3 Ottobre 2024
Attualità

Sulla rivoluzione modernissima – Luca Valentini

Bisogna rendersi conto che tutto ciò è vano,
perfino a un fine semplicemente dimostrativo,
se non si attacca il male alle radici le quali,
per quel che riguarda il ciclo storico
al quale qui restringiamo le nostre considerazioni,
sono costituite dalla sovversione determinata in Europa
delle rivoluzioni dell’89 e del ‘48” (1)

Disquisire lucidamente e serenamente circa i legami esistenti tra storia, metapolitica e Tradizione non è impresa semplice, particolarmente per le implicazioni di appartenenza religiosa o ideologica che possono intervenire, che possono introdursi erroneamente, per quell’umana tendenza di far discendere tutto al proprio livello, considerando, erroneamente, l’umano come riferimento indiscutibile, che abbaglia e non fa comprendere come, tradizionalmente insegnato, l’inferiore, quindi la storia e la politica, non possano indirizzare, giustificare, giudicare il Superiore, quindi la dimensione ontologica. Nel caso di specie il rifiuto della linearità storico-temporale è acquisizione comune di una visione del mondo tradizionale, similmente alla ciclicità come valore assoluto, come norma generale di analisi: al di là dei riferimenti indù, possiamo rifarci, per esempio, sia al tramando esiodeo sia alla conoscenza dei saecula da parte di Etruschi e Romani, oltre che a quello che gli Elleni denominavo “grande anno platonico”.

Da ciò, è possibile comprendere simbolicamente e geometricamente, come i diversi elementi costituenti il ciclo possano relazionarsi in un preciso processo involutivo inerente alla dinamica organica e totale dell’intero ciclo e che solo apparentemente tali elementi risultano essere in contrapposizione dualistica, facendo parte, altresì, di un disegno cosmico di ben altra profondità. Tale prospettiva è assolutamente necessaria per comprendere come ciò che storicamente si palesa come uno scontro di civiltà o di idee, spesso debba intendersi come un processo “metabolico” invisibile che presuppone, quasi sempre, un ulteriore sviluppo ciclico di natura involutiva.

Da tale sintetica precisazione si può facilmente comprendere come autenticamente tradizionali possano essere considerate solo le determinazioni storiche rivoluzionarie che riconducono ad uno stato primordiale, che aspirano realmente ad un ritorno alla Sacralità delle origini, e che non siano mera rottura con la civilizzazione precedente, profana ribellione ad uno status quo degenerescente. Si evince che la portata rivoluzionaria debba necessariamente affermarsi come esclusivamente affermativa di una realtà persa, che si voglia rimanifestare, come emanazione di una perennità spirituale. Seguendo tale inquadramento, sarà facile per il lettore comprendere come le rivoluzioni che hanno indotto e propiziato l’avvento della modernità – e non quelle che l’hanno eroicamente combattuta – abbiano completamente tradito la propria definizione, apparendo nel corso della storia non come un’evidenza metanoica (cioè come un ritorno alle origini), ma come ulteriori fasi, ancor più accelerate, di un unico e medesimo processo involutivo. Come accennato inizialmente, un’analisi a riguardo è possibile solo qualora ci si ponga oltre sterili dogmatismi d’appartenenza, oltre la “difesa” di periodi storici, che per la loro stessa natura transuente, non comprendiamo come per essi si possa fare un tifo a favore o contrario, appartenendo alla dimensione del divenire e non a quella permanente dello Spirito, se non aderendo ad una risibile deriva nostalgica.

Nello specifico, analizzeremo le dinamiche pseudo-rivoluzionarie dei moti che condussero ai rivolgimenti del 1779 in America, del 1789 in Francia, ponendo in evidenza come tali accadimenti siano ben inquadrabili in una condizione di decadenza precedente (e non in contrasto con essa) e come, successivamente, tutto il loro bagaglio ideologico abbia costituito le fondamenta della società mercantilistica contemporanea. Studi davvero illuminanti in tal senso sono stati condotti da Bernard Fay (1893 – 1978), docente di letteratura francese al Collège de France, storico e specialista del XVIII secolo, amministratore generale della Biblioteca Nazionale (2). Condividiamo il parere di Gian Pio Mattogno, che nella nota introduttiva al testo di Fay (3), definisce le ricerche dello stesso pioneristici, per l’attenzione prestata alla dimensione intellettuale del processo di erosione posto in essere dalle varie centrali sovversive e da alcuni specifici personaggi. Il quadro che se ne desume è assolutamente diverso rispetto a molte e note opere di stampo controrivoluzionario. Non si prospetta una società, quella del ‘700 in Europa e nelle colonie americane, in cui si cristallizza una rigida dicotomia tra un Potere Politico ed un’Autorità Religiosa attanagliati da spinte di dissoluzione esterne, ma, diversamente da come spesso si crede, emerge un quadro quanto mai complesso e dinamico, in cui le sfere istituzionali sono primariamente fonti di decadimento di ciò che formalmente rappresentano, in cui anche la religione dominante è parte integrante del medesimo processo di dissoluzione. Testimonianza di ciò, come riporta scientificamente il Fay, sono le relazioni ben articolate tra la Corona d’Inghilterra, la Monarchia e la nobiltà francese, i Borbone e alte sfere ecclesiastiche con precisi ambienti di una massoneria secolarizzata, che aveva ormai abbandonato al letteralismo i principi ispiratori delle corporazioni operative e pitagoriche, che certamente non erano la fratellanza universale, tra tutti i popoli della galassia, e la libertà di pensiero: la strumentalizzazione di Giordano Bruno è un caso esemplare di tale processo, come ha ben scritto Luigi Morrone, sempre su queste pagine. Bisogna necessariamente comprendere a pieno tale diversità d’impostazione, perché non ci si trova dinanzi ad una dimensione tradizionale, politico o sacrale che sia, che viene assaltata dall’esterno, né ci si trova dinanzi ad una rivolta contro una visione della società obsolete. Qui, non vi sono steccati tra Ancien Règime e mondo rivoluzionario, come le vulgate pro o contro tentano di far credere. Vi è, al contrario, una sotterranea e grigia linea di contiguità – non molto dissimile alle dinamiche mafiose contemporanee che ben conosciamo -, in cui la pseudo-rivoluzione non è la causa del decadimento di un mondo, ma è solamente l’effetto vettoriale del decadimento interno di quello stesso mondo. Tale prospettiva – essa si rivoluzionaria – scompagina ogni velleità interpretativa dualistica della storia, emergendo tutta la pregnanza della morfologia tradizionale, che non ragiona per riferimenti evoluzionistici e lineari, ma per dinamiche assolutamente cicliche. Quanto evidenziato, Fay lo esprime saggiamente nei suoi scritti e evidenzia come due componenti hanno influito nella decomposizione della civiltà occidentale, quella intellettuale e quella dell’agire prettamente umano:

Nel Settecento la massoneria riesce assai meglio come forza sociale che come società di pensiero. Infatti si prefigge il compito di preparare un alimento intellettuale che si addica alle masse, che formi l’unità sentimentale di tutti gli uomini e la loro felicità comune. Perciò si preoccupa innanzi tutto delle nozioni che hanno un valore collettivo. Non sarà mai particolarmente appassionata per la letteratura, in cui l’elemento individuale ha una parte importante, mentre la scienza, con il suo carattere di universalità, l’attira e la impegna. Desaguliers, Franklin, Court de Gèbelin sono o credono di essere degli scienziati” (4).

Su di una linea interpretativa simile si pone Augustin Cochin (5), il quale nella sua interpretazione sociologica della Rivoluzione Francese ebbe il merito di penetrare dal profondo le cause che furono scatenati per il rivolgimento del Terzo Stato, quindi, borghese, perché tale fu la pseudo – rivoluzione francese dell’89, e non certo una ribellione di popolo, come la storiografia ha ormai assunto come dato certo e definitivo. Una linea rossa (oppure grigia come l’abbiamo definita precedentemente) coniuga, pertanto, la separazione dei poteri istituzionali di Montesquieu, alla cosiddetta Rivoluzione delle lettere operata verso il 1770 dalla “Chiesa laica” di Voltaire e degli Enciclopedisti, fino a giungere al Contratto Sociale di J.J. Rousseau. Ci si trova dinanzi parimenti, a quanto Tommaso Campanella rimproverava a Nicolò Macchiavelli, cioè dinanzi alla mancanza di una concezione dello Stato fondata su valori dall’Alto, il Politico che viene fondato ed informato dal Sacro:

Nessun impero né regno si è potuto reggere con la sola prudenza politica (…) Per questo Socrate affermò che lo Stato va in rovina se viene meno l’arte divinatoria, e Salomone che il popolo è perduto senza profezia“ (6).

Si comprenderà come tramite Campanella, ritroviamo la perfetta armonia tra Ordine divino-cosmico, Ordine civile-sociale, Ordine personale-psichico, in cui la Pace degli Dei, la Giustizia nel Politico, il riconoscimento del Demone nel cittadino, possano realizzarsi simultaneamente con un processo di identificazione palingenetica, tramite un’opera di visione e di equilibrio, di anamnesi e di riconquista di un ordine primordiale smarrito, dimensione platonica (7), un’Idea dello Stato che è ben diversa da quella che emergerà dalle rivoluzioni modernissime.

L’elemento costitutivo, emerso dalla Rivoluzione Francese, era l’individuo e la volontà dello Stato coincideva con la somma delle volontà dei singoli, non essendo, così, una vera volontà unitaria, l’ordine individualistico rappresentando una delle più tormentate fasi di vita che la stirpe europea abbia mai attraversato e questo, in poco più di un secolo, dall’affermazione del sistema liberale e di quello sociale, facendo precipitare nel dissolvimento ogni retta concezione del vivere: rammentiamo di sfuggita, come magistralmente già fatto in queste pagine da Giandomenico Casalino, come l’idea dell’organismo giuridico – sociale quale somma puramente numerica di cittadini, non fosse presente non solo in Platone, ma neanche nella Civitas Romana, in cui il corpo di appartenenza primeggiava rispetto alla singola individualità (8).

In base a ciò l’ordine corporativo si poneva, nelle sue diverse manifestazioni nella storia ma come espressione dall’Alto di un ordine civico, come contraltare di Montesquieu e di Rousseau, contrapponeva a quello individualistico per la sua finalità, che era quella di elaborare da una massa informe “l’entità morale del populus”, una Weltanschauung tradizionale, che si caratterizzasse attraverso un’efficace personificazione dello Stato, per la priorità data al volere e al benessere dello Stato stesso, rispetto a qualunque altro ideale libertario, come superamento dello Stato laico ottocentesco, liberale, individualista e contrattualista:

”Il regime capitalistico, pur rivelandosi in pratica un regime di sottomissione e di schiavitù completa, è almeno in teoria un regime di indipendenza e di completa libertà. Ma quale libertà? E’ la libertà dei senza – patria, dei bohemiens, dei nomadi che non hanno concittadini ma solo clienti…” (9).

Lo Stato è, pertanto, un prius-logico, la cui esistenza non è riconducibile all’attività degli individui: l’opposto è rappresentato dallo Stato Moderno, in cui l’autorità è fatta discendere non da un vero e giusto potere, ma dalla sopraffazione di una parte sulle altre, in cui si manifesta il totalitarismo del libero pensiero e del mercante che deve essere assente in uno Stato Tradizionale, organico, articolato, differenziato. Ancora grazie ad Augustin Cochin comprendiamo come l’opera di sovversione sia stata completa, non solo limitata al dominio della politica, ma anche estesa al dominio appunto intellettuale, e, nello specifico, alla sua componente artistica. Il livellamento, l’assenza d’ispirazione trascendente, nelle Francia rivoluzionaria, dovevano comportare della cultura popolare, anzi popolana, la stessa che trasformò, come scritto più volte, Notre Dame de Paris in una stalla:

Il mare, un mare monotono e sterile, piatto e cupo…un mare senza nome e senza patria ha coperto questo bel paese” (10).

Un’ultima analisi la riserviamo ad un personaggio che ha svolto un ruolo di primo piano nelle insurrezioni moderniste del XVIII secolo, sia in quella Americana (1775 – 1783) sia in quella Francese (1789): Benjamin Franklin. Bernard Fay gli dedica un capitolo intero, definendolo “il più ortodosso dei massoni del suo tempo” (11), analizzando tutta la sua influenza non solo nelle vicende americane, ma successivamente anche in quelle francese, segno di una continuità d’indirizzo ben nota. Nella sua figura, nei suoi contatti con Voltaire, con la nobiltà francese, con l’intervento francese a sostegno delle colonie americane in rivolta contro il dominio britannico vi sono tutti i prodomi di un disegno che va al di là della mera appartenenza massonica. Quasi contemporanea sorsero – e Franklin né fu uno dei massimi ispiratori – le ideologie che sarebbero poi servite all’involuzione ulteriore della civilizzazione occidentale e alla costituzione del nuovo ed attuale Gendarme del Mondo, gli Stati Uniti, in sostituzione del vecchio ed ormai logoro Impero Britannico.

Quanto detto, anche in riferimento allo stesso Franklin, serve a superare due stantie convinzioni circa la massoneria e la dimensione esoterica. La prima, come ha ribadito più volte Julius Evola nei suoi scritti (12), negli accadimenti storici in riferimento come in altri, è servita da veicolo, da agente rispetto ad influenze ancor più sotterranee ed disgregatrici che l’hanno eterodiretta. E’ d’uopo far propria tale considerazione, per coniugarla con quanto espresso all’inizio di codesto scritto circa il doveroso superamento di una visione dualistica, che non releghi le logge all’Inferno e le sacrestie in Paradiso, tutt’altro. Chi rammenta come il potere sinarchico dei Rothschild, dei Bauer abbia di fatto influenzato e finanziato ogni sconvolgimento politico dal ‘700 in poi, interessando anche parti che la storiografia ufficiale pone in estrema antitesi, può comprendere la seguente espressione di Malynski:

Così, sia durante il diciottesimo secolo che per tutto il diciannovesimo, la massoneria rappresentò l’anticamera inconsapevole del male, il veicolo <<buon conduttore>>, grazie al quale l’elettricità sovversiva raggiunse la politica e la società – ma non il centro generatore di questo male” (13).

Inoltre, le varie interpretazioni para-esoteriche del mondo pseudo-rivoluzionario non tengono conto dell’essenzialità e dell’elemento primo di un vero percorso esoterico, cioè la sua dimensione realizzativa. Ogni strumentalizzazione simbolica, ogni accostamento vagamente arcano viene inficiato qualora l’analogia tra Cosmos – Antropos – Polis non sussista e non si configuri come adesione, non solo ideale e vagamente emozionale, ma secca e priva di buoni intendimenti, perché autentica trasfigurazione metanoica, a cui abbiamo accennato tramite Platone e Tommaso Campanella. E quando il dato si pone su tale tema, non si può non constatare che si siano affrontate forze di natura e di origine anglo – francesi, dimenticandosi, però, che la dimensione latomistica fu vettore di esse, ma anche di altro, di un retaggio italico e specificatamente napoletano, che mal si conciliava sia con Parigi e Londra, sia con il potere ecclesiastico, perché preesistente alla logica dei rinculi della storia, come li definiva Hegel, cioè dei rimbalzi di un ciclo che è sviluppato completamente al nascere ed al lento morire del Cristianesimo, e rispetto al quale quel retaggio arcaico non è avverso, ma semplicemente estraneo.

Servano, queste nostre brevi considerazioni, a rammentare l’importanza della terza dimensione della storia, che veda e riconosca in profondità le radici antitradizionali della modernità, ne colga il nesso con i vari accadimenti storici e sappia farci capire che il Potere è ormai vincente su tutta la linea e non serve più che esso si debba occultare, perché ora è divenuto il Verbo, che unicamente è possibile esprimere:

E’ nel quadro di una simile problematica che si definisce il concetto della guerra occulta. E’, questa, la guerra condotta inesorabilmente da quelle che, in genere, si possono chiamare le forze della sovversione mondiale, con mezzi e in circostanze ignorati dalla corrente storiografia. La nozione di guerra occulta appartiene pertanto ad una concezione tridimensionale della storia, che non considera come essenziali le due dimensioni di superficie comprendenti le cause, i fatti e i dirigenti visibili, bensì anche la dimensione in profondità, dimensione <<sotterranea>> dove si applicano forze ed influenze la cui azione spesso è decisiva e che non di rado non sono nemmeno riconducibili a ciò che è soltanto umano, individualmente e collettivamente umano” (14).

Note:

1 – J. Evola, Gli Uomini e le Rovine, Edizioni Mediterranee, Roma 2002, p. 61;

2 – B. Fay, La Massoneria e la rivoluzione intellettuale del Settecento, Edizioni di Ar, Padova 1999;
3 – B. Fay, op. cit., p. 22;
4 – B. Fay, op. cit., p. 258;
5 – A. Cochin, Le società di pensiero e la Rivoluzione Francese, Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 2008;

6 – Secunda delineatio defensionum, I processi di Campanella, Napoli, Febbraio–Aprile 1600, Giugno 1601;

7 – Platone, Repubblica, 592b:“Esiste dunque nei cieli un modello per chiunque intenda vederlo e, vedutolo, fondarlo in sé stesso. Che siffatto esemplare esista o abbia mai a esistere in alcun luogo non importa, giacché questo è l’unico Stato di cui egli sia partecipe”;

8 – Giandomenico Casalino, Le ragioni dell’inesistenza della persona giuridica in Diritto Romano, pubblicato su Ereticamente il 18 Novembre 2018;

9 – E. Malynski, Fedeltà feudale, Edizioni di Ar, Padova 2014, p. 78;

10 – A. Cochin, op. cit., p. 200. Un panorama non dissimile, erede di tale deviazione, è ben visibile nell’età contemporanea, nella pittura, nell’architettura e nella vuota poesia;

11 – B. Fay, op. cit., p. 148ss;

12 – J. Evola, La Massoneria e la preparazione intellettuale delle Rivoluzioni, La Vita Italiana, anno XXXVIII, luglio 1940, anche in appendice al testo di Fay, già indicato in nota;

13 – E. Malynski, op. cit., p. 121;

14 – J. Evola, op. cit., p. 177.

Luca Valentini

1 Comment

  • Luigi Morrone 14 Luglio 2019

    Ottima analisi in chiave metastorica

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