quindi, potrebbe stabilire un collegamento logico tra l’avvento della razza bronzea e l’inizio dell’età della Madre.

Altre indicazioni utili ci arrivano dalla stirpe controversa – e per la quale avevo già ipotizzato la possibilità di molteplici chiavi di lettura – dei mitici Giganti, sui quali torneremo ancora. Nati dall’unione tra esseri celesti con donne terrestri, per Evola sorgono nel momento in cui dalla spiritualità delle origini si passò proprio all’età della Madre (quindi, di nuovo, chiaramente la seconda): se in questo contesto sembra possibile stabilire un collegamento tra i Giganti e la razza di bronzo, ne consegue, anche qui, che la precedente razza argentea di Esiodo dovrebbe ricadere ancora nel Krita Yuga.

Dall’altro lato, Ugo Bianchi segnala che Proclo attribuisce al “teologo Orfeo” una rielaborazione del mito esiodeo delle cinque razze umane nella quale l’umanità aurea, dedita all’intelligibile e precedente a quella argentea, sarebbe vissuta sotto Phanes, dio che nella cosmogonia orfica presenta caratteristiche ermafroditiche: è evidente come tale aspetto colleghi questa entità, e di conseguenza la razza aurea vissuta sotto il suo dominio, al momento primordiale androginico-bisessuato, che già in precedenza avevamo posto nel Primo Grande Anno del Manvantara. Proclo prosegue e conferma anch’egli la creazione della terza razza, da parte di Zeus, con i resti inceneriti dei Titani (cioè dopo la conclusione della Titanomachia), ma ciò che ai nostri fini sembra particolarmente significativo è che la seconda razza, quella argentea e “dedita al divino”, appare connessa a Kronos. Viene anche notato come sia proprio il tipo di vita “argenteo”, rivolto verso se stesso e quindi egocentrico, che è ispirato da Kronos; lo stesso metallo, l’argento, nella “Repubblica” di Platone è associato ai guerrieri, la cui casta abbiamo già visto quale significato abbia avuto in relazione alla polarizzazione dell’Androgino ed alla corporeizzazione umana nel passaggio tra il Primo ed il Secondo grande Anno. D’argento è anche la chiave simbolicamente posseduta dall’Imperatore (che nel corso del tempo diverrà scettro, quale segno di regalità) e significativamente detta del “Paradiso Terrestre”, testimoniando quindi un suo diretto rapporto con la prima età – almeno con una sua parte – piuttosto che con la seconda, il Treta Yuga. Vi sono poi anche altri autori che hanno avvicinato la razza argentea alla generazione dei Titani, dei quali sappiamo che Kronos è uno dei più eminenti rappresentanti, e ciò anche per la comune dimora sotterranea nella quale vengono sospinti alla fine del loro ciclo di esistenza.

La destinazione ipoctonia della seconda razza esiodea è, effettivamente, un ulteriore elemento che può fornire utili spunti di riflessione, sede in rapporto alla quale Evola ci segnala, nella mitologia celtica ed in quella iranica, due significativi esempi di figure che potrebbero esservi accostate. Nel mito celtico vi sono i Tuatha de Danann (razza che ritengo possa essere interpretata in contesti e su piani diversi), il misterioso popolo che, alla fine del suo tempo, si ritirò in parte nell’isola di Avallon ed in parte in dimore sotterranee; il mito iranico ricorda invece il re Yima, anch’egli costretto ad occultarsi in un rifugio nelle profondità terrestri per l’avvento di nuove condizioni cosmiche, oltretutto apparendo significativo il fatto che ricopre il ruolo di sovrano della prima età.

La discesa ipoctonia delle entità sottili alla fine del Satya Yuga, potrebbe inoltre essere messa in relazione alla perdita del “corpo celeste” che, in un’ottica cristiana, secondo Bohme sarebbe stato posseduto da Adamo fin dalla sua creazione, rimanendogli dopo la Caduta il solo corpo terrestre. Il biblico “peccato originale”, la Caduta dell’Uomo, la perdita del Paradiso Terrestre e la fine della prima età, rappresentano una catena di eventi avvicinabile al castigo subito per ”hybris” proprio dalla razza argentea ad opera di Zeus; diversi autori (Bianchi, Vernant, Graves) hanno infatti sottolineato come sia in particolare sulla seconda umanità esiodea che, diversamente dalle altre, verrà più tardi a gravare una “colpa” che susciterà l’ira divina e ne trasformerà irrimediabilmente l’esistenza. Va comunque aggiunto che la nuova sede ipoctonia di queste entità non necessariamente implica una loro ri-valorizzazione in termini esclusivamente negativi, idea trasmessa soprattutto dal cristianesimo; Lorenzoni opportunamente ci ricorda come, ad esempio, lo sciamanismo nord-centroasiatico conosca contatti con varie entità del sottomondo che non presentano affatto i connotati sinistri del Diavolo.

In ogni caso, durante il loro ciclo di esistenza epictonia, queste entità “sottili” non tardano ad entrare in stretto rapporto con l’umanità nel frattempo corporeizzatasi secondo i percorsi già descritti, e lo fanno attraverso una modalità che, significativamente, può essere colta in termini ambivalenti; ciò, del resto, pare coerente e consequenziale con la doppia valorizzazione che, come avevamo visto, è possibile attribuire all’ambito intermedio al quale, in termini macrocosmici, esse appartengono, e che su scala microcosmica trova una corrispondenza nella divisione tra “anima inferiore”, femminile e lunare, ed “anima superiore” maschile e solare.

L’ambiguità di tali figure si evidenzia nel fatto che possano, di volta in volta e con vari accenti, rivestire un ruolo doppio, ovvero quello di “reggenti” divine dell’età paradisiaca, ma anche quello di prime civilizzatrici o fondatrici delle culture umane, e spesso anche di uno specifico gruppo etnico: una compresenza/opposizione già notata da Kerenyi che infatti distingue un “trickster-god” da un “trickster-hero”.

Sotto l’aspetto della “reggenza dell’età paradisiaca”, la visuale può apparire più statica, luminosa e basata principalmente sul tema dell’esistenza beata della prima umanità, che in parte si svolge ancora in una dimensione mitica, in quanto a stretto contatto con forze sovrumane colte come benevole e protettrici: prospettiva che pare intuitivo implicare una loro valorizzazione in chiave “solare”.

D’altro lato, sotto l’aspetto che invece tende a sottolineare il ruolo definito, in termini etnologici, come “Eroe culturale / Antenato mitico”, la prospettiva sembra esprimersi secondo una modalità forse più dinamica ed articolata, attraverso personaggi che forniscono all’umanità, pur se ancora in tempi primordiali, i primi rudimenti di un’esistenza che tuttavia si sta già allontanando dal piano divino per volgersi a quello terreno, spesso anche dando inizio alla stirpe che li ricorda; è una visuale che sembra prevalentemente connessa alla valorizzazione in chiave “lunare” del piano sottile.

Questo duplice aspetto, per certi versi, può apparire analogo a quello evidenziato dalla figura del Demiurgo e che avevamo già incontrato nei due articoli dedicativi. Adesso, però, tale ambivalenza si estrinseca su di un livello diverso da quello precedente, e cioè in relazione ad un’umanità già corporeizzata che, dopo essere sorta, viene appunto “plasmata”: ma, a mio avviso, ora non più in senso morfologico, bensì in chiave soprattutto culturale, cioè completandola ed arricchendola con tutti gli elementi conoscitivi atti a garantirne, su questo piano, una vita “degna” e ben distinta dalla bassa animalità.

Si riscontrano quindi figure mitiche le quali, per opera di questa doppia visuale, possono essere considerate in maniera anche diametralmente opposta, come ad esempio i già citati Tuatha de Danann, che non a caso una fonte celtica definisce ad un tempo “dèi e falsi dèi”, mentre altri testi cristianizzati non esitano a marchiarli addirittura come “demoni”; ma tale valorizzazione, in termini più generali – e scremata da accenti di carattere morale – va analizzata anche alla luce di quanto segnalatoci da Ugo Bianchi, il quale ricorda come colui che, in ambito etnologico, riveste il ruolo di “demiurgo-trickster”, non debba necessariamente essere confuso o ridotto al livello di un’entità meramente negatrice, distruttiva e diabolica, trattandosi invece, al netto dei vari processi di “demonizzazione” (che spesso subisce dagli strati culturali successivi), di una figura che presenta piuttosto dei complessi aspetti “prometeico-epimeteici” sui quali torneremo.

Nella loro modalità soprattutto solare e positiva (che tuttavia, come dicevamo, non è l’unica possibile), la tradizione biblica, ad esempio, ci tramanda figure quali i “figli di Dio”, o “figli di Elohim”; in questo contesto interpretativo, certa letteratura siriaco-ebraica li identifica anche con gli enigmatici “Veglianti”, che Evola ricollega alla razza argentea, mentre altrove li pone in relazione con coloro che anticamente erano stati “uomini gloriosi”, interpretando tale fase “gloriosa” come quella aureo-androginica e quindi confermandone una discendenza diretta dal momento autenticamente indistinto e primordiale (la prima metà del Satya Yuga). In quest’ottica, nel mito greco, è in particolare la figura di Kronos che spicca nettamente, apparendo nella veste del reggente primordiale per eccellenza, divinità indiscussa della serenità e dell’abbondanza.

Ma, analogamente a quanto accennato sopra in termini più generali, anche per il caso specifico di Kronos è stato rilevato come esso tradisca un problematico rapporto di opposizione-identità con il Sole; l’incorporazione nella stessa figura del doppio ruolo di reggente paradisiaco e di eroe culturale/civilizzatore costituisce una contraddizione funzionale piuttosto palese, il che tende a presentarsi in vari contesti mitici (ad esempio Giuseppe Acerbi menziona un fenomeno analogo anche nella corrispettiva figura dell’indiano Kala). E’ chiaro che il paradosso appare irrisolvibile solamente se presupponiamo un ruolo che per forza debba escludere l’altro. In quest’ottica è degno di nota il rilievo che individua la comune radice “sat” nelle parole Saturno, Satana e Satya Yuga, ed anche la chiara similitudine che è stata rimarcata fra Kronos ed altre figure “demoniche”, quali il nordico Loki, il greco Prometeo ed il cristiano Lucifero. Ma, opportunamente, Guenon sottolinea come non sia corretto enfatizzare in Kronos gli elementi apparentemente negativi, essendo molto probabile che il suo lato “malefico” sia anche una conseguenza dalla scomparsa del mondo iperboreo, del quale egli era sovrano, e ciò in virtù del fenomeno di inversione semantica che in genere tramuta in una “terra dei morti” ogni “terra degli Dèi” che le circostanze cosmiche portano all’occultamento; su questa stessa linea, è stato inoltre notato come lo stesso Nord abbia, nel corso del tempo, rappresentato in diverse tradizioni il segno cardinale legato al male ed alla negatività spirituale, in quanto luogo dove Lucifero/Satana proclamò la sua ribellione a Dio.

Purtuttavia nell’entità saturnina sono stati riscontrati anche aspetti che, oltre a quelli ignei/solari, lo pongono effettivamente in una certa relazione con la stessa Luna – come Kerenyi evidenziò per il suo utilizzo della falce – arrivando fino a delinearne un’analogia con la sua fase più oscura, la “Luna nera” Lilith (che, nella Cabala ebraica, come già detto in precedenza viene fatta corrispondere alla decima, e più bassa, Sephirah, ovvero Malkuth).

Dunque le figure che, in termini etnologici, possono essere definite come “Antenato mitico” o “Eroe culturale” sono entità il cui ricordo è presente nelle culture arcaiche di ogni latitudine e che, come ci segnala Mircea Eliade, il più delle volte appaiono sotto forma di un animale connesso con l’astro lunare.

In effetti è stato notato come un po’ ovunque nel mondo la Luna rappresenti il “primo morto”, nel suo aspetto di corpo celeste che vive di mera luce riflessa, rammentando così all’uomo la sua condizione ormai peritura e decaduta. Non è un caso che anche l’orso, simbolo della casta kshatriya, sia considerato un “animale lunare” perché, come ricorda sempre Eliade, periodicamente scompare e riappare secondo il suo ciclo letargico; in particolare nella tradizione celtica, il dio-orso Artaios presenta caratteristiche che lo avvicinano molto ad Hermes, che sappiamo muoversi soprattutto nel mondo intermedio, dove molte delle multiformi influenze ivi liberate sono proprio di carattere selenico. Nei miti greci il titano Prometeo, che qualche studioso ha rilevato avere tratti comuni anche direttamente con Lilith, pur essendo incatenato alla roccia della materialità appare come sospeso tra il cielo e la terra, quasi a simboleggiare la manifestazione di ordine più sottile; è quindi un’entità che, in questo contesto, presenta chiare caratteristiche seleniche, anche perché soggetto, come per le varie fasi del nostro satellite, a continua crescita e consumazione (ricordiamo che il suo fegato è perennemente rigenerato e poi roso dall’aquila), nonché per il fatto di essere continuamente esposto al fuoco dal sole, in una condizione che ne fa riverberare la luce ricevuta. Oltretutto, sembra piuttosto significativo il fatto che il nome di Prometeo significhi proprio “colui che riflette” e, a tal proposito, Guenon opportunamente evidenzia come la “riflessione” sia interpretabile come “pensiero” ma anche come propagazione di una luminosità non autonomamente prodotta.

Questo genere di figure, anche se nelle varie tradizioni vi possono essere accenti ed enfasi diverse, concorrono fondamentalmente ad individuare un unico filone funzionale “Demiurgo – Antenato mitico – Eroe culturale – Trickster”.

In diverse mitologie, infatti, come ad esempio in quella magiara, il demiurgo “formatore” assume esplicitamente anche la contemporanea funzione di antenato primordiale ed eroe culturale, mentre quello che per i popoli turchi è soprattutto l’eroe culturale ancestrale, corrisponde con precisione al trickster delle mitologie nordamericane (che ad esempio, in alcuni miti californiani, è rappresentato dal Coyote, il quale come Prometeo ruba il fuoco). Un ruolo demiurgico viene ricoperto anche dal “grande corvo” dei miti siberiani orientali dei Coriachi il quale, come è stato notato, sembra essere una figura dalle caratteristiche tipicamente prometeico-saturnine. In effetti, di una certa associazione tra Kronos e Prometeo vi è traccia in diversi elementi sparsi nella mitologia ellenica, come anche in figure similari presenti nei miti di alcune popolazioni amerindie della Columbia Britannica: ma è comunque tutta la stirpe titanica in generale che, come segnala Julius Evola, in numerosi accenni dei testi tradizionali pare svolgere un’azione civilizzatrice nei confronti dell’umanità ordinaria, assumendo quindi un ruolo tipicamente da “eroe culturale”.

Anche Proclo, filosofo neoplatonico tardo-antico, accenna all’identità sostanziale tra Demoni, Antenati e Titani, con Kronos che, pure nella sua interpretazione, assume senz’altro una funzione di demiurgo. Rimanendo in area ellenica, ricordiamo che il popolo dei Pelasgi si riteneva lontano discendente di Ofione, detto anche Borea, un mitico serpente gigantesco presente anche con aspetti demiurgici sia nel mito ebraico che in quello egizio (ed altrove considerato della stirpe dei Titani); oltre al nome, dagli evidenti rimandi nordici, sembra oltremodo significativo che Borea sia annoverato come capostipite di un popolo che tradizionalmente non viene considerato indoeuropeo ma appartenente al precedente substrato mediterraneo preario.

Spostandoci in un contesto molto più lontano, tra gli Aborigeni australiani, Mircea Eliade ne ricorda i miti che narrano di un primordiale Tempo del Sogno – il “Dreamtime” – durante il quale gli “Antenati mitici” vagavano sulla terra svolgendo una chiara funzione sia civilizzatrice che, come abbiamo già visto, di “plasmazione” umana, ovvero demiurgica; forse in relazione a ciò si può ricordare una tradizione dei Loritja occidentali (Australia centrale) che menziona un tipo superumano e civilizzatore giunto in tempi primordiali da un’indefinito “settentrione” per insegnare i primi rudimenti culturali. In ogni caso, il più delle volte, queste enigmatiche entità ricordate dai nativi australiani, al termine del loro tempo scomparvero sotto terra, significativamente allo stesso modo dei Titani dopo la sconfitta ad opera di Zeus ed anche della razza argentea descritta da Esiodo. Una destinazione similare a quella, ricordata in alcuni miti africani, di un’antica razza pigmea antecedente alle popolazioni negridi (rif. precedente articolo “Nord-Sud: la prima dicotomia umana e la separazione del ramo australe”), che alla fine del suo tempo si sarebbe occultata nelle profondità terrestri, lì divenendo una stirpe di geni ctonii.

In definitiva, a mio avviso, potrebbe quindi essere plausibile considerare Kronos, o le ambivalenti figure interpretabili in modo analogo, contemporaneamente come reggente solare dei popoli “adamici” rimasti a nella zona più “nucleare” a Nord, e come eroe culturale dall’aspetto lunare delle genti “femminili” migrate in tempi e modi diversi dall’Eden boreale verso Sud ed Ovest: cioè di tutta quella parte di umanità compresa nell’intervallo tra le due fasi seleniche estreme, plenilunio e novilunio, impersonate rispettivamente dalle due compagne di Adamo, Eva e Lilith. Forse a questo si riferisce Evola quando accenna allo stato di conoscenza che durante l’età primordiale era “se non dell’uomo in genere, almeno di determinate elites delle origini”: al rapporto con le forze sottili nel loro aspetto soprattutto igneo mantenuto in via privilegiata dai gruppi umani rimasti ancora nella primaria Urheimat settentrionale, tanto che Guenon ricorda come Kronos venne identificato con “il dio degli Iperborei”.

Che per alcuni rappresenti il Sovrano solare o che, per altri, reciti la parte di Eroe culturale selenico, tuttavia Kronos e la sua schiera hanno con l’uomo corporeizzato ormai un rapporto tale da qualificarli solo come “i fratelli potenti degli uomini”; rispetto al momento androginico-primordiale ora si è ad un inferiore livello di coscienza, che non riesce più ad unificare, a “cogliere dall’interno senza mediazioni”, il significato del Tutto attraverso quell’ “intelletto” ove risiede ciò che, in termini teistici, è “immagine e somiglianza” con Dio.

Preludio ormai della prossima Caduta, della perdita del Paradiso Terrestre e della fine del Satya Yuga, lo sguardo dell’uomo è ormai velato dalla dinamica soggetto-oggetto e per forza di cose opera, separativamente, una distinzione di piani e di ruoli: proiettando all’esterno forze e Numi con i quali mantiene un rapporto “di prossimità” perché non è più in grado di identificarvisi.

Michele Ruzzai

Bibliografia consultata per il presente articolo:

  • Giuseppe Acerbi – Il culto del Narvalo, della balena e di altri animali marini nello sciamanesimo artico – in: Avallon, n. 49, “Il tamburo e l’estasi. Sciamanesimo d’oriente e d’occidente” – 2001
  • Giuseppe Acerbi – Introduzione al Ciclo Avatarico, parte 2 – in: Heliodromos, n. 17 – Primavera 2002
  • Giuseppe Acerbi – L’uomo selvatico. Persistenza d’un mito orionico in ambito alpino – indirizzo internet: http://allependicidelmontemeru.blogspot.it/2011/08/normal-0-14-false-false-false.html
  • Giuseppe Acerbi – Le “caste” secondo Platone. Analisi dei paralleli nel mondo indoeuropeo – in: Convivium, n. 13 – Aprile / Giugno 1993
  • Ezio Albrile – Antichi demoni astrali (note di demonologia tardo-iranica e gnostica) – in: Vie della Tradizione, n. 120 – Ottobre / Dicembre 2000
  • Ezio Albrile – L’Adam Qadmon e il Serpente, ovvero il Salvatore Imprigionato (breve saggio su un teriomorfismo gnostico) – in: Vie della Tradizione, n. 101 – Gennaio / Febbraio 1996
  • Ezio Albrile – La caduta nel Kenoma – in: Vie della Tradizione, n. 119 – Luglio / Settembre 2000
  • Ezio Albrile – Nel Paese di Syr. I Magi, la Stella e il “Mistero iranico di Salvezza” – in: Algiza, n° 6 – Dicembre 1996
  • Ezio Albrile – Siamo tutti figli di Adamo ? (seconda parte) – in: Vie della Tradizione, n. 99 – Luglio / Settembre 1995
  • Daniel Beresniak / Michel Random – Il Drago – Edizioni Mediterranee – 1988
  • Ugo Bianchi – Prometeo, Orfeo, Adamo. Tematiche religiose sul destino, il male, la salvezza – Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri – 1976
  • Ugo Bianchi – Razza aurea, mito delle cinque razze ed Elisio – Studi e materiali di storia delle religioni, Vol. XXIV – anno 1963
  • Antonio Bonifacio – I Dogon: maschere e anime verso le stelle – Venexia – 2005
  • Angelo Brelich – Rassegne ed appunti. Il Trickster – in: Studi e Materiali di Storia delle Religioni, Vol. XXIX – 1958
  • Jacques Bril – Lilith o l’aspetto inquietante del femminile – ECIG – 1990
  • Titus Burckhardt – La chiave spirituale dell’astrologia musulmana – SE – 1997
  • Jeffrey Burton Russell – Storia del paradiso – Edizioni Laterza – 1996
  • Franco Cardini – Il simbolismo dell’orso – Sito del Centro Studi La Runa, indirizzo internet:  http://www.centrostudilaruna.it/simbolismodellorso.html
  • Angelo Casanova – La famiglia di Pandora. Analisi filologica dei miti di Pandora e Prometeo nella tradizione esiodea – CLUSF-Cooperativa Editrice Universitaria – 1979
  • Massimo Centini – La sindrome di Prometeo. L’uomo crea l’uomo: dalla mitologia alle biotecnologie – Rusconi – 1999
  • Bruno Cerchio – L’ermetismo di Dante – Edizioni Mediterranee – 1988
  • Georges Charachidzé – Prometeo o il Caucaso – Feltrinelli – 1988
  • Henry Corbin – L’uomo di luce nel Sufismo iraniano – Edizioni Mediterranee – 1988
  • Nuccio D’Anna – La religiosità arcaica dell’Ellade – ECIG – 1986
  • Giorgio de Santillana / Hertha von Dechend – Il Mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo – Adelphi – 2000
  • Mario Del Gatto – La Creazione, l’Uomo, la Caduta – Atanor – 1990
  • Renato Del Ponte – Dei e Miti italici – ECIG – 1998
  • Hans Egli – Il simbolo del serpente – ECIG – 1993
  • Mircea Eliade – Arti del metallo e alchimia – Boringhieri – 1980
  • Mircea Eliade – Immagini e simboli – TEA – 1997
  • Mircea Eliade – La creatività dello spirito. Un’introduzione alle religioni australiane – Jaca Book – 1990
  • Mircea Eliade – La nostalgia delle origini – Morcelliana – 2000
  • Mircea Eliade – Mito e realtà – Borla – 1993
  • Mircea Eliade – Storia delle credenze e delle idee religiose. Vol. 1: Dall’età della pietra ai Misteri Eleusini       – Sansoni – 1999
  • Mircea Eliade – Trattato di storia delle religioni – Bollati Boringhieri – 1999
  • Julius Evola – Il mistero del Graal – Edizioni Mediterranee – 1997
  • Julius Evola – La Tradizione ermetica – Edizioni Mediterranee – 1996
  • Julius Evola – Metafisica del Sesso – Edizioni Mediterranee – 1996
  • Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988
  • Angelica Fago – Mito esiodeo delle razze e logos platonico della psichè: una comparazione storico-religiosa – Studi e materiali di storia delle religioni, Vol. 57 – anno 1991
  • Antoine Faivre / Frederick Tristan (Francis Bertin) – Androgino – ECIG – 1986
  • Adriano Favole – Il “sognare” che dà forma al mondo. Il Dreaming nelle società aborigene dell’Australia – in: Avallon, n. 43 “La Sapienza velata. Sogno, visione, oracoli” – 3/1997
  • Giancarlo Finazzo – La realtà di mondo nella visione cosmogonica esiodea – Edizioni dell’ateneo – 1971
  • Find Druwid – Il ciclo dell’anno – Edizioni del Tridente – 2004
  • Roberto Fondi – Organicismo ed evoluzionismo. Intervista sulla nuova rivoluzione scientifica – Il Corallo / Il Settimo Sigillo – 1984
  • Robert Graves – I Miti Greci – vol.1 – Il Giornale
  • Marco Grosso – I segreti della Luna nera – Edizioni Arktos – 2004
  • Renè Guenon – Forme tradizionali e cicli cosmici – Edizioni Mediterranee – 1987
  • Renè Guenon – Gli stati molteplici dell’essere – Adelphi – 1999
  • Renè Guenon – Iniziazione e realizzazione spirituale – Luni Editrice – 1997
  • Renè Guenon – L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta – Adelphi – 1997
  • Renè Guenon – La Grande Triade – Adelphi – 1991
  • Renè Guenon – Simboli della scienza sacra – Adelphi – 1990
  • Renè Guenon – Studi sull’induismo – Luni Editrice – 1996
  • Jeanne Hersch – La nascita di Eva. Saggi e racconti – Interlinea Edizioni – 2000
  • Adolf Ellegard Jensen – Come un cultura primitiva ha concepito il mondo – Edizioni Scientifiche Einaudi – 1952
  • Karoly Kerenyi – Miti e Misteri – Bollati Boringhieri – 1996
  • Paolo Lopane – Gnosticismo e Gnosi – in: Vie della Tradizione, n. 145 – Gennaio / Aprile 2007
  • Silvano Lorenzoni – Sottomondo, sovramondo e centralità umana – Congresso Occidentale – 2003
  • Teresa Mantero – La demonologia nella tradizione greca – Tilgher – 1974
  • Gianluca Marletta – Il neospiritualismo. L’altra faccia della modernità – Il Cerchio – 2006
  • Giovanni Monastra – Per una ontologia della tecnica. Dominio della natura e natura del dominio nel pensiero di Julius Evola – in: Diorama Letterario, n. 72 – 1984 ( poi in sito EstOvest – indirizzo web: http://www.estovest.net/ecosofia/evolatecnica.html )
  • Luigi Moretti – Il libro nono dell’Iliade – in: Vie della Tradizione, n. 131 – Luglio / Settembre 2003
  • Adolfo Morganti – De anima et spiritu – in: I Quaderni di Avallon, n. 29, “Le Potenze dell’Anima. Psicologia e Religione” – 1992
  • Claudio Mutti – Il Demiurgo nella tradizione Magiara – Heliodromos, n. 24 (vecchia serie) – Dicembre 1985
  • Clara Negri – Lilith la Luna Nera in astrologia – Nuovi Orizzonti – 1993
  • Pietro Negri – Sulla Tradizione Occidentale – Introduzione alla Magia, vol. 2° – Edizioni Mediterranee – 1987
  • Onorio di Ratisbona – Cos’è l’Uomo – Il leone verde – 1998
  • Mario Polia – Imperium. Origine e funzione del potere regale nella Roma arcaica – Il Cerchio – 2001
  • Daniela Puzzo – L’Albero, il Serpente, la Mela – in: Vie della Tradizione, n. 119 – Luglio/Settembre 2000
  • Paolo Scroccaro – Introduzione a Platone – da sito EstOvest – indirizzo web: http://www.estovest.net/tradizione/platone.html
  • Giuseppe Sermonti – Fiabe di luna. Simboli lunari nella favola, nel mito, nella scienza – Rusconi – 1986
  • Giuseppe Sermonti – Il mito della grande madre. Dalle amigdale a Catal Huyuk – Mimesis – 2002
  • Giuseppe Sermonti – La mela di Adamo e la mela di Newton – Rusconi Editore – 1974
  • Frithjof Schuon – Le stazioni della saggezza – Edizioni Mediterranee – 1983
  • Giancarlo Stival – Peccato originale e miti greco-romani – in: Sacra Doctrina, vol. 5, anno XXXI – Settembre / Ottobre 1986
  • Mircea A. Tamas – Agarttha transilvana – Edizioni all’insegna del Veltro – 2003
  • Gastone Ventura – Tradizione e democrazia – in: Vie della Tradizione, n. 14 – Aprile / Giugno 1974
  • Jean-Pierre Vernant – Mito e pensiero presso i Greci – Einaudi – 2001
  • Dominique Viseux – L’Apocalisse. Il suo simbolismo e la sua visione del mondo – Edizioni PiZeta – 2001
  • Jean Marc Vivenza – Dizionario guenoniano – Edizioni Arkeios – 2007

4 Comments

  • antonio 14 Maggio 2016

    Complimenti Michele. Molto Bello e documentato.

    • Michele Ruzzai 14 Maggio 2016

      Ti ringrazio Antonio

  • Maria Elena Cataluccio 7 Settembre 2023

    Un perfetto contributo di enorme interesse! Grazie

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