4 Dicembre 2024
Tradizione Primordiale

STRADE DEL NORD. Il tema delle Origini Boreali in Herman Wirth e negli altri – Parte 8 – Michele Ruzzai

(alla fine dell’articolo, prima delle Note, è presente il link dell’articolo precedente)

 

5 – Il Krita Yuga / Età paradisiaca: gli albori della nostra umanità

 

5.1 – Dal Polo al Nord-Est

 

Come dicevamo in precedenza, Herman Wirth nelle sue analisi non sembra toccare la fase autenticamente primordiale ed antropogenetico-polare che riteniamo abbia interessato la prima metà del Krita Yuga, ovvero il “Primo Grande Anno” del nostro Manvantara.

La conclusione di questo sotto-ciclo dell’Età paradisiaca probabilmente rappresentò un passaggio cruciale nella storia umana.

Attorno a 52.000 anni fa, dovettero infatti verificarsi alcuni importanti eventi di carattere geofisico: qualche traccia di tali sommovimenti è presente nella vicenda dei vari Avatara di Vishnu, cioè le personificazioni mitiche delle “discese” del Principio spirituale per il ristabilimento della legge divina che, nella generale dinamica involutiva del Manvantara, necessita di periodici interventi correttivi. Il primo di questi fu Matsya, il Pesce, che assume soprattutto la funzione di custode e traghettatore dei “germi” del Manvantara precedente verso quello attuale (quindi è connesso ad una cesura epocale profondissima, il “Pralaya” che separa nettamente due diversi cicli umani) ma anche, in quanto “primo”, è strettamente collegato alla fase prettamente “polare” di cui si è già detto. E’ tuttavia presumibile che già tra il secondo ed il terzo Avatara – ovvero tra Kurma, la Tartaruga, e Varaha, il Cinghiale – le precedenti condizioni geofisiche vennero nuovamente a modificarsi in modo forse anche molto repentino, come pare confermato da alcuni carotaggi dei ghiacci artici che evidenzierebbero forti mutamenti climatici avvenuti in un periodo estremamente breve, forse nell’arco di soli 3-5 anni (271): eventi che potrebbero essere addirittura correlati all’avvio del fenomeno della “precessione degli equinozi”, la cui simbologia arcaica pare infatti connessa proprio a Kurma (272) e ad una serie di importanti riaggiustamenti nell’osservazione della carta celeste (273).

In effetti, come abbiamo visto in merito alla latitudine originaria dei suoi Prenordici (anche se in un quadro diverso da quello guenoniano), un tema analogo viene toccato di sfuggita anche da Herman Wirth quando collega il peggioramento delle antiche condizioni climatiche all’ipotesi di un remotissimo “slittamento polare”: si tratta di una questione controversa – l’eminente indù Bal Gangadhar Tilak, ad esempio, non ritiene sufficientemente solidi gli elementi in questa direzione (274) – ma che da taluni viene invece accettato (275) anche nel contesto, relativamente recente, della glaciazione wurmiana (276). Più discutibile può essere in Wirth l’interpretazione di tali eventi nel quadro della teoria Köppen-Wegener della “deriva dei continenti” (277), proprio per la scala temporale enormemente diversa – almeno decine di milioni di anni – implicata da quest’ultima. Preferiamo quindi lasciare aperta la questione nella sua natura prettamente geofisica, mantenendo comunque l’idea di un “riposizionamento” del Centro che, a prescindere dalle cause sottostanti, nella fase centrale del Krita Yuga dovette comportare la necessità di una nuova sede boreale (278): la quale, con tutta probabilità, dal Polo artico si spostò in un’area nordorientale (279).

E’ presumibile che proprio in quest’ottica vada analizzata la frequente sovrapposizione, osservata nella Tradizione Indù, fra il tema della prima terra mitica, lo Shvetadvipa – che come abbiamo visto fu letteralmente polare – con quello relativo ad una successiva isola, la Shakadvipa, posta nel “mare bianco” o “mare di latte” (280): un riferimento che, in effetti, sembra fortemente suggestivo di una localizzazione nel Mar Glaciale Artico, quindi in ogni caso ad elevatissima latitudine (281). Va comunque rilevato che entrambe le isole dovrebbero essere considerate come parti del già menzionato, e più vasto, continente artico-primordiale Ilâvrita (282), nel quale la Shakadvipa avrebbe però occupato una posizione più decentrata, in un quadrante appunto nordorientale (283). Se consideriamo che il re di Shakadvipa è Medhātithi – figlio di Priyavrata, a sua volta figlio di Manu, il progenitore dell’umanità – emerge un chiaro collegamento di quest’isola al tema delle “origini prime” dell’Uomo, che infatti si conferma anche osservando come sia proprio in relazione a tale terra che esordisce nel testo tradizionale il ricordo di una beatitudine primordiale, perfettamente analoga ai rimandi dell’antica età aurea o del Paradiso Terrestre (284).

E, vista la collocazione nordorientale di Shakadvipa, è davvero forte la tentazione di accostare questa nuova sede alla perduta Beringia: forse fu proprio questa l’enclave dove nacque quella primissima stirpe Sapiens dalle caratteristiche paleocaucasoidi, descritte nel paragrafo precedente, che però in parte dovette anche, quasi subito, migrare fuori dall’Artide (285) proprio in conseguenza di quegli stessi eventi geofisico/climatici. In tale quadro, ci sembra anche di particolare interesse l’ipotesi che, proprio in questa fase, sul piano antropologico dovette verificarsi la completa “umanizzazione” della nostra specie, se sono attendibili le stime di Svante Paabo basate sull’analisi di due mutazioni del gene FOXP2, dalle quali desume che la nascita del linguaggio come lo intendiamo oggi potrebbe essere databile circa 50.000 anni or sono (286).

 

5.2 – Primo pleniglaciale, prime migrazioni, cultura aurignaziana

 

Definitiva “umanizzazione”, nascita del linguaggio e rapida insorgenza di un comportamento decisamente “moderno” potrebbero forse aver rappresentato importanti fattori alla base della prima, precocissima, fissione verificatasi in seno alla nostra specie, peraltro ulteriormente incoraggiata dagli eventi climatici del Primo Pleniglaciale wurmiano di 50-55.000 anni fa (287), e cadente, in termini tradizionali, più o meno alla fine del Primo Grande Anno del Manvantara: ne conseguì l’uscita dalle sedi nordiche originarie (288) di un primo gruppo diretto verso meridione, andando quindi a costituire, in una prospettiva opposta rispetto alla “Out of Africa”, quel ramo australe dell’umanità (289) che più di tutti gli altri si allontanò, geograficamente e morfologicamente, dal tronco originario (290).

Tutto ciò, comunque, non toglie che queste popolazioni, pur essendo migrate molto precocemente dall’Eden boreale, non conservino ancora qualche remotissimo ricordo particolarmente significativo. Mircea Eliade, ad esempio, segnala come lo stesso simbolismo primordiale dell’Axis Mundi si ritrovi tra queste, citando nello specifico i Semang della penisola di Malacca, i quali tramandano l’idea che al centro del mondo, nei tempi aurorali, si trovava una immensa roccia (291): a tal proposito, anche René Guénon conferma che il simbolo litico può senz’altro essere interpretato come una chiara immagine dell’asse planetario (292). Un altro ricordo dalla lontanissima connessione boreale può forse essere costituito dalla particolare rilevanza mitico-sacrale che in alcune popolazioni austroasiatico/indonesiane viene assegnata al maiale (293), che potrebbe rappresentare la “totemizzazione/degradazione” del Cinghiale Varaha (analogamente, come vedremo, a quanto avviene fra alcune etnie artiche dove l’anatra/papero rappresenta una regressione simbolica del cigno): il terzo Avatara di Vishnu entra infatti in gioco con l’inizio della seconda metà del Krita Yuga, cioè nel passaggio tra il Primo ed il Secondo Grande Anno del Manvantara (294), dunque proprio nella fase in cui dovette verificarsi la prima fissione umana e le prime migrazioni verso meridione. E’ quindi plausibile che tale figura dovette assumere una particolare rilevanza culturale per quelle genti e forse un’ulteriore testimonianza di ciò può essere ravvisata anche nella pittura rupestre, dall’antichità stimata di circa 45.500 anni, recentemente scoperta nell’isola indonesiana di Sulawesi che significativamente raffigura proprio un suino (295).

Comunque, come già evidenziato in precedenza (296), lo stesso evento climatico del Primo Pleniglaciale wurmiano, oltre ad aver indotto l’iniziale fissione umana ed una primissima migrazione “Out of Beringia”, potrebbe aver anche isolato i Sapiens rimasti nell’Artico in qualche zona ben protetta dell’area asiatico-nordorientale. Qualche millennio più tardi, da tali anfratti nuove ondate potrebbero essere uscite in corrispondenza di un parziale ritiro delle coltri glaciali, innescato da un temporaneo miglioramento delle condizioni climatiche che, oltretutto, non avrebbero più reso necessari grossi spostamenti in direzione sud ma piuttosto dispiegati in senso longitudinale o al massimo trasversale: uno sviluppo che in effetti Wirth, come anche Evola (297), ipotizza aver impattato sui settori nordamericani e nordeurasiatici. Se consideriamo il miglioramento generale delle condizioni dopo il picco del Primo Pleniglaciale wurmiano e l’avvento di una situazione ancora più mite nel lasso tra 42.000 e 44.000 anni fa noto come il periodo di Peyrards – che in termini paleoclimatologici corrispose, o rappresentò una sezione, dell’interstadiale Laufen/Gottweig (298) – abbiamo un’altra conferma della plausibilità di tali movimenti migratori anche in rapporto a quelle che secondo Wirth furono le prime influenze esterne della cultura artico-primordiale e che colloca già in corrispondenza della cultura aurignaziana. Quindi potenzialmente arrivando anche a 45.000 anni fa e fino in Europa, ma ovviamente escludendo – vista la sua impostazione fondamentalmente poligenista – che tali tracce possano risalite a tempi ancora più remoti ed essere collegate a genti stanziate ancora più a sud, cioè quelle popolazioni australi uscite dalla sede boreale alcuni millenni prima, in corrispondenza della primissima fissione umana. Genti che, ricordiamo, raggiunsero il Borneo, e da lì l’Australia, almeno 46-47.000, forse anche 50.000 anni fa, qui infatti causando, proprio in quel periodo, una massiccia estinzione dei mammiferi più grandi per effetto dell’intensa attività venatoria alla quale sottoposero l’ecosistema dell’area (299).

In ogni caso, si trattò di un’epoca tutt’altro che statica e di idilliaca permanenza nell’Eden boreale, ma nella quale anzi si svilupparono migrazioni a vastissimo raggio di vera e propria colonizzazione del pianeta: dal cui ricordo trae forse fondamento il significativo detto indù “Krita viaggia ed erra”  (300).

Ma appunto nel corso del tempo, per l’effetto di questi movimenti “longitudinali” e “trasversali”, ulteriori divisioni – dopo la prima, secca, di orientamento Nord/Sud – dovettero interessare anche lo stesso ramo boreale dell’uomo, anche se probabilmente in modo non così netto come la precedente, tanto da non spezzare mai quel continuum di fondo sufficiente a mantenere, come già accennato in precedenza, nell’alveo di una stessa “meta-popolazione” tutti i gruppi rimasti nel Nord del pianeta. La nostra opinione è che questo substrato comune possa essere individuato in quella componente autosomica – cioè relativa alla parte più generale del genoma umano, non quella attribuibile alla sola linea patrilineare (aplogruppi Y-DNA) o a quella matrilineare (aplogruppi del DNA mitocondriale) – che è stata definita come “Basale Eurasiatica” (BE), e che nell’orizzonte della teoria “Out of Africa” (OOA) starebbe ad indicare quel gruppo individuatosi precocemente, forse già tra 54.000 e 49.000 anni fa (301), nella parte delle popolazioni extra-africane prima di tutti gli altri lignaggi, i quali, partendo da questa, se ne distaccarono solo 10-15.000 anni dopo (302). Nel nostro quadro interpretativo non “afrocentrico”, invece, la componente BE potrebbe rappresentare il substrato comune ed anteriore a tutte quelle successive che, in un modello disegnato con una logica praticamente opposta all’OOA, rappresentano la generalità delle popolazioni rimaste nell’Eurasia settentrionale dopo la separazione di quelle dirette nei quadranti più australi, tra i quali anche l’Africa stessa. In ogni caso i gruppi rimasti a Nord, pur senza mai spezzarli del tutto, diradarono sensibilmente i reciproci legami anche grazie alla conformazione geografica dell’area, che implicò necessariamente una biforcazione di percorsi: a partire dalla Beringia – probabilmente in tempi e modi diversi, e forse anche con passaggi ripetuti – vennero cioè seguiti “a tenaglia” i due itinerari lungo le due sponde del Mar Glaciale Artico, ovvero da un lato quella nordeurasiatica e dall’altro quella nordamericana-groenlandese (303).

Lungo questo secondo versante sarebbero dunque venute ad enuclearsi quelle prime popolazioni artico-nordamericane – per una precoce colonizzazione del cosiddetto “Nuovo Mondo” che potrebbe essere iniziata anche già 40.000 anni fa (304) come forse testimoniato dai reperti di Taber nel Canada occidentale (305) o di Lime Creek nel Nebraska (306) ma anche da coevi ritrovamenti ancora più meridionali, come quelli di Puebla in Messico e addirittura di Pedra Furada in Brasile (307): la vicinanza tra le datazioni dei siti nordamericani e quelle centro-meridionali non pone particolari problemi teorici in quanto viene ammesso senza difficoltà che tutto il doppio continente, dalle zone artiche fino alla Terra del Fuoco, venne percorso in soli mille-duemila anni (308). In ogni caso, questi antichissimi siti americani potrebbero forse testimoniare una primissima ondata di genti presumibilmente connesse, in modo più o meno diretto, ai Prenordici di Wirth, che in futuro cercheremo di collocare temporalmente con più precisione.

E’ piuttosto sulla dinamica di questa “tenaglia artica” che è opportuno fare qualche approfondimento, perchè le due relative ganasce sembrano ancora oggi aver lasciato qualche interessante traccia di tipo molecolare: ad esempio i resti umani di Yana, nella Siberia nordorientale a 70° di latitudine nord e risalenti a circa 32.000 anni fa (quindi non, in assoluto, i più antichi della zona), sembrano piuttosto significativi perché appartenenti all’aplogruppo Y-DNA P1, che è ritenuto ancestrale agli aplogruppi Q e R, cioè proprio quei due che oggi sono largamente rappresentati rispettivamente nelle Americhe ed in Eurasia. Se a questo elemento aggiungiamo che una tra le più antiche mutazioni del cromosoma Y, cioè il marcatore M130, appare molto ben rappresentato nella Siberia orientale e potrebbe risalire – pur con tutte le dovute cautele da adottare nei confronti delle datazioni molecolari – addirittura a 50.000 anni fa (309), abbiamo qualche indizio che sembra confermare la già accennata ipotesi “Out of Beringia”. In questa stessa direzione interpretativa, ci sembra inoltre significativo che il ricercatore Razib Khan ritenga l’area in questione testimone di una rapida biforcazione di lignaggi verificatasi circa 40.000 anni fa, ed anche che la componente autosomica definita “ANS” – gli “Antichi Nord-Siberiani” – successiva alla summenzionata “BE” e nella quale in larga parte ricadono i reperti di Yana (componente oggi molto diffusa tra Eurasia settentrionale ed America) sia nel suo complesso tre volte più vicina all’attuale popolazione eurasiatica occidentale rispetto a quella orientale (310): sulla base di queste evidenze – e considerando anche che la componente ANS è considerata ancestrale a quella denominata ANE (Antichi Nord-Eurasiatici), pure questa ben riconoscibile tra gli odierni Siberiani, i Nativi Americani e gli Europei – se ne potrebbe quindi dedurre il collegamento con un fenotipo nettamente più vicino a quello europide-caucasoide che a quello mongolide, esattamente come si era ipotizzato in precedenza sulla base di osservazioni di carattere razziale.

Come considerazione del tutto generica, comunque, va anche detto che alla domanda di quali possano essere stati i tratti esteriori di gruppi umani così antichi è più probabile che la ricerca paleogenetica possa efficacemente rispondere quando si colloca sul piano delle componenti autosomiche, piuttosto di quello dei soli aplogruppi mt-DNA o Y-DNA. Un esempio che forse potrà chiarire meglio, può essere quello di un ipotetico cittadino britannico dei nostri giorni, lontano discendente di un sudanese trasferitosi in Inghilterra più di un secolo fa e qui unitosi a una donna locale, così come poi tutta la sua discendenza maschile: dopo 5 generazioni il patrimonio genetico del britannico dei nostri tempi avrebbe solo 1/32 (poco più del 3%) di quello del bisarcavolo sudanese e 31/32 (quasi il 97%) proveniente da tutti gli altri antenati inglesi, con le ovvie conseguenze fenotipiche che ben difficilmente – a parte l’eventuale sporadica riemergenza di qualche tratto dell’antenato africano – lo differenzierebbero dai suoi concittadini con bisarcavoli solo inglesi autoctoni. Però l’analisi del suo Y-DNA lo ricondurrebbe ad un’origine africana, ma è evidente che ciò di lui racconterebbe solo una storia molto parziale, essendo la larghissima parte del suo patrimonio genetico (“autosomico”) costituito da frequenze molecolari, invece, tipicamente nordeuropee, come peraltro anche il suo aspetto esteriore. Parentesi nella parentesi: pensiamo se tra 10.000 anni qualche futuro paleantropologo dovesse trovare i resti di quest’uomo inglese, magari così deteriorati a livello morfologico da essere inutilizzabili per un’indagine antropometrica, ma comunque in grado di fornire una quantità di Y-DNA sufficiente per analizzarne la correlazione geografica con gli altri aplogruppi noti: verrebbe portato a dedurre che il soggetto in questione molto probabilmente proveniva dall’Africa subsahariana e presentava un fenotipo “congoide”. Una conclusione ovviamente del tutto errata.

 

 

Link articolo precedente:

 

Parte 7

 

 

NOTE

 

271.  Franco Rendich – L’origine delle lingue indoeuropee. Struttura e genesi della lingua madre del sanscrito, del greco e del latino – Palombi Editori – 2005 – pag. 122

 

272.  Nuccio D’Anna – René Guénon e le forme della Tradizione – Il Cerchio – 1989 – pag. 53

 

273.  L.M.A. Viola – Religio Aeterna, vol. 2. Eternità, cicli cosmici, escatologia universale – Victrix – 2004 – pag. 127

 

274.  Bal Gangadhar Tilak – Le regioni artiche e la “notte degli dei” – in: Arthos, n. 27-28 “La Tradizione artica”, 1983/1984, pag. 15

 

275.  Charles H. Hapgood – Le mappe delle civiltà perdute. Le prove dell’esistenza di una civiltà avanzata nell’Era Glaciale – Mondo Ignoto – 2004 – pag. 226

 

276.  Rand e Rose Flem-Ath – La fine di Atlantide – Piemme – 1997 – pagg. 66 e 109

 

277.  Renato Biasutti – Alcune considerazioni sul primo popolamento del continente americano – in: Scritti Minori, Società di Studi Geografici, 1980, pag. 143

 

278.  Nuccio D’Anna – Parashu-Rama e Perseo – in: Arthos, n. 33-34, 1989/1990, pag. 162

 

279.  Giuseppe Acerbi – Introduzione al Ciclo Avatarico, parte 2 – in: Heliodromos, n. 17, Primavera 2002, pag. 24

 

280.  Pietro Chierichetti (a cura) – Sette isole Sette oceani. Il Bhumiparvan: geografia, miti e misteri del Mahābhārata – Edizioni Ester – 2016 – pag. 84

 

281.  Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizoni Mediterranee – 1988 – pag. 236

 

282.  Giuseppe Acerbi, comunicazione privata

 

283.  Giuseppe Acerbi – L’Isola Bianca e l’Isola Verde – Simmetria Associazione Culturale – pag. 28 – http://www.simmetria.org/images/simmetria3/pdf/Rivista_41_2016_A5_booklet.pdf

 

284.  Pietro Chierichetti (a cura) – Sette isole Sette oceani. Il Bhumiparvan: geografia, miti e misteri del Mahābhārata – Edizioni Ester – 2016 – pagg. 84, 89

 

285.  Bruno D’Ausser Berrau – De Verbo Mirifico. Il Nome e la Storia – pagg. 22, 40 – https://fdocumenti.com/download/de-verbo-mirifico-il-nome-e-la-storia-prf-u-viewlapproccio-al-problema-partendo; Gaston Georgel – Le quattro Età dell’umanità. Introduzione alla concezione ciclica della storia – Il Cerchio – 1982 – pag. 179

 

286.  David Reich – Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità – Raffaello Cortina Editore – 2019 (copia in pdf) – pag. 36; Nicholas Wade – All’alba dell’Uomo. Viaggio nelle origini della nostra specie – Cairo Editore – 2006 – pag. 68

 

287.  Janusz K. Kozlowski – Preistoria – Jaca Book – 1993 – pag. 50

 

288.  Bruno D’Ausser Berrau – De Verbo Mirifico. Il Nome e la Storia – pagg. 22, 40 (nota 149) – https://fdocumenti.com/download/de-verbo-mirifico-il-nome-e-la-storia-prf-u-viewlapproccio-al-problema-partendo

 

289.  Giuseppe Acerbi – L’Isola Bianca e l’Isola Verde – Simmetria Associazione Culturale – pag. 26 – http://www.simmetria.org/images/simmetria3/pdf/Rivista_41_2016_A5_booklet.pdf; Michele Ruzzai – Nord–Sud: la prima dicotomia umana e la separazione del ramo australe – Ereticamente.net – 21/08/2014 – https://www.ereticamente.net/2014/08/nord-sud-la-prima-dicotomia-umana-e-la-separazione-del-ramo-australe.html

 

290.  Silvano Lorenzoni – Il Selvaggio. Saggio sulla degenerazione umana – Edizioni Ghénos – 2005 – pagg. 45, 104

 

291.  Mircea Eliade – Il mito dell’eterno ritorno – Borla – 1999 – pag. 22

 

292.  René Guénon – Il simbolismo della Croce – Luni Editrice – 1999 – pag. 79

 

293.  Mario Giannitrapani – Paletnologia delle antichità indoeuropee. Le radici di un comune sentire (parte 1) – in: I Quaderni del Veliero, n. 2/3, 1998, pag. 250; Adolf Ellegard Jensen – Come un cultura primitiva ha concepito il mondo – Edizioni Scientifiche Einaudi – 1952 – pagg. 215, 227

 

294.  Giuseppe Acerbi – Introduzione al Ciclo Avatarico, parte 2 – in: Heliodromos, n. 17, Primavera 2002, pag. 24

 

295. Nuovo record di antichità per l’arte rupestre di Homo sapiens – Le Scienze – 14/1/2021 – https://www.lescienze.it/news/2021/01/14/news/arte_rupestre_indonesia_sulawesi-4868846/?fbclid=IwAR0xZAoG82fOF4V-i-bSahdjdqFhwLN4U9ec6o5GugLANVDTL8CWGdtQcnQ

 

296.  Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 74

 

297.  Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 242

 

298.  Michel Brezillon – Dizionario di Preistoria – Società Editrice Internazionale – 1973 – pag. 54; Grahame Clark – La Preistoria del mondo – Garzanti – 1986 – pag. 27

 

299.  Francesco Fedele – Neandertaliani fra noi ? – in: Le Scienze, Quaderni n. 17, Ottobre 1984, pag. 70; David Reich – Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità – Raffaello Cortina Editore – 2019 (copia in pdf) – pag. 237; Nicholas Wade – All’alba dell’Uomo. Viaggio nelle origini della nostra specie – Cairo Editore – 2006 – pagg. 16, 107

 

300.  Gaston Georgel – Le quattro Età dell’umanità. Introduzione alla concezione ciclica della storia – Il Cerchio – 1982 – pag. 111

 

301.  David Reich – Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità – Raffaello Cortina Editore – 2019 (copia in pdf) – pag. 112

 

302.  David Reich – Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità – Raffaello Cortina Editore – 2019 (copia in pdf) – pag. 112

 

303.  Michele Ruzzai – Il ramo boreale dell’Uomo tra nord-est e nord-ovest – Ereticamente.net – 15/09/2014 –  https://www.ereticamente.net/2014/09/il-ramo-boreale-delluomo-tra-nord-est-e-nord-ovest.html

 

304.  Ciro Gardi – Gli americani si scoprono più antichi – in: Le Scienze, Maggio 1997, pag. 23

 

305.  AA.VV. (a cura di Fiorenzo Facchini) – Paleoantropologia e Preistoria. Origini, Paleolitico, Mesolitico – Jaca Book – 1993 – pagg. 137, 446; Fiorenzo Facchini – Il cammino dell’evoluzione umana. Le scoperte e i dibattiti della paleoantropologia – Jaca Book – 1994 – pag. 176

 

306.  Lyon Sprague de Camp – Il mito di Atlantide e i continenti scomparsi – Fanucci – 1980 – pag. 156

 

307.  Le impronte dei primi Americani – Le Scienze – 6/7/2005 – http://www.lescienze.it/news/2005/07/06/news/le_impronte_dei_primi_americani-584717/; Merritt Ruhlen – L’origine delle lingue – Adelphi – 2001 – pag. 218

 

308.  Harald Haarmann – Storia universale delle lingue. Dalle origini all’era digitale – Bollati Boringhieri – 2021 – pag. 120; Spencer Wells – Il lungo viaggio dell’uomo. L’odissea della nostra specie – Longanesi – 2006 – pag. 195

 

309.  Spencer Wells – Il lungo viaggio dell’uomo. L’odissea della nostra specie – Longanesi – 2006 – pagg. 109, 248

 

310.  AA.VV. – The population history of northeastern Siberia since the Pleistocene – Biorxiv.org – 22/10/2018 – https://www.biorxiv.org/content/10.1101/448829v1?fbclid=IwAR3vRphgusEvHu7TxBg_tTS_KT3OFAOB6wn7Yc44-nfjmZ20DfQKPXvEeJI

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *