8 Ottobre 2024
Filosofia Libreria

Passione di verità: la lezione di Abrham Joshua Heschel – Giovanni Sessa

Abraham Joshua Heschel (1907-1972) è stato il massimo interprete, nel secolo breve, del Chassidismo, movimento di massa dell’Ebraismo sorto in Polonia nel secolo XVIII. Succedette in cattedra a Francoforte a Martin Buber, uno dei più significativi rappresentanti del pensiero ebraico del Novecento. Nato in Polonia, successivamente alle vicende legate alle persecuzioni naziste, fu naturalizzato statunitense. A New York insegnò etica e mistica ebraica. Le sue opere circolarono in Italia negli anni Settanta, grazie alla meritoria azione editoriale della Rusconi. La casa editrice Iduna ha da poco dato alle stampe uno dei suoi libri più rilevanti, Passione di verità, per la cura di Luca Siniscalco, autore di un’interessante prefazione (per ordini: associazione.iduna@gmail.com, pp. 315, euro 24,00).

Un libro appassionato questo, che trascina il lettore di pagina in pagina. In qualche modo l’autore traccia, servendosi di una narrazione coinvolgente, il proprio intenerarium in veritatem. Un testo, lo si sarà già compreso, inattuale, essendo quella che viviamo un’età che, recisamente, nega qualsiasi forma del vero e che ama crogiolarsi nel brodo relativista e nichilista. La vita di Heschel, in termini intellettuali e spirituali, fu fortemente segnata da due grandi innovatori della tradizione ebraica. Innanzitutto, Red Israel, detto Baal Shem T

ov, il Maestro del Nome Buono che, nel Settecento, visse a Mesbiž è fondò il movimento chassidico. Comprese che le pratiche rituali dell’ebraismo ortodosso dovevano essere vivificate dallo spirito: «Intere generazioni di guide spirituali cercarono di seguire i suoi metodi […]egli rimase la misura e la riprova dell’autenticità di ogni tipo di chassidismo» (p. 12). Mentre nel mondo antico il tempio di Gerusalemme era considerato centro onfalico irradiante le influenze divine sul popolo eletto, Red Israel fece del rebbe stesso, del maestro, e dello zaddik, del giusto, il santuario cui guardare: «Baael Shem credeva che l’uomo fosse la vera dimora del divino» (p. 12). Tutto nella pratica del Chassidismo era mezzo verso il divino, in quanto Reb Israel fece comprendere che anche le cose apparentemente più squallide della natura lo ospitano e sono strumenti che ad esso possono condurre. Diverso l’insegnamento di Reb Menahem Mendl, nato nei pressi di Lublino sul finire del Settecento e morto nel 1859. Egli operò soprattutto nella città di Kotzk e per questo fu detto, il Kotzker. Reb Mendl rivoluzionò il Chassidismo classico: «Mentre a Mesbiž ciò che più contava erano l’amore, la gioia e la compassione per questo mondo, a Kotzk si richiedeva […] un atteggiamento, mai mitigato, di avversione per le cose mondane» (p. 18). Per il Kotzker contava solo Emeth, la Verità: egli aveva contezza che la Verità, anche se sepolta apparentemente in un sepolcro inviolabile, come è constatabile nella nostra epoca, tuttavia mai muore, mai viene meno. L’intero libro, ma soprattutto l’esistenza intima e profonda di Heschel, sono sostanziate dal tentativo di conciliare queste due vie al divino che paiono, a tutta prima, divergenti. Questo il debito contratto dall’autore nei confronti dei due rebbe: «L’uno mi ricordava che il paradiso può essere di questa terra, l’altro mi traumatizzava facendomi scoprire come l’inferno fosse presente nei presunti paradisi di questo mondo» (p. 9).

Attraverso Baal Shem, il filosofo fece esperienza dell’ebbrezza sacra del mondo, mentre, grazie alla guida del Kotzker, incontrò la benedizione dell’umiliazione. Heschel sperimentò, nel corso di una vita tesa al «Centro», come l’uomo stesso manifesti, nella peculiare natura che lo costituisce ontologicamente, la coincidentia oppositorum che vige nel Principio. Visse, nel viaggio verso il vero, la dimensione dell’ «in-tra», che i Greci e Platone chiamarono metaxù, sperimentò, in una parola, la nostra duplice e ambigua natura, sospesa tra l’animale e il dio. Proprio per questo, il nostro itinerarium in veritatem per Heschel può solo dar luogo ad approssimazioni che, come ricordato opportunamente da Siniscalco, si fondano sulla via gnoseologica «dell’intuizione profonda» (p. IV) e della teologia apofatica. E’ in questa tensione al vero, davvero tragica, che vive l’uomo: «chiamato a problematizzare sé ed il mondo; è interpellato dal mistero» (p. IV) che, naturalmente, precede ogni pensiero. Heschel ci dice che il Deus absconditus vive anche nei monoteismi. Per questo, il pensiero di Reb Israel è letto dal nostro filosofo come sintonico a quello del cristianesimo dell’autenticità, proprio di Kierkegaard.

Entrambi ci sollecitano ad allontanarci dal senso comune, ad aprirci alla passione di verità suscitata in noi dall’incontro con il mistero del mondo, abisso di tutti i possibili, cui tante pagine dell’ultimo Schelling, maestro a Berlino del pensatore danese, alludono: «per il Kotzker, così come per Kierkegaard, la verità non è una nozione astratta e dogmatica, bensì un’esperienza sperimentabile, evenemenziale» (p. V). Essa è l’identità della vita individuale con la volontà di Dio. La tensione tragica caratterizza gli uomini in cammino: la sua assenza è segno positivo, esistentivo, che permette di riconoscere l’uomo immerso nel flusso naturalistico, nella dimensione cosale della vita. Per Heschel, anche l’uomo moderno può avere il «risveglio» alla verità, il che vuol dire non risveglio nella verità, ma scoperta della tragicità dell’iter che porta verso di essa.

Ora, qualche considerazione conclusiva. Passione di verità è un libro stimolante, oltre che bello e letterariamente ben riuscito. Lo è anche per quanti, come chi scrive, interpretano i monoteismi, quanto meno, come tradizioni dimidiate. Del resto, Kierkegaard con la sua idea dell’attimo-kairos, mise in atto, ancora una volta nella storia del pensiero europeo, il sacro furto nei riguardi del pensiero classico, come suggerito da Agostino ai suoi correligionari. E’ davvero essenziale farsi mordere dalla passione di verità, ma essa deve condurci ad incontrare nuovamente la potenza abissale della physis, cuore vitale della Tradizione. Nel pensiero del Novecento, tale percorso è stato tentato da Karl Löwith, che ha recuperato il contributo di Spinoza, vale a dire ha incontrato il deus sive natura, esperito sotto il segno della necessità logico-matematica. Ecco, la passione di verità dovrebbe invece ricondurci nel luogo speculativo al quale si affacciarono Bruno e Cusano: di fronte alla physis, al deus absconditus, in cui si mostra il sempre possibile darsi dell’impossibile. Una physis sottratta allo scacco della necessità, regno del principio infondato, la libertà.

Giovanni Sessa

3 Comments

  • Sed Vaste 7 Settembre 2019

    Abraham Joshua heschel rabbino ebreo Giovanni sessa ebreo e tra un po’ lo divento pure io a leggervi , ma roba da Matti. Quando c’e’ da spalare escrementi sulla chiesa cattolica siete sempre pronti mentre con gli ebrei vi prostrate come degli zerbini , vergognatevi ! Poi non lamentatevi se Mr bean renzi striscia davanti al Knesset ebraico ,siete tutti dei lacche’ degli ebrei

  • Paolo 12 Settembre 2019

    Gent.Sed Vaste
    prima di scrivere simili sciocchezze, la pregherei de leggersi gli scritti di entrambi. Paolo, e non sono ebreo.

  • Paolo 13 Settembre 2019

    Sed Vaste
    Le consiglio vivamente di leggersi ciò che gli scritti di Heschel e Sessa prima di srivere simili scemenze. Paolo (e non sono ebreo)

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