Nella notte tra il 22 e il 23 Aprile 1946, un “Commando” del Partito Fascista Democratico – un movimento clandestino milanese di reduci della RSI – penetrò nel Cimitero Musocco del capoluogo lombardo, trafugando la salma di Benito Mussolini che, sebbene sepolta anonimamente e in gran segreto, era oggetto di continue e volgari offese da parte degli antifascisti, in veri e propri “sabba” indegni di ogni popolo civile.
Il clamoroso trafugamento fece nascere un giallo che appassionò gli Italiani fino al 31 Agosto 1957, quando il corpo del Duce – nel frattempo ritrovato dalle Autorità di Polizia e fatto scomparire per impedirne la devozione popolare – tornò nelle disponibilità della famiglia e fu inumato nel cimitero di Predappio, ove riposa tutt’ora. Un decennio di passione, amore e dolore che abbiamo raccontato anche in una nostra precedente inchiesta alla quale rimandiamo il lettore[1].
La restituzione della salma di Mussolini alla famiglia pose fine ad un pezzo di storia italiana.
Nell’atto di pietà e di “resa” della Repubblica “nata dalla Resistenza” (leggasi “Piazzale Loreto”), non vi fu nessun accordo sottobanco col MSI, né cedimento al fascismo, solo la constatazione di essere giunti alla fine di una farsa. Infatti, il Governo monocolore di Adone Zoli – che restituì la salma alla famiglia – avrebbe ricevuto lo stesso i voti di fiducia missini in Parlamento, non era necessaria una “compravendita”. Certamente, Almirante perorò la causa, ma fu la DC a comprendere di essere giunti all’epilogo. A nessuno della Democrazia Cristiana, del resto, venne mai in mente la barbarie di disperderne i resti, come ipotizzato da qualche sanguinario antifascista in cerca di vendetta postuma, per riscattare il proprio fallimento politico e umano. Il buon senso, la civiltà, la pietà, prevalsero sull’antifascismo criminale.
Certo, tutti volevano cancellare il mito di Mussolini, ma l’occultamento del suo corpo aveva contribuito solo ad accrescere l’interesse degli Italiani nei confronti del Duce, mettendo in ridicolo lo stesso Governo che “aveva paura anche dei morti”. Poi, da non sottovalutare, il reflusso dell’antifascismo militante a dodici anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: i fascisti del MSI esprimevano Sindaci in numerose città d’Italia, anche capoluoghi di provincia, e in altrettanti tenevano in piedi Giunte democristiane in funzione anticomunista. Solo nell’Estate 1960 nacque l’antifascismo militante di odio come lo conosciamo oggi[2]. All’epoca, e siamo nell’Estate 1957, pochi erano interessati alle sirene di allarme per il “fascismo ritornante” strombazzate ad ogni occasione dai partiti di sinistra al soldo dell’Unione Sovietica…
Quelli furono undici anni di “attesa”, di ricerche, di inchieste giornalistiche che, come abbiamo detto, appassionarono gli Italiani, con scorno del Governo e degli antifascisti tutti che si vedevano ancora tra i piedi il “fantasma” di Mussolini. Ora qui, ora là. Testimoni che giuravano di aver visto; giornalisti che accorrevano sui luoghi; la Polizia e i Carabinieri che venivano scavalcati e correvano ai ripari con uno spiegamento di forze surreale; pellegrinaggi di neofascisti in quel cimitero, in quella chiesa, in quella cappella, dove voci sussurrate dicevano, affermavano, essere nascosta la salma di Mussolini. Insomma, mai come in quegli undici anni il Duce fu ovunque.
In realtà, i resti di Mussolini erano stati sottratti alla venerazione pubblica e custoditi dalle Autorità di Polizia sempre nello stesso luogo segreto: il Convento di Cerro Maggiore (Milano). Da lì non si mossero mai.
Tra le decine di località in cui si sussurrò fosse sepolto il Duce vi fu anche Nettuno, ridente cittadina in provincia di Roma. La notizia venne rilanciata dal giornalista Roberto De Monticelli nell’Ottobre 1951, dalle colonne del settimanale “Epoca”.
De Monticelli, nella speranza di far luce sulla dibattuta questione, riportava le dichiarazioni che Padre Enrico Zucca aveva fatto dal Brasile. Dopo il trafugamento del 23 Aprile 1946, il prelato aveva preso in consegna la salma di Mussolini dai neofascisti e l’aveva nascosta nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli a Milano per qualche giorno, fino al trasferimento alla Certosa di Pavia dove venne poi scoperta dalla Polizia (12 Agosto 1946). Veniva quindi considerato un testimone diretto della famosa “scomparsa” e depositario di chissà quali segreti.
Nell’Autunno 1949 si era sparsa la voce che i resti di Mussolini fossero stati nascosti nel Verano di Roma, nella tomba di un anarchico deceduto nel 1936, tale Bruno Misefari. Tutti prestarono attenzione alla notizia-bomba e si dilettarono a ricostruire i dettagli della intricata vicenda nel più classico stile romanzesco, come le iniziali del cognome del defunto, “Mis”, che richiamavano direttamente la sigla del Movimento Sociale Italiano! Mentre la parte finale del cognome, “fari”, richiamava i FAR, il movimento clandestino dei Fasci d’Azione Rivoluzionaria!
Tutte ipotesi fantasiose che, all’epoca, facevano scorrere fiumi di inchiostro ed oggi avrebbero fatto la fortuna dei numerosi programmi televisivi che si occupano di cronaca nera. Ma erano solo sogni, “apparizioni di fantasmi” per l’appunto.
In questo clima di annunci e smentite, di gialli e di giallissimi, nell’Autunno 1951, Padre Enrico Zucca – seguito attentamente dai cronisti – fu visto andare a Roma. Solo questo spostamento provocò la mobilitazione generale dei giornalisti che indagavano sulla scomparsa dei resti del Duce.
Perché il prelato era andato nella Capitale? Possibile fosse accaduto qualcosa di clamoroso?
“Stette a Roma qualche giorno. Chi vide, con chi parlò? Nessuno poté saperlo mai. Tornò all’Angelicum [di Milano] e col suo diplomatico sorriso ricevette i giornalisti. «È stato un falso allarme» si limitò a dichiarare. «È tutto come prima». Né fu possibile cavargli altro dalla bocca; salvo i soliti sorrisi elusivi a ogni ipotesi che i giornalisti tentarono di avanzare. Era infatti corsa la voce che la salma di Mussolini fosse stata tumulata a Nettuno. Padre Zucca aveva forse fatto, da Roma, una visitina a Nettuno? Sorriso di diniego. Eran state dunque riportate, quelle spoglie senza pace, alla Certosa di Pavia? Risatina”[3].
No, il corpo del Duce era segregato al sicuro nel Convento di Cerro Maggiore e da lì non si mosse mai. Ma il “fantasma” di Mussolini continuò per lunghi anni ad aleggiare su tutta l’Italia e, in quell’Autunno del 1951, fu visto anche a Nettuno.
“Che strana democrazia è mai quella che vieta di rimpiangere un dittatore scomparso, e che strano dittatore fu mai quello se trova tanti disposti a rimpiangerlo in tempi di democrazia”, scrisse Leo Longanesi. Ed ancor oggi poco e nulla è cambiato se il “fantasma” di Mussolini è ancora evocato, come figura centrale della storia d’Italia, in Parlamento come in decine e decine di Consigli comunali da parte degli antifascisti 2.0, sedicenti eredi di una storia che non conoscono nemmeno.
Pietro Cappellari
Direttore
Biblioteca di Storia Contemporanea “G. Coppola”
Paderno di Mercato Saraceno (Forlì)

[1] Cfr. P. Cappellari, Alla ricerca di Mussolini, “L’Ultima Crociata”, a. LXXV, n. 3, Marzo-Aprile 2025.
[2] Cfr. P. Cappellari, L’invenzione dell’antifascismo. La nascita di un instrumentum regni che impedisce la pacificazione nazionale, genera odio e produce violenza, Passaggio al Bosco, Firenze 2024.
[3] R.D.M., Nebbiose novità arrivano dal Brasile, “Epoca”, n. 52, vol. V, 6 Ottobre 1951.