9 Ottobre 2024
Simbolismo

Piede e Peccato, Triade e Tetrade – Costanza Bondi

La tradizione ebraica ci consegna la parola “peccato” come violazione dell’ordine voluto da Dio, che Coehlo ne “Il cammino di Santiago” così ci restituisce: La parola “peccato” viene da “pecus” che significa “piede difettoso”, piede incapace di percorrere un cammino. Il modo per correggere il peccato è quello di camminare sempre diritto, adattandosi alle situazioni nuove e ricevendo in cambio le migliaia di benedizioni che la vita concede con generosità a coloro che chiedono. Diversamente,

nella Sloka 1 della Stanza V di “Theogenesis” è scritto come l’energia universale Fohat, ponte del percorso tra spirito e materia, diriga l’evoluzione dell’uomo e del cosmo tramite i propri passi, uno alla volta, così che il progresso proceda in infinitesimali periodi di tempo, il cui intervallo è rappresentato dal piede sollevato tra un passo stesso e l’altro: Diventerete così audaci da ostacolare la mia volontà? – gridò Fohat nella sua ira (…) – badate che non abbassi il mio piede così pesantemente da demolire il ponte tra gli dèi e gli uomini; allora non potrete più soccorrere gli uomini, né far risuonare accordi pienamente armonici. Vediamo ora le analogie metaforiche, sul rispetto o meno delle Leggi di Natura (la discendenza), tra il monito cristiano del IV comandamento e le narrazioni mitologiche, partendo da Edipo, che a sua insaputa diverrà parricida nonché incestuoso, e iniziamo dall’etimologia. Infatti, il suo nome significa il piede gonfio che in metafora ci dà il concetto seguente: il piede offeso non può tenere l’equilibrio, al pari di tutti gli zoppi e ciechi nominati, in seguito, nei testi biblici. Si tratta di una stortura metaforica che indica la confusione dei ruoli creata dall’uomo rispetto all’ordine della legge divina. Se infatti andiamo a ricercare nella genealogia edipica, abbiamo Cadmo fondatore di Tebe che però uccise il drago sacro ad Ares, segue Penteo che con atto di hybris disprezzerà i riti dionisiaci e Laio, padre di Edipo, che in barba alla xenìa (la legge sacra dell’ospitalità) stuprò Crisippo, figlio di un suo ospite.

Il monito qual è? Onorare il padre e la madre va concepito nell’ottica del rispetto delle leggi divine, nel rispetto dell’ordine che Dio ha dato al creato. Purtroppo, come a Tebe furono sovvertite le leggi divine, così oggi vorrebbero che avvenisse nella nostra società quando ritroviamo altrettanta confusione nei ruoli di genere (ben riassunti dalla teoria gender e dalla conseguenza di fluid sexualitye utero in affitto, affiancati ai neologismi di Genitore 1 e Genitore 2) in quanto deviazione che allontana dalla biologia-natura, che al contrario è divina poiché direttamente dal volere divino e naturale scaturisce. Perciò, più siamo zoppi, meno viene rispettato l’equilibrio universale. Lo stesso Asmodeo il distruttore è il diavolo appartenente alla gerarchia degli angeli di Satana ed è il simbolo della discordia coniugale (Libro di Tobia) raffigurato con un arto artificiale, poiché appunto zoppo, dacché distruttore delle leggi di natura. Tornando alla mitologia, troviamo anche Efesto (Vulcano) che fu il primogenito autogenerato da Era in risposta al fatto che il marito Zeus avesse in precedenza fatto nascere Atena dalla propria testa. Quindi, due personaggi creati senza il connubio di natura tra maschile e femminile. Quindi ancora, il rifiutato dalla madre a causa della propria bruttezza, perciò non conforme alle aspettative di origine divina, nonché “il nato solo da donna”, viene scagliato da quello che sarebbe dovuto essere il padre, poiché, prendendo le difese della madre, la liberò dai bracciali d’oro con cui era stata incatenata. Secondo alcuni, così si azzoppò, secondo altri zoppo già nacque. Già prima, sempre nella mitologia, incontriamo lo zoppo Saturno (Kronos), figlio del Cielo e della Terra (Urano e Gaia), che su istigazione della madre recise i testicoli del padre con un falcetto, arnese che ne distinguerà l’iconografia a venire. Evirato il padre, lo scalzò dal potere sostituendolo, ma la conseguenza era già prescritta. Urano infatti gli predisse che sarebbe stato proprio uno dei suoi figli, un giorno, a detronizzarlo: da qui, la decisione di divorarli man mano che nascevano. La legge divina, però, è inesorabile. Sua moglie, nonché sorella, Rea, stufa di tali infanticidi partorì Giove segretamente, dando poi da mangiare al padre una pietra al posto del figlio. Il resto è storia, anzi mito: una volta adulto, Giove fece bere con l’inganno una pozione magica al padre che, con tale stratagemma, vomitò ogni figlio che aveva ingurgitato nel tempo e tutti insieme dichiararono guerra a Saturno, sconfiggendolo. Giove stesso ne prenderà il posto di re dell’Olimpo. Abbiamo poi Achille, l’eroe soprannominato “il pie’ veloce” che invece, guarda caso, aveva una unica infallibilità proprio al calcagno. Costui è però unantitheos= un simile a un dio, che oltre a non meritarsi l’immortalità per questa sua peculiarità peccherà dihybris-tracotanza a cui, immancabilmente, seguirà la nemesis. Il mancato rispetto della gerarchia terrena (Achille si rifiuta di assecondare il re Agamennone) e delle leggi morali (lo scempio del corpo di Ettore, nonché la volontà di non restituirne il corpo al padre) avranno il risultato di privarlo dapprima della sua amata e inscindibile controparte Patroclo e poi la morte. Colpito, appunto, al tallone.

Nel Testamentum Domini, l’apocrifo siriaco chiamato anche “Testamento di Nostro Signore”, nella profezia sull’avvento dell’Anticristo costui è descritto quale figlio di una prostituta che nascerà in Egitto e vivrà a Babilonia: segni particolari, neanche a dirlo, “debole di gamba destra”. Salmo 120: Dio non progetterà che il tuo piede vacilli. Un altro esempio biblico in tema di zoppia è quello di Giacobbe. Una zoppia quasi obbligatoria, seguendo questo discorso, in quanto anche lui sovvertitore dell’ordine divino, avendo scambiato la primogenitura col fratello gemello Esaù per un piatto di lenticchie. Ancora una volta, sovvertire l’equilibrio naturale, quindi divino, porta inevitabilmente all’instabilità che, in senso figurato, è l’immaturità spirituale. Il messaggio di dover rafforzare le proprie gambe spirituali per non zoppicare né inciampare nel cammino di fede ce lo dà Ebrei 12, 13: Continuate a fare sentieri dritti per i vostri piedi, affinché ciò che è zoppo non si sloghi, ma anzi sia sanato.

In Esodo (20,5 e 34,7) si parla chiaro a proposito: le colpe dei padri ricadranno su quelle dei figli fino alla terza e quarta generazione. Perché, però, fino alla terza e quarta generazione? E non solo fino alla terza generazione, oppure solo fino alla quarta?  Stesso concetto che ritroveremo prima in Virgilio con Enea che appella gli eroi caduti nella guerra di Troia come i terque quaterque beati e poi in Dante, Purgatorio VII,2: l’accoglienze oneste e liete furo iterate tre e quattro volte. Per la cultura classica omne trinum perfectum est, premesso infatti che soltanto per addizione si addiviene dall’unità alla dualità per cui la monade perde il proprio carattere di unicità virando nella molteplicità, l’unità stessa non si configura come numero ma in quanto principio-archè. Dallo stesso 1-archè, per addizione, derivano poi tutti i numeri. Essendo per la matematica pitagorica il 2 non un numero ma l’archè dei numeri pari, il 3 = sintesi di unità + diade è assunto come la somma di 1 + 2, la cui particolarità è quella di risultare il primo numero che può ammettere al contempo sia una raffigurazione lineare sia una raffigurazione di superficie. Il 3 = 1 + 2  quindi, essendo  la somma dei due archè di unità e diade, al pari della somma dei numeri di cui è composto, gode di proprietà che gli altri numeri non possono annoverare. Monade, diade e triade (= punto, linea e superficie) per passare alla raffigurazione del mondo abbisognano della tètrade = mondo materiale (i 4 elementi). La raffigurazione geometrica ora entra nella perfezione di 1 + 2 + 3 + 4 (= 10, da cui il sistema di numerazione decimale) che conduce dalla superficie del triangolo alla tridimensione della piramide. Essendo perciò il 3 il numero che i pitagorici indicarono come unicum di principio-mezzo-fine, arcaicamente dal punto di vista numerale rappresentava perciò il punto da cui dover ricominciare nella conta, avendo con la triade già raggiunto la perfezione. È per ciò che, dovendo iniziare a contare di nuovo, il numerale 4 era dato come e di nuovo 3 = di cui il latino ci restituisce l’etimologia della congiunzione etatqueac (davanti a consonante), -que (quando enclitica) unita al ter = tre. Da cui, atque ter, que-ter, quattro, nel significato di a oltranza. La consonanza tra il valore di 3 e di 4 al contempo del delta-tetractis è così descritta dal Reghini: Questa arcaica associazione del tre e del quattro concorda con quella pitagorica della tetractis che ha per raffigurazione il triangolo equilatero, ossia la lettera Delta che è la quarta dell’alfabeto.

Costanza Bondi, archeologia di simboli e archetipi (https://www.ilgiardinodeilibri.it/autori/_costanza-bondi.php) 

 

 

 

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