Torniamo su un argomento citando l’ottimo Enzo Erra che, a suo tempo, chiarì inequivocabilmente la situazione della politicità di tutte le Forze Armate della RSI, facendo tacere – si sperava per sempre – chi, con capziosi distinguo e forzature, cercava di separare il fascismo dall’esperienza militare della Repubblica Sociale Italiana[1].
Cadute molte barriere politiche, prima fra tutte il Muro di Protezione Antifascista di Berlino, la intellighenzia di osservanza soviettista che teneva da un cinquantennio in ostaggio la cultura della nostra Nazione, dovette soccombere al “vento” di novità storiografiche che soffiò negli anni ’90. Anche la storia della RSI venne in parte sdoganata – si pensi solo allo “scandalo” che suscitò il Combat film in cui si vedevano morire con onore e coraggio gli Agenti Speciali della Repubblica di Mussolini – e, in questa “crepa aperta”, qualcuno cercò anche di sdoganare l’intera Decima MAS, affermando che essa, in fin dei conti, era solo un’unità militare che nulla aveva a che fare con il fascismo – che, quindi, restava il “male assoluto” – e che i criminali, se proprio bisognava cercarli, bisognava trovarli nelle Brigate Nere. Enzo Erra, dicevamo, metteva a tacere tale speculazione, ma finito quel tempo di libertà la vulgata antifascista tornò in cattedra, ristabilendo l’ordine (soviettista) delle cose e della storia.
Ancor oggi, qualcuno torna su un argomento che dovrebbe essere stato chiarito sotto tutti gli aspetti, tentando il “salvataggio” della Decima MAS a discapito di tutte le altre Forze Armate Repubblicane, dimostrando solo di non aver capito nulla della storia della RSI e della stessa formazione del Comandante Junio Valerio Borghese.
Fermo quanto già evidenziato nella nostra precedente riflessione e, più dettagliatamente nel nostro studio La Guardia della Rivoluzione[2], ci aiuta a fare chiarezza sulla questione anche il prestigioso lavoro di Sergio Nesi[3]. Nella più importante biografia del Comandante mai pubblicata, Nesi giustamente evidenzia con dovizia di particolari l’ampia autonomia che la Decima MAS ebbe durante la RSI. Questa autonomia, si deve specificare, non fu una esclusività delle formazioni del C.te Borghese, ma una tipica situazione che contraddistinse tutta la Repubblica di Mussolini che, come ebbe evidenziare il Prof. Renzo De Felice fu una “poliarchia di poteri”. Ognuno “faceva quello che gli pareva”, “una repubblica” insomma, come soleva dire l’Ing. Arturo Conti, Presidente della Fondazione della RSI.
In uno scenario di collasso generale, dopo il 25 Luglio e l’8 Settembre, con lo Stato italiano e le sue Forze Armate discioltesi in poche ore, quelli che si crearono sul territorio dell’Italia centro-settentrionale non ancora occupato dagli Alleati furono una serie di centri autonomi di potere che, dopo la costituzione della Repubblica, nel Novembre 1943, Mussolini cercò di armonizzare sotto il suo comando. Ovvio che nel caso di Comandanti carismatici come lo era Borghese questa armonizzazione dovette cozzare con le “prerogative” che accampavano gli altri centri di potere, fosse quindi incompleta e conflittuale, ma questo non vuol dire che vi fosse uno scontro politico in atto di vasta portata, inconciliabile, o posizioni ideologiche opposte. Si pensi ai casi del C.te della GNR Renato Ricci – che finì addirittura “silurato” –, del C.te la Legione Autonoma Mobile “Muti” Frano Colombo, dello stesso Segretario del PFR e poi C.te delle Brigate Nere Alessandro Pavolini. Tutti ebbero scontri di “alto livello”, ma nessuno mise mai in dubbio il loro essere fascisti. Anzi, la loro autonomia fu sempre rivendicata per preservare “il fascismo”. E ciò vale anche per Junio Valerio Borghese, più volte attaccato da altri componenti della RSI per la sua spregiudicata autonomia che facevano nascere “pettegolezzi”, sollevazioni, attriti anche gravi. Come è naturale che vi fossero in quel drammatico momento storico.
Per il C.te Borghese, quello che era accaduto in Italia nel 1943, era chiarissimo: la caduta di Mussolini e la resa senza condizioni erano intimamente legate: “Hanno preparato il disastro politico per ottenere poi il nostro sfacelo militare”[4]. Quindi, la fine del Fascismo – “disastro politico” – era per il C.te della Decima di fondamentale importanza per comprendere come si era giunti alla liquefazione dell’Italia come Stato. Già questa constatazione ci pone essenzialmente in una “dimensione politica” e ci introduce all’oggetto della nostra riflessione.
Uno dei più gravi fatti “interni” in cui la Decima MAS fu coinvolta fu sicuramente la sollevazione degli Ufficiali dell’unità al tentativo fatto da parte della Marina Nazionale Repubblicana, nei primi giorni del Gennaio 1944, di prendere pieno possesso dei reparti terrestri in approntamento e destinarli ad altri compiti, escludendo dall’operazione lo stesso Borghese. Gli Ufficiali della Decima – assente il Comandante – procedettero ad un atto di grave insubordinazione, arrestando gli inviati della MNR e sventando l’operazione. Tutto ciò provocò uno “scandalo” senza precedenti e una serie di inchieste, durante le quali lo stesso Borghese venne arrestato, prima che tutto si risolvesse in una “bolla di sapone”.
Durante lo “scandalo”, piovvero contro i reparti in formazione della Decima le più svariate accuse, alle quali rispose il C.te del Battaglione Fanti di Marina “Maestrale” (che diventerà poi “Barbarigo”), il Capitano di Corvetta Umberto Bardelli, con una lettera al Capo della Provincia di La Spezia in cui veniva evidenziato, tra l’altro: “Devo […] precisare che la quasi totalità degli elementi componenti il Rgt. [“San Marco”, in formazione] si è arruolata volontariamente alla Xa attratta dal carattere spiccatamente fascista, patriottico ed entusiastico della organizzazione creata e voluta dal C.te Borghese”[5]. Ora, tale affermazione, sottoscritta da un Ufficiale di carriera proveniente dalla Regia Marina, che mai si era interessato di politica, assume un’importanza fondamentale per comprendere appieno in che clima nacque, si sviluppò e visse la Decima MAS.
Non a caso nelle unità di Borghese vennero intruppati i “Mai Morti” del Magg. Beniamino Fumai, un gruppo di “superfascisti”, che con il loro estremismo – e per la loro autonomia, guarda caso – crearono non pochi problemi allo stesso Comandante. Se la Decima non fosse stata di loro gradimento, mai le camicie nere di Fumai avrebbero chiesto di essere arruolate in questa formazione, sia chiaro. Furono intruppati nel Battaglione “Sagittario”, con a capo lo stesso Fumai, designato Capitano di Corvetta. Rimarrà a capo di questo Battaglione fino all’Agosto 1944 quando, per la sua autonomia (ancora!), fu allontanato da Borghese.
Durante l’inchiesta sulla sollevazione degli Ufficiali della Xa del Gennaio 1944, Borghese ebbe a specificare che quando il nuovo Comandante del Reggimento “San Marco”, il Capitano di Vascello Nicola Bedeschi, inviato dal Ministero della Marina, assistette alla prima sfilata dei reparti, fu sorpreso nell’ascoltare l’inno dei Legionari (ossia Battaglioni M) e quello del “San Marco”, concludendo che – come da ordini superiori – per il futuro si sarebbero cantati solo gli inni di Mameli e di Garibaldi, insistendo più volte sulla necessità dell’apoliticità delle Forze Armate Repubblicane, come stabilito dal Maresciallo Rodolfo Graziani (che non voleva dire afascismo, ma solo divieto di esplicare attività politica propria, sia chiaro).
La Decima, quindi, sfilava al canto di Battaglioni M!
Borghese – che come da disposizioni ministeriali aveva subito adottato il saluto romano al posto del tradizionale saluto militare – rispose a Bedeschi che, se pretendeva l’apoliticità, avrebbe dovuto lui «per primo darne esempio»[6]. Infatti, Bedeschi – sebbene ossequioso e zelante esecutore degli ordini sull’apoliticità – era fascista e non ne faceva mistero, arrivando anche a minacciare gli Ufficiali ribelli della Decima di gravi sanzioni per essersi messi contro uno “squadrista”![7]
L’atteggiamento di Bedeschi provocò malumori tra la truppa e contribuì alla successiva sollevazione.
Anche durante i concitati giorni dell’arresto di Borghese – accusato addirittura di intelligenza con il nemico, complotto contro Mussolini, passaggio in massa ai ribelli –, gli uomini della Decima protestarono “decisi a tutto osare agli ordini del Duce per la rinascita e per le fortune della Patria”, come ebbe a scrivere il C.te Enzo Grossi[8].
La situazione appare chiarissima. Nei primi giorni del Gennaio 1944, vi fu un’operazione per sottrarre uomini a Borghese e destinarli alla controguerriglia intruppandoli nella GNR o nelle costituende formazioni dell’ENR e per far ciò si tentò il “colpo di mano”, cercando – come era in uso in quel periodo – di screditare la Decima con accuse false ed infondate. L’operazione non riuscì e questo la dice lunga sulla falsità delle accuse.
Appare chiarissimo anche il clima in cui la Decima prese forma, un clima spiccatamente fascista, dove gli uomini erano orgogliosi di sfilare cantando Battaglioni M, pronti a tutto osare “agli ordini del Duce”. Quando si paventò il “colpo di mano” di Bedeschi, si volle rivendicare il carattere fascista delle unità, proprio per rispondere alle false accuse.
Borghese, nel commiato ai soldati del “Barbarigo” in partenza per il fronte di Nettunia, si rivolse loro con “camerati dei mezzi d’assalto”, “camerati del Battaglione”, non certo con quello canonico di “Marò” o “Marinai”, e lo stesso Bardelli fece un discorso improntato alla “bella morte”, di matrice chiaramente fascista: «Ricordate da questo momento siete tutti morti. Morti per il popolo che non vi vorrà riconoscere, morti per le ragazze che non vi guarderanno, morti per i vostri che non vi riconosceranno»[9].
Non stupirà, quindi, il fatto che gli uomini della Decima MAS assunsero anche incarichi prettamente politici, del tutto estranei alle Forze Armate, come Mario Arillo, de jure il Comandante reale della Xa, che nello stesso tempo era anche Commissario del Capo della Provincia di La Spezia[10].
I problemi si acuirono col tempo, come naturale che fosse in quella drammatica situazione militare, dove sempre più chiara era la sconfitta. Ognuno prese ad incolpare della situazione qualcun altro, se non proprio Mussolini, il Governo, i Ministri, i Generali, il Partito, ecc. Insomma, in quei tragici momenti, ognuno tentò di salvare il salvabile, stringendosi attorno gli uomini più vicini. Così fece anche la Decima, forte del carisma di Borghese, che con la sua autonomia, divenne “partito”, e come tale – per salvare il salvabile – tentò strade autonome per far fronte alla prossima capitolazione generale. Quindi, la Decima cominciò a fare “politica”! Da qui nacquero, ad esempio, i contatti con i partigiani monarchici e con la stessa Regia Marina del Sud per salvare l’italianità dell’Istria. Ma non siamo di fronte ad un tradimento, sia chiaro. Tutti, man mano che si avvicinava lo sfacelo finale, tentarono soluzioni “in proprio”. E lo stesso Mussolini lasciò fare.
Nel Marzo del 1945, quindi alla vigilia del crollo generale, quando ancora soffiavano sul fuoco le accuse contro i reparti di Borghese, il Gen. Giuseppe Corrado, Comandante la Divisione “Decima”, evidenziava come il 90% dei Marò “sono elementi sicuri, di fede fascista”[11].
Fondamentali per chiarire le posizioni politiche della Decima MAS e del suo Comandante solo gli appunti che si leggono nei diari del Ministro dell’Educazione Nazionale Carlo Alberto Biggini, non destinati alla pubblicazione ed editi decenni dopo la sua morte, senza quindi i classici rimaneggiamenti del “dopo”. Biggini scriveva, alla data del 18 Maggio 1944, dopo un colloquio con Borghese a La Spezia: “Si è parlato della situazione politica e militare della gloriosa X Flottiglia MAS, […] dello spirito che anima i Volontari, di alcune incomprensioni da parte di certe Autorità verso questo Corpo di Volontari. Il Principe Borghese mi ha non solo riconfermato i suoi sentimenti di fedeltà al Duce, ma anche la sua fede fascista nei destini della Patria”. E, ancora, il 25 Febbraio 1945, dopo un pranzo con il Comandante della Decima a Milano: “Borghese ha discusso con me della posizione della X MAS, del suo programma e della devozione assoluta verso il Duce”[12].
In quei mesi, l’accusa più facile per screditare un “concorrente” era quella di essere “antifascista”. E di ciò, ad esempio, fu accusato il Comandante del Battaglione NP, il Cap. Nino Buttazzoni, ma sul suo fascismo nulla si può obiettare, vista la sua professione di fede durante e – soprattutto – dopo la guerra: fu tra i fondatori del MSI e, nel 1992, finanziò con 20 milioni di Lire la nascita dei Circoli “Fascismo e Libertà” di Giorgio Pisanò[13].
Buttazzoni, durante la RSI, era stato accusato di essere “antifascista” solo per la sua autonomia, per aver avuto un atteggiamento poco ortodosso dal punto di vista della forma e per essersi scontrato con i gerarchi del Governo e del Partito. Cosa che nella Repubblica Sociale era d’uso comune.
Quindi, la Decima MAS, reparto fedele alla RSI – dalla quale veniva regolarmente pagata, tanto per essere veniali – fu un’unità straordinaria, come straordinario fu quel tragico biennio. Nata in un contesto squisitamente politico di rivolta morale e per difendere l’onore nazionale, si trovò a gestire una situazione drammatica e grazie al carisma del suo Comandante riuscì a ritagliarsi ampi spazi di autonomia, come altre formazioni repubblicane, sia chiaro. Ovviamente, Borghese fu una personalità davvero fuori dal comune e di ciò ne giovò la Decima MAS, chiamata a compiti importantissimi, sia contro il nemico esterno, Angloamericani o Slavi che fossero, sia contro il nemico interno, i ribelli. Ovunque, diede prova di coraggio e dedizione, scrivendo pagine importanti di storia militare della nostra Nazione. I contrasti con gli altri poteri della RSI nacquero – come naturale fosse in quella situazione – per questioni di “competenze” e “concorrenze” e non perché le unità di Borghese non fossero fasciste. Anzi. Questi contrasti si acuirono proprio quando la Decima prese a fare politica, contravvenendo alle disposizioni ministeriali che vietavano per i reparti militari queste iniziative. Del resto, l’azione politica che svolse la Decima fu sovente autorizzata da Mussolini in persona, con cui Borghese ebbe numerosi e cordiali rapporti, fino agli ultimi giorni della RSI quando fu investito del compito di difesa del confine orientale italiano, progetto poi svanito per il repentino quanto non preventivato crollo della Linea Verde.
Tutto questo venne dimenticato quando, dopo il 1995, con la scomparsa del MSI, si cercò di defascistizzare l’impossibile, cercando di “salvare il salvabile” di una storia che rimane “maledetta” per tutto il sistema ciellenista ancor oggi al potere. Sia detto per inciso, numerosi dirigenti della stessa Associazione Combattenti della Xa Flottiglia MAS, in quegli anni, sposarono queste ricostruzioni di comodo. Posizioni personali che, però, con la storia non c’entrano nulla. Lo stesso Ing. Arturo Conti soleva specificare che i combattenti della RSI erano “tutti uguali” e sarebbe stato penoso, nonché antistorico, fare dei distinguo di presentabilità, esprimendo giudizi morali ad un cinquantennio dai fatti per salvare il “proprio reparto”, affossando gli altri.
La fine della guerra lasciò tutti i reduci senza più una Patria, un partito, una “guida”. Abbandonati a sé stessi, braccati come selvaggina, in stato confusionale per ciò che era accaduto e stava per accadere, presero strade diverse. Ad esempio, si citano spesso coloro che vennero attratti ingenuamente dalle sirene comuniste, attirati dalla rivoluzione anticapitalista di cui si faceva portatore il PCI e che, quindi, dimostra che la loro adesione alla RSI era stata anche politica: nel Partito Comunista vollero continuare la loro battaglia politica contro la plutocrazia. Ricordiamo quel Marò divenuto Segretario della Sezione di Casal Palocco a Roma, poco dopo emblematicamente suicidatosi. Ma l’adesione al PCI comportava il rinnegamento dell’esperienza della RSI e l’accettazione delle “ragioni” dell’antifascismo. E molti “rinsavirono”. Altri scelsero di rimanere nel PCI e nascosero per lunghi anni quel “terribile segreto”, “peccato di gioventù”. Poi, alla fine dei loro giorni, la “scoperta” sconvolgente ed amara per tanti compagni che per decenni li avevano osannati: i casi di Piero (Battaglione NP) e Roberto Vivarelli (Brigate Nere) sono i primi che ci vengono in mente per esempio, ma potremmo farne altri, che si schierarono dalla “parte giusta” solo dopo la guerra, per denaro, per opportunismo, per “illuminazione”, per convenienza, per quieto vivere, per carriera, per “acculturazione democratica”, ecc.
Ma questa è tutta un’altra storia che con la Decima MAS non c’entra nulla. Stanno come esempi, che ci riportano alla realtà dei fatti, le posizioni politiche del Comandante Borghese, prima e dopo la sua uscita dal MSI, nell’esperienza del Fronte Nazionale e il ruolo, ancora da ricostruire, avuto durante il Golpe dell’Immacolata[14].
A chiusura di questa riflessione, valgano le parole scritte sulla lapide del giovane Sottocapo Nocchiere Rinaldo Carraro della Decima MAS, caduto durante la RSI: “Ha chiuso la sua vita terrena dedicata all’Italia, al Duce e al Fascismo, lasciando la mamma e la fidanzata fiere del suo esempio di dedizione a quell’Idea che porterà alla resurrezione della Patria travagliata e immortale”.
Questo fu lo spirito con cui si sacrificarono tutti i combattenti della Decima MAS, tutti i combattenti della RSI.
Pietro Cappellari
(“L’Ultima Crociata”, a. LXXIV, n. 6, Settembre 2024)
NOTE
[1] Cfr. P. Cappellari, La politicità della Decima MAS, “L’Ultima Crociata”, a. LXXIV, b. 1, Gennaio 2024.
[2] Cfr. P. Cappellari, La Guardia della Rivoluzione. La Milizia fascista nel 1943: crisi militare – 25 Luglio – 8 Settembre – Repubblica Sociale, Herald Editore, Roma 2013, vol. I, pagg. 164-175.
[3] Cfr. S. Nesi, Junio Valerio Borghese, Lo Scarabeo, Bologna 2004.
[4] Cit. in Ibidem, pag. 228.
[5] Cit. in Ibidem, pag. 260.
[6] Cfr. Ibidem, pag. 268, 269 e 278.
[7] Cfr. Ibidem, pag. 262.
[8] Cfr. Ibidem, pag. 276.
[9] Cfr. Ibidem, pagg. 293 e 305.
[10] Cfr. Ibidem, pag. 314.
[11] Cit. in Ibidem, pag. 487.
[12] Cfr. L. Garibaldi, Mussolini e il Professore, Mursia, 1983, pagg. 251 e 304; corsivo nostro.
[13] Cfr. P. Cappellari, La rivolta ideale 1993-1995, Passaggio al Bosco, Firenze 2022, vol. I, pag. 135.
[14] Per una ricostruzione di insieme cfr. P. Cappellari, Tora Tora. Una storia d’amore e d’avventura nell’Italia del “Golpe Borghese”, Passaggio al Bosco, Firenze 2020.


