14 Dicembre 2024
Sulla strada

Nostalgia delle cose perdute – Rita Remagnino

Ormai separate dalle ansie terrene le anime del secondo balzo dell’Antipurgatorio affrontano il buon ritiro nella montagna-chiostro avvolte in una nuvola di speranza. Desiderose di ascendere alla visione di dio tessono con cortesia e calore le loro umili richieste, pregano in continuazione al fine di rinsaldare il legame con il divino, inondano il loro cammino di cantilene religiose per lavarsi e depurarsi, vogliono arrivare.
Uscendo dagli schemi degli inni medioevali i canti che riguardano il secondo regno riprendono il filo spezzato delle formule e delle immagini care alla poesia ritmica tradizionale. Strada facendo, lungo le valli e su per il sentiero montagnoso il suono (della parola) salta agli occhi quando meno te lo aspetti, diventando, per esempio, il «visibile parlare» scolpito nel marmo bianco della Prima Cornice che indubbiamente costituisce un’importante testimonianza di umiltà premiata, ma, soprattutto, dà l’avvio a un’inedita predicazione per immagini (Pg X 95).
Sotto molti aspetti il sentiero serpentino che avvolge il Sacro Monte ricorda una «Via dei Canti», avvicinando le anime che lo percorrono agli aborigeni dell’emisfero australe che tuttora seguono le tjurna djugurba degli avi, cioè le orme lasciate dagli esseri mitici che crearono il Primo Mondo dopo averlo lungamente «sognato» nel corso d’interminabili viaggi.
Come i nativi australiani transitano su strade invisibili ma perfettamente udibili, diventando gli esecutori di un’immensa partitura musicale che ripropone ad oltranza i suoni insegnati agli uomini dagli dèi-civilizzatori, così le anime presenti nella montagna-chiostro «sognano» cantando la purificazione che realizzerà la loro liberazione.
Oltre che profondamente tradizionali entrambe le espressioni sono sintoniche, non stupisce pertanto che la figura di riferimento del luogo dantesco sia quella di un cantore: Sordello da Goito, molto apprezzato da Dante per le sue composizioni in volgare italiano e per il famoso Compianto in morte di Ser Blacatz in cui il trovatore mantovano biasimava la codardia dei principi europei suoi contemporanei.

 

A quanto pare la tragedia al limite del grottesco messa in scena dall’Europa è in corso da secoli e forse toccherà proprio a noi assistere all’ultimo atto, che si concluderà con il definitivo passaggio di consegne dai governi nazionali alle istituzioni e agli organismi sovranazionali. Come non condividere dunque lo sdegno dell’anima dal maestoso sguardo leonino nella quale si sono imbattuti i due pellegrini. “Venimmo a lei: o anima lombarda, / come ti stavi altera e disdegnosa / e nel mover de li occhi onesta e tarda! / Ella non ci dicëa alcuna cosa, / ma lasciavane gir, solo sguardando / a guisa di leon quando si posa” (Pg VI 61-66).
In vita Virgilio non ha mai conosciuto il concittadino Sordello, che tuttavia abbraccia calorosamente mostrando un amor di patria che si ricollega, per contrasto, all’invettiva della scena successiva contro la mancanza di pace tra i Comuni d’Italia resi instabili dall’incompetenza di chi dovrebbe prendersi cura di loro. Nell’occhio del ciclone c’è l’imperatore Alberto I d’Asburgo, che preferendo occuparsi delle cose tedesche anziché badare al resto d’Europa (Pg VI 97 e ss.) si qualifica come l’antesignano dell’europeismo bruxelliano, tutto preso dagli interessi di Berlino e sordo alle istanze comunitarie.
Giustamente Dante si lamenta in prima, seconda e terza persona. Se però nelle istituzioni civili del Medioevo si trovavano ancora, seppure raramente, dei sinceri censori dei vizi del proprio tempo e dei maestri di vita morale, nell’Europa del XXI secolo è ufficialmente estinto “quel dritto zelo / che misuratamente in core avvampa” (Pg VIII 85-90), cioè il giusto sdegno che ardendo con misura nel cuore serve a raddrizzare le storture del mondo.
Nessun cittadino europeo oggi si aspetta di trovare in un politicante la “carità del natio loco”, né la “vertute” intesa come capacità operativa. D’altra parte per accedere alla carica di burocrate/Capo di Stato non è richiesto alcun talento, studio o competenza particolare, essendo sufficiente obbedire ai grandi gruppi d’interesse in cambio di lauti compensi. Per salvare le apparenze queste scimmiette ammaestrate fingono in pubblico di prendere decisioni riguardanti Stati e Nazioni, ma in realtà ogni loro azione dipende dalle oscillazioni della Borsa e dalle strategie economiche che le determinano.

 

Ripetere ciò che tutti sanno non ribalta tuttavia la situazione. Meglio ripartire dal basso, incominciare a lavorare su se stessi, ristabilire ciascuno nel proprio ambito la supremazia dello Spirito su quella del danaro. Senza fretta ma con costanza, lasciando al processo di purificazione il tempo di sedimentare, come saggiamente suggerisce Sordello sconsigliando ai colleghi Dante e Virgilio la risalita del monte durante la notte.
Al fine di recuperare le forze e rilanciare la propria capacità di cambiare insieme agli eventi, la combriccola dei poeti sosta così nella tranquilla «valletta dei principi» (Pg VII 43-48), dove attenderà pazientemente l’alba del nuovo giorno. Il luogo è fiorito e profumato, adorno di giunchi sempre verdeggianti, pieno di colori e reso armonioso dalle preghiere salmodianti simili a canti che rendono l’aria un venticello vibrante. Tutto il contrario delle folate lamentose che investivano con violenza i dannati dei gironi infernali, prolungando il loro dolore.
Sulle prime si potrebbe pensare che Dante usi il guanto di velluto con i sovrani temporali confinati nella valletta, ma quasi subito ci si ricrede vedendolo gettare in mezzo ai principi il Serpente, la “biscia, / forse qual diede ad Eva il cibo amaro” (Pg VIII 98-99); alla cui vista, peraltro, sarà il solo a spaventarsi, essendo in quel luogo l’unico «vivente» ancora a rischio di tentazione ed eterna perdizione.
Presente nel regno intermedio l’Anticristo, il «nostro nemico» mondano perennemente impegnato a sovvertire l’ordine divino (nella fattispecie a impedire e/o ritardare il progresso spirituale delle anime in cammino sulla strada della purificazione) trova nella «valletta» pane per i suoi denti. Siano essi vivi o morti i governanti brillano sempre per indecisione, barcamenandosi tra il desiderio nefasto di seguire la “mala striscia” (Pg VIII 100) e i buoni propositi metaforicamente espressi dagli angeli scesi dal cielo per scacciare il Male con le loro spade fiammeggianti. L’immagine è lo specchio dell’ultimo millennio di storia dell’Europa; fatta eccezione per l’usura, cioè il peggioramento della crisi dovuto all’invecchiamento del sistema.

 

All’opposto degli attuali arrivisti, le cui decisioni creano spesso danni irreparabili, i principi della valletta in vita non fecero niente di male, né furono carenti di religiosità o interiorità. Le colpe riguardano semmai l’abbandono del «vivere impegnato», attivo e concreto, che intaccando le loro anime ha provocato dei cali di tensione nel cavo invisibile che lega tutto al Tutto, compromettendo il resto.
Il «non fare» di questi sovrani va interpretato dunque come un «non essere», che poi sarebbe l’opposto del wu wei di laotziana memoria, cioè del «fare secondo natura», da intendersi come un seguire il flusso del proprio destino e l’energia del momento al fine di rispondere in piena autonomia a qualsiasi situazione che di fatto si pone.
In buona sostanza costoro non hanno difeso i propri sudditi né esercitato quell’imperium che Dante concepisce (nel De monarchia) come il principio unitario capace di scongiurare le guerre e promuovere la pace. Da parte loro i popoli europei non sono stati da meno, mostrandosi dilaniati dalle partigianerie quando non addirittura adagiati sul disimpegno, il rilassamento morale, la trascuratezza, il sempre più debole spirito cristiano.
Da buon patriota Sordello condanna tutto questo. Mentre, però, i sovrani di un tempo potevano essere spodestati con un colpo di mano, gli eurocrocrati moderni sono di fatto esseri autorigeneranti, nel senso che ne butti fuori uno dalla porta e subito ne entra un altro uguale dalla finestra. Geneticamente modificata appare anche la «serpe», che stanca di strisciare nell’erbetta fresca adesso ostenta con orgoglio l’apparato militare più potente e distruttivo mai apparso sulla faccia della Terra; il quale, tuttavia, sul campo si mostra alquanto fallace, e com’è noto il diavolo non può nascondere la coda per sempre.
In una manciata di secoli, insomma, il fiume in piena disegnato nella Commedia è esondato e difficilmente rientrerà negli argini; o, comunque, non prima che l’Europa decida di archiviare la sua anacronistica mania di grandezza. Ma chissà che una volta finiti i muri da abbattere qualcuno s’accorga che è rimasta in piedi l’unica barriera che invece andava demolita per prima, quella tra Oriente e Occidente. E dire che basta il nome a definire l’Europa come un lembo dell’Eurasia, uno spazio immenso in cui convivono da sempre popoli eterogenei, dotati di una propria identità specifica ma accumunati da un unico destino.

 

Alla fine l’unico re meritevole di rispetto è quello degli astri, il quale in questo momento sta andando a dormire: è l’ora “che volge il disio / ai navicanti e ‘ntenerisce il core” (Pg VIII 1-2). Per l’ennesima volta gli occhi del poeta si rivolgono al cielo, fermandosi là dove le stelle girano più lente (al polo) come fa la sezione della ruota più vicina al suo asse. “Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo, / pur là dove le stelle son più tarde, / sì come rota più presso a lo stelo” (Pg VIII 85-87). Gli chiede il Maestro: cosa guardi lassù? E lui: “A quelle tre facelle / di che ‘l polo di qua tutto quanto arde” (Pg VIII 89-90), cioè alle tre stelle che illuminano il cielo australe e hanno preso il posto delle quattro viste al mattino.
Tralasciando l’aspetto astronomico già toccato in precedenza, spunta da queste rime un altro nodo del pensiero dantesco: la nostalgia delle cose perdute, cioè la cortesia e la gentilezza appartenute al mondo passato in cui esistevano liberalità e prodezza. Un dispiacere di cui si fa interprete Corrado Malaspina, cresciuto in Lunigiana e scelto per l’occasione come testimone di quel mondo cavalleresco sempre presente nella visione del poeta quale ideale di giustizia e di pace. Sono questi i valori che dovrebbero governare gli uomini, pena il sorgere del Regno del Caos.
Più avanti il poeta affiderà il compito di esprimere il disgusto per la volgarità dettata dalla dismisura al nobile ravennate Guido del Duca, che così gli si rivolgerà: non ti meravigliare, toscano, se piango quando ricordo le dame e i cavalieri, le fatiche militari e i piaceri signorili che amore e cortesia ci inducevano a perseguire, ora che i cuori sono diventati così malvagi. “Non ti maravigliar s’io piango, Tosco, / quando rimembro […] le donne e ‘ cavalier, li affanni e li agi / che ne ‘nvogliava amore e cortesia / là dove i cuor son fatti sì malvagi” (Pg XIV 103 – 111).

 

Ogniqualvolta si presenta l’occasione di criticare la decadenza dei suoi tempi il poeta non si tira indietro, amando parlare a quei «radi» che ancora ragionano. Chiaramente i suoi rimpianti non riguardano il galateo e le buone maniere, che pure sono importanti. Cosa intende per «cortesia» lo spiega nel Convivio, dove dice: “Non siano li miseri volgari anche di questo vocabulo ingannati, che credono che cortesia non sia altro che larghezza. […] Cortesia e onestade è tutt’uno: e però che ne le corti anticamente le vertudi e li belli costumi s’usavano, sì come oggi s’usa lo contrario, si tolse quello vocabulo da le corti, e fu tanto a dire cortesia quanto uso di corte. Lo qual vocabulo se oggi si togliesse da le corti, massimamente d’Italia, non sarebbe altro a dire che turpezza” (Cv II x 7-8).
In quegli anni l’Inquisizione aveva cambiato il clima ovunque, i roghi stavano devastando la società europea e «massimamente d’Italia». Dante non lo dichiara apertamente, non può, ma è sottinteso che «li belli costumi» dipendevano dal modo di vivere valoriale e culturale introdotto in Europa dal catarismo, assai diffuso nelle corti prima che l’imperatore Federico II e la Chiesa venissero ai ferri corti.
Virtualmente quel duello non si è mai concluso, così che noi europei continuiamo a volgere la testa ora a destra e ora a sinistra senza sapere dove fermare lo sguardo. Legandoci in modo fanatico al materialismo e alla visione cartesiana-newtoniana del mondo ci siamo chiamati fuori dalla Natura, calando il sipario sulle conoscenze trascendentali del passato che ormai stentavamo a comprendere, salvo poi accorgerci che il pensiero laico si era estinto volontariamente.

 

Messi come siamo non possiamo «raddrizzare le cose», motivo per cui molti attendono rassegnati la fine del processo di bastardizzazione e demoralizzazione in atto, che arriverà con la conflagrazione finale seguendo il corso della Legge ciclica che governa tutte le manifestazioni dell’esistenza nel Tempo: la legge dell’Eterno Ritorno.
In realtà c’è parecchio da fare perché il domani reclama menti libere e un bagaglio leggero, perciò ognuno è tenuto a semplificare la propria vita al massimo. A meno che non si voglia finire in mezzo agli indolenti (accidiosi) costretti a correre a perdifiato nella Quarta Cornice come un flusso di lemmings, gli animaletti pelosi che ogni anno traslocano seguendo antichissime piste per tornare alle vecchie dimore e a nuove morti. Dell’anima, nel nostro caso.
Lungo il tragitto, che rappresenta il senso della loro vita, i roditori artici sopportano sofferenze atroci, subiscono gli attacchi dei carnivori, gli uccelli predatori li distruggono a migliaia ma ugualmente proseguono vedendo nell’ultimo slancio l’inizio di una marcia verso il futuro. Si salvano i più guardinghi, quelli che in fondo alla storia del «felice domani» non ci hanno mai creduto (circa il 20-30%), i quali si accorgono in tempo di dove vanno a finire «i primi» e scappano a gambe levate sulle montagne, dove daranno vita ad un’altra generazione di lemmings, salvando la specie.
Se potessero scrivere la storia delle loro migrazioni questi piccoli roditori si esprimerebbero come gli europei di oggi: siamo in marcia verso il fiordo della morte, però andiamo avanti lo stesso; attualmente la nostra civiltà non possiede i mezzi per rigenerarsi ma confidiamo nella fusione delle nostre identità fisiche, digitali e biologiche, cioè nel passaggio epocale capace di farci toccare l’apice del progresso che già s’intravede tutto azzurro all’orizzonte.
Naturalmente non si può escludere nulla, in un senso come nell’altro. Sulla strada l’effetto farfalla è pressoché assicurato, non si contano gli imprevisti e gl’incontri inaspettati, né una vocina benevola come quella dell’Angelo della Sollecitudine dantesco che levandosi all’improvviso dice «Vieni, il passaggio è qui!» e stravolge il programma.
Coloro i quali lasceranno la strada maestra per percorrere le vie traverse probabilmente soffriranno, l’asperità del sentiero li farà piangere, dando a tratti l’impressione che tutto sia perduto. Ciò nonostante il destino delle anime gentili è quello di essere consolate e gli spiriti compassionevoli esistono dappertutto, perché, sebbene entrino ed escano dalla Storia con una certa disinvoltura, “cortesia e onestade” non ci pensano proprio a lasciare il mondo a cui appartengono.

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (Audax Editrice). Altre pubblicazioni: "La vera Storia di Eva e il Serpente. Alle origini di un equivoco" (Audax Editrice, 2024). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

2 Comments

  • Ivana 23 Febbraio 2023

    Molto interessante,mi ha fornito punti di riflessione

  • Rita Remagnino 23 Febbraio 2023

    Grazie Ivana, anche a me Dante sta offrendo continui spunti di riflessione.

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